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Perché tasse e tariffe sulle emissioni di CO2 vanno migliorate


Come stanno i vari strumenti che impongono tariffe e tasse sulle emissioni di anidride carbonica? Bene ma non benissimo. Uno studio dell’Institute for Climate Economy, il Global Carbon Accounts 2025, ci racconta infatti che nel 2024, nel loro insieme, hanno generato entrate complessive pari a 103 miliardi di dollari a livello globale. Il 67% tramite i vari sistemi di scambio di quote di emissione (Ets) e il 33% tramite tasse sulle emissioni come le varie carbon tax. Questi 103 miliardi di dollari sono in leggero calo rispetto al massimo storico di quasi 106 miliardi raccolti nel 2023. Ma raccontano comunque di un trend che dal 2018 vede una continua crescita, anche se troppo lenta. I problemi infatti, spiega la Ong francese, sono che «la cifra sopra riportata rappresenta solo una frazione del fabbisogno stimato». E soprattutto che «esiste ancora un potenziale significativo da sfruttare».

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Le tasse sulle emissioni fanno bene a tutti, anche alla redistribuzione

Per esempio, si sarebbero potuti generare altri 75 miliardi di dollari se all’interno dei sistemi Ets cap-and-trade – che fissano un tetto alle emissioni e permettono alle aziende di scambiarsi le quote – non ci fosse l’assegnazione gratuita di quote di emissione. Oppure il fatto che nei calcoli effettuati mancano buona parte degli strumenti utilizzati in Cina che, da sola, copre il 15% delle emissioni globali. O ancora le entrate governative non riscosse a causa di specifiche scelte politiche. Cosa che per esempio da quest’anno farà anche il liberale e progressista Canada. E il mancato gettito è forse il problema più urgente da risolvere. Anche perché i Paesi redistribuiscono in vario modo le entrate delle tasse o tariffe sulle emissioni, destinandole alla lotta ai cambiamenti climatici o direttamente ai cittadini. Ma spesso questo non è raccontato a sufficienza.

Nel 2024 infatti oltre il 56% dei ricavi derivanti da questi strumenti è stato infatti indirizzato ad attività che contribuiscono alla mitigazione e all’adattamento ai cambiamenti climatici. Alla protezione ambientale e allo sviluppo dei Paesi o delle aree bisognose. Il 25% di questo gettito è stato redistribuito agli attori economicamente colpiti. Direttamente, tramite trasferimenti a famiglie o imprese (19%), o indirettamente, tramite esenzioni o riduzioni fiscali (6%). Mentre la quota rimanente (19%) è stata trasferita ai bilanci pubblici senza una destinazione specifica. Insomma, sono soldi che tornano. E il fatto che questa cosa non sia debitamente spiegata, vedi il Canada dove il tema è stato decisivo in campagna elettorale o le proteste degli agricoltori in Europa, è un problema enorme.

© Institute for Climate Economy

Quanti ricavi generano i sistemi che fissano un prezzo per la CO2

Il Global Carbon Accounts 2025 si inserisce nel contesto dei negoziati sul clima. Dalla Roadmap da Baku a Belém verso i 1.300 miliardi, dove si cerca di incrementare i finanziamenti per il clima ai Paesi in via di sviluppo, alla quarta Conferenza sulla finanza per lo sviluppo tenutasi a Siviglia dal 30 giugno al 3 luglio con il compito di trovare soluzioni sostenibili alla crisi del debito globale). La sua metodologia parte dall’analisi dei 78 strumenti disponibili nel mondo che fissano i prezzi per le emissioni globali. Di questi, 43 sono tasse e 35 sono sistemi di scambio di quote. La maggior parte di questi strumenti (44) opera a livello nazionale, gli altri (33) a livello regionale. E solo uno, l’Ets dell’Unione europea, a livello sovranazionale.

Come detto, nel 2024 questi strumenti hanno generato 103 miliardi di dollari, in calo rispetto ai 106 miliardi del 2023. Un andamento dovuto in gran parte al calo dei prezzi delle quote di emissione nell’ambito del sistema di scambio europeo Eu Ets. Attualmente, infatti, dieci meccanismi rappresentano l’86% delle entrate totali. Il solo Ets europeo arriva al 41%, seguito dal sistema Ets nazionale tedesco (14%) e dalla carbon tax canadese (9%). Quest’ultima, però, è destinata a scomparire. Per quanto riguarda gli Ets, vanno segnalati anche quello della California e degli Stati americani della Regional Greenhouse Gas Initiative, che sono i mercati delle emissioni che generano i maggiori ricavi.

Solo un terzo delle emissioni globali è coperto da tasse o tariffe

Comprendendo più o meno tutti i Paesi del mondo, il report stima che nel 2024 solo il 28% delle emissioni globali fosse coperto da uno strumento di tariffazione. Con un aumento di 4 punti percentuali rispetto all’anno precedente. Nello stesso anno le giurisdizioni (Paesi, regioni o istituzioni sovranazionali) dotate di strumenti di fissazione del prezzo delle emissioni rappresentavano il 65% del Pil globale. In questa estesa mappatura l’intervallo dei prezzi – calcolati per tonnellata di emissioni di CO2 equivalente – oscilla pericolosamente tra gli 0,1 dollari della Polonia (nonostante faccia parte del sistema Eu Ets) e i 160 dollari dell’Uruguay.

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Per quel che riguarda l’Unione europea, il report ricorda poi che solo il 20% delle emissioni coperte è tariffato in linea con le raccomandazioni della Commissione Stern-Stiglitz. Quest’ultima nel 2017 stimava che per ottenere i massimi effetti incentivanti i prezzi si dovessero attestare tra i 40 e gli 80 dollari per tonnellata di emissioni di CO2 equivalente (tCO2eq) entro il 2020. E tra i 50 e i 100 dollari tCO2eq entro il 2030. Ancora nel 2024, però, il 74% delle emissioni coperte nell’Unione europea è tariffato al di sotto dei 20 dollari. La buona notizia è che nel 2027 l’Unione europea inaugurerà la prima asta internazionale delle quote di emissione nei settori dei trasporti e del riscaldamento con l’Ets2. Questo assorbirà anche gli Ets nazionali di Austria e Germania.

Il rischio di dimenticare i finanziamenti per i Paesi in via di sviluppo

In conclusione, nonostante lo stop del 2024 dovuto principalmente al calo del prezzo degli Ets europei, secondo gli autori del report le entrate da questi strumenti sembrano seguire una traiettoria di crescita a lungo termine. E l’abolizione della carbon tax canadese, che da sola rappresentava il 12% delle entrate totali nel 2024, potrebbe essere compensata già nel 2025 da un aumento previsto del prezzo medio degli Ets europei. Inoltre l’Unione europea dovrebbe eliminare gradualmente le quote gratuite, in vigore fino al 2033. L’introduzione di nuovi meccanismi, dall’Europa al Giappone fino all’Indonesia, dovrebbe quindi stimolare la crescita delle entrate. Ma non tutti questi nuovi meccanismi sono considerati equi e imparziali.

Per esempio, l’introduzione del Meccanismo di adeguamento della CO2 alla frontiera (Cbam) da parte dell’Europa e del Regno Unito sta avendo un effetto domino, incoraggiando i partner commerciali a stabilire un prezzo per le proprie emissioni. Ma alcuni Paesi in via di sviluppo criticano duramente il meccanismo, perché violerebbe la logica delle “responsabilità comuni ma differenziate e rispettive capacità”. E chiedono di destinare una parte sostanziale delle entrate del Cbam al sostegno dei propri sforzi di decarbonizzazione. Ma, a fronte delle crescenti tensioni nel panorama economico e geopolitico globale, l’Unione potrebbe decidere di tenere i ricavi per sé.



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