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Il Decreto Fiscale convertito in Legge 108/2025: novità e conferme


Con la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale n. 177 del 1° agosto 2025, il Decreto-Legge 17 giugno 2025, n. 84 ha concluso il proprio iter parlamentare con la conversione nella Legge 30 luglio 2025, n. 108.

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Il provvedimento, che reca «Disposizioni urgenti in materia fiscale», rappresenta un tassello di rilievo nell’evoluzione normativa più recente, orientata a un rafforzamento strutturale della compliance fiscale e a un miglioramento dell’efficienza nei rapporti tra Amministrazione finanziaria e contribuente.

La legge si inserisce in una cornice strategica più ampia che, già da alcuni anni, persegue una duplice finalità:

  1. da un lato, innalzare il livello di adempimento spontaneo e responsabilizzazione del contribuente attraverso strumenti di prevenzione e definizione agevolata;
  2.  dall’altro, presidiare con maggiore rigore le aree di rischio fiscale, in particolare nei contesti delle operazioni straordinarie e dell’attività di controllo.

La portata trasversale dell’intervento normativo emerge dalla varietà e dalla profondità delle misure introdotte. 

1) Decreto fiscale convertito in legge: in sintesi

Sul piano della riscossione e della giustizia tributaria, si segnalano interventi di razionalizzazione e semplificazione – come l’estinzione dei giudizi pendenti in caso di pagamento della prima rata della rottamazione quater – che si accompagnano a disposizioni di coordinamento sistemico (come l’interpretazione autentica dei presupposti dell’estinzione). 

In ambito accertativo, rilevano:

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  1. la nuova disciplina degli accessi ispettivi, finalizzata a una maggiore trasparenza e legalità dell’azione amministrativa, nonché 
  2. la regolazione della decorrenza dei termini di decadenza nei casi di adesione al concordato e al ravvedimento.

Sul versante della fiscalità straordinaria, la legge interviene in modo incisivo anche con riferimento alla disciplina del riporto delle perdite nelle operazioni di conferimento d’azienda, segnalando una crescente attenzione del legislatore verso fenomeni potenzialmente elusivi, come il trasferimento artificioso di vantaggi fiscali.

Ma è soprattutto nei nuovi regimi premiali e di regolarizzazione – in primis il ravvedimento speciale collegato all’adesione al concordato preventivo biennale (CPB) – che si colgono le direttrici di politica fiscale più innovative. 

Questi istituti si propongono, in chiave deflattiva e collaborativa, come strumenti volti a incentivare un approccio proattivo del contribuente, in un’ottica di stabilizzazione del gettito e riduzione del contenzioso.

In sintesi, il D.L. 84/2025, come convertito, costituisce un intervento di sistema che, pur nella sua eterogeneità, mira a consolidare un modello di fiscalità sempre più orientato al principio di affidabilità, all’equilibrio tra prevenzione e repressione e al rispetto delle garanzie sostanziali e procedurali del contribuente.

Ma addentriamoci ora nei dettagli della norma.

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2) Ravvedimento speciale e CPB: la sanatoria per il 2019–2023

L’art. 12-ter della legge di conversione introduce un articolato istituto di regolarizzazione agevolata – il cosiddetto “ravvedimento speciale” – destinato ai contribuenti soggetti agli indici sintetici di affidabilità fiscale (ISA) che decidano di aderire al concordato preventivo biennale (CPB) per il periodo 2025-2026. 

La ratio della disposizione è duplice: da un lato, offrire ai contribuenti un’opportunità di chiusura preventiva del pregresso, con riferimento a cinque annualità (dal 2019 al 2023), evitando l’esposizione ad accertamenti successivi; dall’altro, rafforzare l’efficacia del CPB, valorizzando la lealtà fiscale come presupposto per la stabilizzazione dei rapporti futuri con l’Amministrazione finanziaria.

Il meccanismo di regolarizzazione si fonda sull’assoggettamento a un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi, delle relative addizionali e dell’IRAP, calcolata su una base imponibile incrementale, ossia determinata dalla differenza tra il reddito dichiarato e un valore maggiorato di una percentuale variabile in funzione del punteggio ISA ottenuto nell’anno di riferimento.

Le percentuali di incremento vanno dal 5% per i soggetti con punteggio massimo (ISA pari a 10) fino al 50% per coloro che presentano punteggi inferiori a 3. 

Una disciplina analoga è prevista per l’IRAP, con applicazione dell’aliquota ordinaria del 3,9%.

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Per le annualità 2020 e 2021, la normativa prevede una significativa riduzione dell’imposta sostitutiva (pari al 30%) a compensazione degli effetti straordinari legati alla pandemia da COVID-19, che potrebbero aver inciso sulla capacità contributiva del periodo.

Il versamento dell’imposta può avvenire in un’unica soluzione – da effettuarsi tra il 1 gennaio e il 15 marzo 2026 – ovvero in un massimo di dieci rate mensili di pari importo, maggiorate degli interessi legali calcolati a decorrere dal 15 marzo 2026. 

Il perfezionamento del regime è subordinato alla regolarità dei versamenti, con particolare attenzione alla scadenza della prima rata, il cui mancato rispetto comporta l’inefficacia dell’intera procedura di ravvedimento.

Sotto il profilo degli effetti sostanziali, l’adesione al ravvedimento determina, nei confronti delle annualità interessate, la preclusione alla possibilità di accertamento – fatta eccezione per alcune ipotesi tassative, tra le quali ricordiamo: 

    la decadenza dal CPB; 

    l’avvio di procedimenti penali per determinati reati tributari; 

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    la dichiarazione infedele di cause di esclusione

    l’interruzione della rateizzazione. 

Inoltre, per i contribuenti che abbiano aderito sia al CPB sia al ravvedimento, viene disposta una proroga straordinaria dei termini di decadenza per l’attività accertativa fino al 31 dicembre 2028 (relativamente agli anni dal 2019 al 2022), offrendo così un orizzonte certo di definizione del rapporto fiscale per le annualità pregresse.

La disposizione si caratterizza, dunque, per un elevato grado di sofisticazione tecnica e richiede, da parte dei professionisti, un’attenta valutazione in ordine alla convenienza economico-finanziaria dell’adesione, alla coerenza del profilo dichiarativo pregresso e alla corretta pianificazione dei flussi finanziari per il perfezionamento dei versamenti

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3) Perdite fiscali nei conferimenti d’azienda: nuove regole anti-abuso

L’art. 2 del decreto fiscale, come convertito dalla Legge 108/2025, introduce una modifica di rilievo all’art. 176 del TUIR mediante l’inserimento del nuovo comma 5-bis, estendendo formalmente al conferimento d’azienda il regime di limitazione al riporto delle perdite fiscali, delle eccedenze di interessi passivi e delle eccedenze ACE già previsto, ai sensi dell’art. 173, comma 10, per le operazioni di scissione.

In base a tale innovazione, anche le società conferitarie saranno tenute a superare il noto “test di vitalità” ai fini dell’utilizzabilità delle proprie posizioni fiscali pregresse. 

In particolare, diventa necessario verificare che la società abbia registrato, nel periodo di imposta precedente al conferimento, un livello significativo di ricavi e spese per lavoro dipendente, quale indice della prosecuzione effettiva dell’attività economica. 

In ogni caso, il limite massimo al riporto è rappresentato dal patrimonio netto, come risultante dall’ultimo bilancio approvato prima del conferimento o, in alternativa, da una perizia giurata che attesti il valore economico della società.

La finalità evidente della norma è quella di impedire condotte elusive basate sull’utilizzo opportunistico di società “contenitori” prive di attività sostanziale ma dotate di rilevanti perdite fiscali pregresse – le cosiddette “bare fiscali” – utilizzate per neutralizzare imponibili generati da aziende produttive, trasferite mediante conferimento. 

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La disposizione assume particolare importanza anche alla luce dell’evoluzione giurisprudenziale e dei chiarimenti di prassi che, fino a oggi, avevano lasciato margini di incertezza circa l’applicabilità delle regole anti-abuso al conferimento d’azienda, non sempre espressamente considerato nei riferimenti normativi previgenti.

L’ambito oggettivo di applicazione della norma prescinde dall’eventuale mutamento del controllo nella società conferitaria e si applica quindi anche in operazioni infragruppo prive di discontinuità proprietaria. 

In tal senso, la norma si distingue dalle disposizioni dell’art. 84, comma 3 del TUIR, che condizionano le limitazioni al riporto delle perdite al verificarsi congiunto di un cambio del controllo e di una modificazione rilevante dell’attività esercitata.

Restano comunque ferme – e lo stesso art. 2 lo ribadisce espressamente – le tutele previste dall’art. 177-ter del TUIR per le operazioni effettuate all’interno del medesimo gruppo societario, laddove siano rispettati tutti i requisiti richiesti per la disapplicazione delle norme di contrasto al commercio delle perdite. 

Va tuttavia segnalato che tale salvaguardia non si estende alle perdite generate fino all’esercizio 2023, le quali, in forza del D.Lgs. 192/2024, restano soggette alle limitazioni, anche se la conferitaria rientra nel perimetro infragruppo.

Da ultimo, la norma incide anche sul meccanismo di calcolo della riduzione delle perdite riportabili quando il patrimonio netto sia determinato con perizia: in tal caso, la riduzione è pari al doppio dei conferimenti o versamenti eseguiti nei 24 mesi antecedenti, così da evitare manipolazioni volte a “gonfiare” artificialmente la base patrimoniale a fini elusivi.

Nel complesso, si tratta di una modifica di grande rilievo sistemico, che inserisce il conferimento d’azienda tra le operazioni “sorvegliate speciali” sotto il profilo del riporto delle posizioni fiscali, in linea con un orientamento sempre più rigido del legislatore volto a neutralizzare manovre elusive in ambito straordinario.

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4) Accessi ispettivi: motivazione obbligatoria e rispetto dei diritti

L’art. 13-bis della Legge 108/2025 introduce una rilevante innovazione in tema di accessi ispettivi nei locali destinati all’esercizio di attività economiche, intervenendo in modo puntuale sull’art. 12 della Legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente).

In particolare, viene inserito un nuovo periodo al comma 1 che impone, a carico degli organi verificatori, l’obbligo di esplicitare in maniera espressa, adeguata e circostanziata le motivazioni che giustificano l’accesso fiscale,

  •  tanto negli atti autorizzativi 
  • quanto nei processi verbali redatti ai sensi del medesimo articolo.

Si tratta di un intervento di portata non solo procedurale ma anche sostanziale, che incide sulla legittimità stessa dell’attività ispettiva, imponendo un onere motivazionale rafforzato che consente al contribuente di comprendere fin da subito le ragioni e gli obiettivi della verifica, e di difendersi in modo consapevole e informato. 

Non si tratta più di una mera formalità, ma di un presidio essenziale del diritto alla trasparenza e alla buona amministrazione, in coerenza con i principi costituzionali e sovranazionali in materia di legalità, proporzionalità e tutela del domicilio.

La novella legislativa risponde solo parzialmente — e forse tardivamente — alle pressanti sollecitazioni della giurisprudenza sovranazionale. 

Da un lato, la sua mancata retroattività lascia irrisolto il nodo delle violazioni già consumate in un contesto normativo ritenuto carente dalle Corti europee; dall’altro, la norma, pur formalmente rafforzata, continua a delegare agli organi di verifica un margine di discrezionalità così ampio da svuotare, in parte, la portata garantistica dell’intervento. 

Ne risulta un passo in avanti, sì, ma ancora incerto e incompiuto verso una piena tutela del domicilio professionale e della legalità dell’azione ispettiva.

In particolare, la recente sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (causa Italgomme Pneumatici s.r.l. e altri c. Italia, sentenza n. 33617/2025) ha censurato l’ordinamento italiano per l’insufficiente garanzia di tutela del domicilio professionale nell’ambito delle verifiche fiscali. 

La Corte ha ritenuto che le prassi interpretative e applicative adottate dall’Amministrazione finanziaria e dalla giurisprudenza interna si siano rivelate, in alcuni casi, eccessivamente permissive, violando l’art. 8 della Convenzione EDU, che tutela anche i luoghi in cui si esercita l’attività lavorativa.

La norma, pur avendo efficacia esclusivamente per gli accessi disposti successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione, si colloca in un contesto di progressiva “costituzionalizzazione” della funzione di controllo fiscale, che deve oggi necessariamente confrontarsi con principi di civiltà giuridica, proporzionalità dell’azione amministrativa e rispetto della sfera privata e professionale del contribuente.

Inoltre, l’intervento normativo si inserisce in un quadro già definito dallo Statuto del contribuente, che all’art. 12 detta una serie di regole garantistiche per l’attività ispettiva (orari di accesso, informativa, presenza del difensore, verbalizzazione delle osservazioni, limiti temporali di permanenza). 

Con l’aggiunta operata dall’art. 13-bis, il legislatore rafforza tale impianto, attribuendo alla motivazione dell’atto un ruolo centrale nella legittimità dell’accesso.

Sebbene la violazione del nuovo obbligo motivazionale non comporti, in via automatica, l’invalidità dell’atto impositivo che ne derivi, essa potrebbe assumere rilievo nel contenzioso tributario, specialmente alla luce dell’art. 7-quinquies dello stesso Statuto, che preclude l’utilizzabilità delle prove acquisite in violazione di legge o oltre i termini di permanenza consentiti.

Nel complesso, la novella rappresenta un significativo passo in avanti verso un modello di accertamento fondato su criteri di trasparenza, proporzionalità e tutela della fiducia legittima, chiamando i professionisti e l’Amministrazione a un più rigoroso rispetto delle forme e delle garanzie poste a presidio dell’equilibrio nel rapporto Fisco-contribuente.

5) Chiusura dei giudizi con la rottamazione-quater

L’art. 12-bis della Legge 108/2025 introduce un’importante norma di interpretazione autentica in relazione agli effetti estintivi dei giudizi tributari aventi a oggetto debiti ricompresi nella definizione agevolata prevista dalla cosiddetta “rottamazione-quater”.

La disposizione chiarisce un punto che, sino a questo intervento, era rimasto oggetto di dubbi interpretativi e aveva alimentato un numero significativo di contenziosi: il momento esatto in cui la definizione si intende perfezionata e quali siano le conseguenze sul giudizio pendente.

In particolare, la norma stabilisce che il perfezionamento della definizione – e dunque l’estinzione del processo – si realizza con il solo pagamento della prima o unica rata delle somme dovute, indipendentemente dal completamento dell’intero piano di pagamento rateale.

Questo significa che il giudizio si estingue ex lege già al momento del primo versamento utile, con conseguente inefficacia automatica delle sentenze di merito eventualmente già pronunciate, purché non passate in giudicato, e di tutti i provvedimenti emessi nel corso del processo.

Il legislatore interviene così per chiarire – in via interpretativa e retroattiva – che l’effetto estintivo non è subordinato al pagamento integrale dell’importo dovuto, ma si collega al primo atto volontario del contribuente diretto a manifestare la volontà adesiva alla procedura agevolata. 

Tale orientamento risponde all’esigenza di garantire certezza giuridica e uniformità applicativa, superando le incertezze generate da diverse pronunce giurisprudenziali e da dubbi sorti in sede di prassi, che avevano fatto emergere il rischio di trattamenti disomogenei e, in alcuni casi, di rigetto delle istanze di definizione per motivi meramente formali o cronologici.

Dal punto di vista processuale, l’estinzione del giudizio determina anche l’impossibilità di riattivare il processo o ottenere il rimborso delle somme versate, che sono da considerarsi definitivamente acquisite all’Erario. 

Ciò contribuisce a rafforzare il profilo deflattivo dell’istituto, coerentemente con l’obiettivo della misura: chiudere le controversie tributarie pendenti con modalità rapide e certe, evitando al contempo il rischio che, in caso di successivo inadempimento, il processo possa essere riattivato con potenziale spreco di risorse giudiziarie e incertezza per entrambe le parti.

L’intervento assume particolare rilevanza anche in relazione alla gestione dei ruoli da parte dell’Agente della riscossione e delle Commissioni tributarie, che, in assenza di questo chiarimento, si trovavano a operare in un quadro interpretativo frammentato. 

Con la norma di interpretazione autentica, il legislatore fornisce una chiave di lettura vincolante, che si applica anche ai giudizi già pendenti alla data di entrata in vigore della legge di conversione, risolvendo in modo definitivo il nodo applicativo relativo all’art. 3 del D.L. n. 119/2018, richiamato dalla disciplina della definizione agevolata 2023–2024.

In termini sistematici, l’art. 12-bis si colloca nel più ampio solco di interventi normativi orientati alla semplificazione e alla riduzione del contenzioso tributario, rafforzando il principio di certezza del diritto e promuovendo una gestione più efficiente delle pendenze processuali, anche alla luce delle indicazioni della giurisprudenza costituzionale e sovranazionale in tema di ragionevole durata del processo.

Ulteriori disposizioni 

La Legge 30 luglio 2025, n. 108, di conversione del D.L. 84/2025, ha confermato un insieme articolato di disposizioni destinate a incidere su diversi ambiti della fiscalità ordinaria e straordinaria, rafforzando al contempo la coerenza sistemica del quadro normativo e la capacità dell’ordinamento tributario di intercettare comportamenti distorsivi o elusivi.

In primo luogo, è stata ribadita la tracciabilità obbligatoria dei rimborsi e delle deduzioni connessi alle spese sostenute dai lavoratori dipendenti e autonomi, una misura già prevista nel testo originario del decreto e ora resa definitiva.  Tale previsione si colloca nella logica di una maggiore trasparenza fiscale e di una tracciabilità più rigorosa dei flussi di spesa detraibili o deducibili, con impatti diretti anche sull’IRAP, per effetto della sua parziale sovrapposizione con il reddito di lavoro autonomo. 

La disposizione si applica, in particolare, ai costi sostenuti per prestazioni professionali, servizi sanitari, attività sportive e altre categorie di spese fiscalmente rilevanti, condizionando il diritto alla deduzione o al rimborso alla dimostrabilità della spesa tramite strumenti di pagamento tracciabili (bonifico, carta, assegno non trasferibile, ecc.).

È stata inoltre confermata la decorrenza al 1° gennaio 2026 delle norme fiscali relative agli enti del Terzo settore, in particolare per quanto riguarda la piena entrata in vigore del Titolo X del Codice del Terzo settore (D.Lgs. 117/2017), come novellato dal D.Lgs. 120/2023. 

Si tratta di un passaggio cruciale per la riorganizzazione della fiscalità applicabile a enti non commerciali e organizzazioni non lucrative di utilità sociale, con importanti conseguenze sia sul fronte delle esenzioni e agevolazioni, sia in termini di adempimenti e controlli.

Sul versante dell’IVA, due interventi completano il quadro delle disposizioni confermate. 

In primo luogo, l’art. 10 del decreto (come convertito) esclude dallo split payment – a decorrere dal 1° luglio 2025 – le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate nei confronti delle società quotate incluse nell’indice FTSE MIB. 

Tale modifica risponde all’esigenza di ridurre gli oneri operativi e semplificare gli adempimenti per soggetti dotati di elevata affidabilità fiscale, in linea con la ratio originaria dello split payment, volto a contrastare l’evasione ma ormai ritenuto inadeguato in talune circostanze.

In secondo luogo, l’art. 9 estende l’applicazione del reverse charge anche agli appalti di trasporto merci, superando le restrizioni previste in precedenza in relazione alla prevalenza della manodopera o all’utilizzo di beni strumentali del committente. 

La novella, inoltre, amplia il perimetro soggettivo dell’istituto includendo espressamente le agenzie per il lavoro, recependo le richieste avanzate dagli operatori del settore e dalle associazioni di categoria. 

Tale estensione è finalizzata a garantire maggiore neutralità fiscale e a contrastare fenomeni di frode nell’ambito degli appalti, in particolare nei settori più esposti al rischio di interposizione fittizia di manodopera.

Nel complesso, le disposizioni confermate dalla legge di conversione consolidano l’orientamento dell’Amministrazione finanziaria verso un sistema fiscale sempre più ancorato a criteri di trasparenza, tracciabilità e rigore antielusivo, con effetti diffusi e trasversali su molti settori dell’economia e sull’operatività quotidiana dei professionisti.

Conclusioni 

Il Decreto Fiscale convertito  conferma – in linea con l’evoluzione normativa degli ultimi anni – un’impostazione che cerca di coniugare rigore antielusivo e apertura a strumenti di compliance collaborativa. 

Il provvedimento si muove su un crinale delicato:

  1. da un lato, rafforza i controlli e i presìdi contro l’abuso di istituti agevolativi e il ricorso strumentale alle operazioni straordinarie (come dimostrano le nuove limitazioni al riporto delle perdite nei conferimenti); 
  2. dall’altro, introduce e consolida strumenti finalizzati a favorire l’adempimento spontaneo e la fuoriuscita volontaria dal contenzioso, nell’ottica di una gestione più efficiente e meno conflittuale del rapporto tributario.

Tra questi strumenti, spicca senza dubbio il ravvedimento speciale introdotto dall’art. 12-ter, riservato ai soggetti ISA che aderiscono al concordato preventivo biennale (CPB) per il 2025-2026. 

Il meccanismo offre un’opportunità di regolarizzazione di ampio respiro per i periodi d’imposta dal 2019 al 2023, attraverso il versamento di un’imposta sostitutiva su base incrementale, con aliquote modulabili in funzione del punteggio ISA conseguito. 

La misura appare potenzialmente attrattiva per molti contribuenti, anche in ragione della possibilità di dilazione in dieci rate mensili e della proroga dei termini di accertamento conseguente all’adesione. 

Tuttavia, la valutazione della convenienza economica – specie in relazione al trattamento differenziato degli anni pandemici e alla preclusione per chi ha già ricevuto atti impositivi – richiede un’analisi attenta e personalizzata, in cui il ruolo del commercialista è centrale.

L’art. 13-bis, nel riformare la disciplina degli accessi fiscali, imprime una svolta che allinea l’ordinamento a principi di legalità sostanziale e proporzionalità. Tuttavia, la mancata estensione agli accessi già disposti e la perdurante discrezionalità dell’Amministrazione nel definirne i presupposti rendono l’intervento solo parzialmente risolutivo rispetto alle criticità evidenziate dalla giurisprudenza sovranazionale.

L’adeguata motivazione degli atti di autorizzazione e dei verbali di accesso, imposta dopo la sentenza della CEDU nella causa Italgomme c. Italia, costituisce un avanzamento significativo sul fronte delle garanzie procedurali, in una logica di trasparenza, proporzionalità e rispetto del diritto al contraddittorio.

In questo scenario in continua evoluzione, l’approccio del professionista deve necessariamente essere sistemico: la lettura delle singole disposizioni non può prescindere dal contesto normativo complessivo, dalle finalità di politica fiscale sottese, né dalle implicazioni operative su piani temporali, dichiarativi e contenziosi. 

Ogni scelta di adesione o rinuncia agli istituti previsti dalla legge richiede una valutazione integrata, che tenga conto non solo del vantaggio economico immediato, ma anche dei riflessi in termini di gestione del rischio fiscale, coerenza dichiarativa e affidabilità prospettica del contribuente.

In tale ottica, il ruolo del dottore commercialista – ancorato al rigore tecnico, ma anche sensibile alle evoluzioni del diritto vivente – si conferma essenziale nell’assistenza strategica e operativa ai contribuenti, chiamati a muoversi in un sistema sempre più sofisticato e articolato.



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