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così in un decennio hanno comprato mezza città


La tendenza riguarda molte città europee, ma Milano ne è stata uno dei primi esperimenti. L’entrata in campo dei fondi immobiliari, iniziata con rilevanza poco più di dieci anni fa, in concomitanza all’Expo 2015, ha cambiato il volto della città. La cosiddetta rigenerazione di vecchi ed enormi edifici, impossibile se non con soldi pubblici, è diventata realtà grazie ai fondi d’investimento privati. Lo dicono i dati.

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Il patrimonio netto dei soli fondi registrati in Italia a fine 2024 era di 121,5 miliardi di euro. Quasi triplicato rispetto a dieci anni fa, secondo l’ultimo report del centro studi Scenari Immobiliari, e sempre in crescendo. Con i loro investimenti costanti, i fondi hanno insomma messo benzina allo sviluppo del cosiddetto Modello Milano, quello che adesso è finito sotto il faro della magistratura.

Prendiamo l’Antrion Global, gestito dalla Colliers Global Investors Italy Sgr. Nome poco noto fuori dalla cerchia degli addetti ai lavori, eppure è il fondo più ricco d’Italia. Proprietario di immobili per 2,9 miliardi di euro nei centri storici di Milano, Roma, Londra, Stoccarda. Quasi tutti edifici storici trasformati in uffici: è il business che è andato per la maggiore finora.

Paga un’azienda, sono soldi sicuri, permettono di restituire buoni ritorni a chi ha investito. «Ultimamente invece i fondi stanno puntando soprattutto su alberghi, centri commerciali e logistica», spiega Mario Breglia, fondatore di Scenari Immobiliari.

Da Caltagirone a Catella

I più ricchi d’Europa sono i tedeschi: i primi quattro fondi del continente, con un patrimonio complessivo di quasi 70 miliardi di euro, sono registrati in Germania. Si chiamano Deka Immobilien, UniImmo, HausInvest, WestInvest. Gestiscono buona parte delle case popolari tedesche costruite dopo la fine della seconda guerra mondiale e hanno investimenti anche all’estero.

L’Italia è un mercato più piccolo, il terzo in Europa, ma nell’ultimo decennio è cresciuto molto. Nella top ten dei fondi più ricchi registrati da noi ci sono quelli di Generali, Deagostini (Dea Capital), Caltagirone (Fabrica Immobiliare), Banca Finnat (Investire), Banco Bpm (Castello).

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Le statistiche elencano anche la Coima di Manfredi Catella, uno degli indagati più noti nell’inchiesta della Procura di Milano. I magistrati lo accusano di aver usato dei contratti di consulenza per pagare tangenti (138mila euro) a un membro della Commissione per il paesaggio del Comune, che avrebbe poi favorito Coima nel progetto di trasformare il villaggio olimpico di Porta Romana in studentato. Accuse che Catella ha negato in una memoria consegnata al Gip del tribunale di Milano.

Al di là degli esisti dell’inchiesta giudiziaria, i fondi immobiliari hanno cambiato radicalmente il volto di Milano, raccogliendo i capitali necessari per tutti i grandi progetti urbanistici degli ultimi anni, da Citylife a Porta Nuova. Questi veicoli societari, attraverso cui chiunque può comprarsi una piccola quota di un immobile in qualche parte del mondo, esistono in realtà da tanto, ma sono esplosi in Italia solo dopo il 2012.

«In seguito al “whatever it takes” di Mario Draghi, con la Bce che comprava titoli, il mercato obbligazionario rendeva pochissimo», ricorda a Domani il presidente di un importante asset manager europeo, «così si sono sviluppate molto tre asset class: il private equity, i fondi hedge e, appunto, quelli immobiliari.

Milano ha beneficiato in particolare di questa dinamica perché comprare costava meno rispetto a città come Parigi o Londra, era più attraente di Roma per vari motivi, e poi c’è stato l’effetto Brexit e il trasferimento in città di tanti manager della City».

Capitali stranieri

Nonostante la dimensione molto diversa tra le due città, il 36 per cento dei capitali dei fondi oggi è investito su Milano, solo il 22 per cento su Roma. La crescita vertiginosa dei prezzi degli immobili a Milano (e non solo) non dipende però solo dai fondi.

Nell’ultimo decennio il mercato degli affitti è stato sconvolto dall’arrivo di Airbnb, che ha messo fuori dal mercato degli affitti migliaia di abitazioni penalizzando i più poveri. Inoltre, il capoluogo lombardo è diventato casa per tantissimi dei milionari che hanno scelto di trasferire la residenza in Italia e beneficiare della flat tax da 100mila euro (ora alzata a 200mila) introdotta dal governo Renzi; anche loro hanno contribuito a spingere all’insù i prezzi.

Ma c’è un dato che spiega bene l’importanza dei fondi per il Modello Milano, e con loro il peso dei capitali stranieri sul boom del mercato meneghino. Scenari Immobiliari dice che nell’ultimo decennio (2015-2024) gli investimenti immobiliari in Italia da parte di investitori stranieri sono stati pari a 60,6 miliardi di euro, due terzi del totale, e la metà è finita su Milano. Significa che due volte su tre a comprare è stata una società o, più probabilmente, un fondo straniero.

Il fatto che i fondi siano registrati in Italia non significa che lo siano anche i capitali investiti.

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La Coima di Catella, ad esempio, ha una trentina di veicoli vigilati da Banca d’Italia, 10,6 miliardi di euro di investimenti e, come altri concorrenti, investe in Italia capitali anche esteri provenienti da fondi sovrani, private equity e fondi pensione. Prima di fare l’imprenditore con Coima, Catella per anni ha guidato la filiale italiana di Hines, colosso americano del real estate, ancora oggi tra i leader di mercato in Italia.

Nell’olimpo del settore c’è anche il fondo hedge Elliot, Blackstone (attraverso la Kryalos Sgr), Axa, Bnp Paribas e tanti altri grandi operatori internazionali capaci di raccogliere cifre altrimenti irraggiungibili.

Sono i capitali serviti a Milano per rigenerare grandi fabbriche abbandonate e farne uffici, negozi e residenze. Il boom dei fondi immobiliari ha però anche un’altra ragione, molto meno sponsorizzata dagli operatori del settore. «Beneficiano di un regime fiscale vantaggioso», spiega Tommaso Di Tanno, docente di Diritto Tributario.

Il vantaggio fiscale

I fondi non pagano imposte, a versarle sono gli investitori nel momento in cui incassano un dividendo o una plusvalenza. L’aliquota a carico dei residenti italiani è del 26 per cento. Se, invece, l’investitore compra un immobile attraverso una società di capitali, pagherà il 24 per cento di Ires (come impresa) più il 26 per cento da versare quando, come azionista dell’impresa, incasserà i dividendi. Insomma, con i fondi si pagano circa la metà delle tasse. È un bel vantaggio, funziona così un po’ ovunque in Europa, e infatti il settore continua a crescere.

Nel 2024 il mercato dei fondi immobiliari a livello globale è lievitato di un altro 3,4 per cento, raggiungendo un patrimonio di 4.800 miliardi di euro, un terzo dei quali concentrato in Europa.

L’Italia ha fatto segnare una crescita di oltre il 6 per cento, la più alta del continente. Tutte le previsioni erano per un 2025 altrettanto scoppiettante.

Ora che la Procura di Milano ha scoperto le carte dell’inchiesta sull’urbanistica, il mercato è in attesa di capire se i fondi continueranno a investire in città o si sposteranno su altri obiettivi. Magari meno glamour dei grattacieli meneghini, ma altrettanto redditizi.

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