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“Piena e buona occupazione, in particolare per giovani e donne”. Il titolo della proposta di legge è ambizioso e dichiaratamente controcorrente. Si tratta di un ponderoso testo di legge (trentaquattro articoli) che punta a rovesciare l’impostazione neoliberista prevalente negli ultimi anni, che ha affidato esclusivamente alle logiche del mercato e alla concorrenza tra le persone la creazione di posti di lavoro. Il risultato è stato la destrutturazione delle regole e dei diritti e l’estrema frammentazione del mondo del lavoro. Ma la proposta appare anche come un rovesciamento rispetto all’impostazione politica del governo in carica, che parla del miglior mercato del lavoro dai tempi di Garibaldi, nascondendo dietro le statistiche la natura precaria dei contratti, soprattutto per quanto riguarda quelli dei giovani.

La proposta è stata elaborata da un gruppo di studiosi ed esperti, coordinati da Laura Pennacchi, economista e filosofa con importanti esperienze politiche alle spalle (è stata sottosegretaria al Lavoro nel governo Ciampi). Insieme a lei hanno lavorato per mesi – intorno a un seminario di filosofia del lavoro presso la Sapienza di Roma – Valentina Cardinali, Andrea Ciarini (Sapienza Università di Roma, Dipartimento di scienze sociali ed economiche), Giorgio Fazio (Sapienza Università di Roma, Dipartimento di filosofia), Pietro Galeone (Università Bocconi), Simone Gasperin (Institute for Public Policy Research), Alessandro Goracci, Beniamino Lapadula, Leonardo Mazzone (Università di Firenze, Dipartimento di scienze politiche e sociali) e Riccardo Sanna.

Venerdì scorso, 25 luglio, il gruppo dei promotori e i rappresentanti della Società italiana di teoria critica (presieduta da Marina Calloni) hanno organizzato a Roma, presso la sala della biblioteca della Camera dei deputati, una prima presentazione pubblica alla quale erano stati invitati i dirigenti della sinistra del “campo largo”: Pd, Alleanza verdi-sinistra, 5 Stelle. A parlare della proposta, e a valorizzarne il significato politico nell’epoca del governo di destra, sono arrivati tutti gli invitati, salvo Giuseppe Conte, bloccato all’ultimo momento da un impegno imprevisto. I maligni hanno però collegato l’assenza ai dissidi sulle scelte per le regionali.

La defezione di Conte ha diminuito l’impatto mediatico, ma non il messaggio politico di quella che potrebbe diventare l’alternativa al governo Meloni. Sia Elly Schlein, sia Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni, hanno infatti preso un impegno solenne: subito dopo le prossime regionali, i partiti della sinistra dovranno lanciare una grande campagna nazionale che – per arrivare alle prossime elezioni politiche – punti proprio sui temi forti che hanno caratterizzato da sempre le politiche di sinistra, a partire dal lavoro, che deve riprendere la sua storica centralità e dovrà essere il volano per ricostruire anche un nuovo rapporto “affettivo” con gli elettori.

Secondo Bonelli, Fratoianni e Schlein, le proposte unitarie – come quelle già elaborate sul salario minimo e sulla riduzione dell’orario di lavoro – sono la base del discorso prossimo futuro. Per questo, per la segretaria del Pd, il principale merito della proposta del gruppo guidato da Laura Pennacchi è quella di inserire le singole norme in una visione complessiva che rimette le persone che lavorano al centro dell’attenzione politica. Una visione, insomma, che non può prescindere dalla critica della società esistente e dall’elaborazione di un’idea di alternativa alle regole della società capitalistica. Si tratta, dunque, di ribaltare i paradigmi neoliberisti cominciando a delineare i contorni di un nuovo modello di sviluppo.

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Un impegno politico apparso in sintonia con i propositi del gruppo degli organizzatori e degli estensori della proposta di legge. “Non accettiamo che questa generazione debba vivere peggio della precedente, non accettiamo che le donne siano discriminate e che i giovani siano usati come forza lavoro di riserva” – ha detto Marina Calloni, presidente della Società nata per proseguire il percorso filosofico della Scuola di Francoforte. Dal canto suo, Laura Pennacchi ha parlato della possibilità della creazione diretta di lavoro da parte delle istituzioni pubbliche. Un salto politico importante, che, da una parte, riporta alle esperienze storiche del socialismo e della socialdemocrazia, ma, dall’altra, guarda a un futuro di trasformazione dello stesso modello di sviluppo. Storia e visione del futuro, insomma, si devono fondere, perché è evidente l’inadeguatezza di modelli economici basati principalmente sulle esportazioni; ed è ormai chiaro che qualsiasi rilancio dell’intervento pubblico non dovrà essere più puntato esclusivamente sulle fasce più povere, visto l’indebolimento progressivo dei ceti medi.

Si tratta di rovesciare il paradigma con cui vengono affrontati i problemi occupazionali. “La proposta delinea misure orientate a favorire la piena e buona occupazione, quale questione di cruciale validità, politica e culturale” – si legge nella relazione all’articolato di legge. Finché ha tenuto, teoricamente e praticamente, la teorizzazione con cui John Maynard Keynes aveva propugnato la “piena occupazione” e la lotta alla disoccupazione e alla sottoccupazione, ha retto anche il postulato dell’“invarianza delle quote distributive”, all’origine, insieme al welfare State, del trend egualitario dei primi trent’anni del secondo dopoguerra. Sta qui il rovesciamento di paradigma, che si propone di concorrere a una rinnovata elaborazione intellettuale e culturale: “Non alimentare la crescita sperando che ne scaturisca lavoro, ma creare lavoro per attivare la crescita, cambiandone al tempo stesso qualità e natura”.

Riguardo alla propaganda lavoristica del governo Meloni, nella proposta viene chiarito il punto di critica: la situazione occupazionale odierna mostra che – anche quando il numero degli occupati aumenta (con molto lavoro povero e instabile) – persistono trend di disoccupazione, precarietà, inattività particolarmente per giovani e donne. “A questi processi va oggi prestata un’attenzione speciale. Porsi quest’obiettivo è decisivo non solo per ragioni di equità, ma anche perché da esso passa la fuoriuscita dalla stagnazione economica e il rilancio della crescita per l’intera società”. E qui si arriva all’altro punto qualificante della proposta. “Le grandi questioni del nostro tempo – il cambiamento climatico, la riqualificazione ambientale, sociale, tecnologica – pongono tutte la necessità e l’opportunità di ripensare integralmente il modello di sviluppo, in Italia e in Europa”. Un modello di sviluppo che ha, tra le sue caratteristiche fondamentali, insieme alla dissipazione di beni ambientali e alla sottoproduzione di beni pubblici, l’assetto insoddisfacente dell’occupazione, in particolare la mancata messa in valore dell’apporto delle donne e dei giovani anche ad alta scolarità, indotti spesso non a caso ad andare a cercare lavoro all’estero. Piena e buona occupazione e nuovo modello di sviluppo sono dunque due questioni profondamente correlate.

Oltre a Keynes, un punto di riferimento è Hyman Minsky, che ha colto il limite più profondo e più persistente del processo di investimento capitalistico, che collega all’assetto della finanza e all’instabilità strutturale, e reclama al contrario lo Stato come employer of last resort, atto a dare vita a iniziative di “lavoro garantito”. Dal punto di vista teorico, e da quello della proposta pratica, la legge dovrà andare però oltre il lavoro garantito. Il paradigma della piena e buona occupazione è più ricco della categoria di lavoro garantito, che, nelle numerose e interessanti sperimentazioni in corso a livello europeo, è prevalentemente riferito a lavoratori e lavoratrici fragili, con basse qualifiche, privi di percorsi formativi completi, inattivi o disoccupati da lunghi periodi. Di queste figure le politiche pubbliche si debbono occupare con una speciale incisività. Ma il tipo di “piena e buona occupazione” da creare è molto più largo: deve comprendere lavori “buoni” di alto contenuto qualitativo, investire su qualifiche elevate, contemplare paghe adeguate sanando il gap retributivo che penalizza le donne.

La proposta è radicale, nel senso che cerca di andare alla radice dei problemi dell’occupazione e della rapida trasformazione tecnologica in corso. Anche la rivoluzione dell’intelligenza artificiale non deve essere subita, come sta avvenendo, lasciando pieno potere alle grandi imprese tecnologiche e alle logiche dei profitti privati sui mercati finanziari. “Sono, dunque, i mercati – si legge nella relazione –, l’innovazione, la produzione, le attività a dover essere ridisegnate dalle fondamenta in termini drasticamente diversi. Ecco perché ci vogliono istituzioni pubbliche orientate a contrastare i trend naturali e a creare piena e buona occupazione. Per tutto ciò, occorre che l’operatore pubblico – nelle sue molteplici articolazioni, soprattutto in quella locale – realizzi esso stesso e solleciti in tanti attori sociali uno straordinario impegno in progettualità”.


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