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Eredit� senza eredi, oltre 20miliardi in Italia tra il 2025-2030. Ecco a chi andranno questi patrimoni


Nei prossimi cinque anni, l’Italia assisterà a un trasferimento patrimoniale di proporzioni straordinarie. Un passaggio epocale di beni, titoli, proprietà e risparmi accumulati da intere generazioni – in particolare la cosiddetta silent generation e i baby boomer – che si avviano verso la fase finale della loro vita.

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Ma una partedi questo tesoro, stimato in oltre 20 miliardi di euro tra il 2025 e il 2030, rischia di non trovare nessuno che lo erediti. Non si tratta solo di un’anomalia statistica: è la conseguenza diretta di una demografia fragile, della denatalità crescente, dell’aumento dei nuclei senza figli e di una cultura testamentaria ancoraassente.

Secondo i dati più aggiornati, circa 6,7 milioni di italiani over 65 vivono senza figli o in condizioni di celibato e nubilato permanente. Questa fascia detiene una quota di ricchezza privata superiore a 2.100 miliardi di euro, concentrata in immobili, strumenti finanziari e partecipazioni aziendali. Solo una piccola percentuale – intorno al 17% – ha redatto un testamento. Il risultato è che, in caso di morte, la maggioranza di questi beni sarà oggetto di successione legittima o, se non esistono parenti fino al sesto grado, acquisiti dallo Stato. Una ricchezza enorme, destinata a perdersi nei meandri burocratici o a dissolversi nel bilancio pubblico.

Nel vuoto lasciato da chi non pianifica il proprio futuro patrimoniale, interviene la macchina statale. La legge italiana prevede che, in assenza di successori e disposizioni testamentarie, i beni del defunto vengano trasferiti allo Stato, che ne diventa proprietario a titolo universale. Ma a differenza di una normale eredità familiare, questi fondi non hanno destinazioni vincolate né rendicontazioni pubbliche obbligatorie. Il Tesoro li incamera come entrate ordinarie, impiegandoli per coprire disavanzi o finanziare nuove misure.

Il paradosso di una ricchezza che si dissolve

La contraddizione è evidente: mentre l’Italia continua a essere tra i Paesi con la maggiore ricchezza privata al mondo una fetta sempre più ampia di questo capitale non ha futuro. Non perché manchi di valore, ma perché manca una destinazione. Senza eredi, senza piani successori, senza lasciti, la ricchezza si ferma. Peggio ancora: rischia di deteriorarsi, di perdere valore, di non generare più occupazione né reddito. E quando a essere coinvolte sono PMI familiari, immobili nei centri storici, aziende artigiane o beni culturali, la perdita è tanto economica quanto sociale.

Nel flusso ininterrotto del capitalismo familiare italiano, l’assenza di un’eredità pianificata si traduce in discontinuità produttiva. Un’azienda senza eredi spesso chiude, un immobile abbandonato deperisce, un conto bancario dimenticato si congela. Tutti questi microfenomeni determinano una sottrazione progressiva di risorse all’economia reale. Non si tratta solo di bilanci familiari, ma di micro-tessuti economici che si sfilacciano.

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Se il pubblico si limita a incamerare, senza progetti di valorizzazione, ciò che viene ereditato per default, allora la ricchezza diventa passività. Gli immobili non gestiti finiscono per svuotarsi. Le aziende, se non vendute o riattivate, si dissolvono nel tempo. I beni mobili si perdono nei procedimenti giudiziari o amministrativi. Lo Stato, anziché agire come un gestore attivo del patrimonio senza eredi, si comporta come un semplice intestatario.

Pianificare per non disperdere, la via del testamento e del Terzo Settore

Redigere un testamento non significa solo disporre dei propri beni, ma assumersi la responsabilità del loro futuro. È un gesto di lungimiranza, che può trasformare un’eredità privata in una risorsa collettiva. Secondo Stefano Malfatti, presidente del Festival del Fundraising, il testamento dovrebbe essere visto come un diritto, ma anche come un dovere verso la propria comunità. Non farlo, significa delegare allo Stato scelte che potrebbero essere orientate verso la beneficenza, l’educazione, la ricerca scientifica o la tutela ambientale. In una parola, significa rinunciare al potere di generare un impatto duraturo oltre la propria esistenza.

Negli ultimi vent’anni, in Italia si è osservata una timida crescita della cultura del lascito testamentario solidale. Se nel 2003 solo l’8% dei testamenti conteneva una donazione a favore di enti non profit, oggi questa percentuale è salita al 13%. È un segnale positivo, ma ancora insufficiente rispetto ad altri Paesi europei dove i lasciti sono diventati una fonte strutturale di finanziamento del Terzo Settore.

Anche il mondo della finanza privata è chiamato a svolgere un ruolo attivo. Secondo un’indagine HSBC, il 24% degli individui con patrimoni superiori ai 20 milioni di dollari non ha alcun piano di successione. Un altro 15% non ci ha mai riflettuto, mentre il 13% non vuole discuterne con la famiglia. Questo approccio disorganico espone la ricchezza al rischio di dissoluzione. Come osserva Alessandra Losito, responsabile di Pictet Wealth Management Italia, il 70% dei patrimoni familiari si perde alla seconda generazione, e il 90% si dissolve alla terza.

Strumenti nuovi per un fenomeno antico

Uno dei problemi emergenti, legato all’invecchiamento della popolazione, riguarda la perdita di capacità cognitiva e l’impossibilità di decidere quando è troppo tardi. Per affrontare questa eventualità, il Consiglio Notarile di Milano ha proposto l’introduzione del mandato di protezione, già adottato in Germania, Francia e Spagna. Si tratta di uno strumento che consente di designare anticipatamente un soggetto di fiducia, al quale affidare la gestione del proprio patrimonio e delle proprie cure in caso di sopravvenuta incapacità. È una misura che unisce tutela della persona e continuità della ricchezza.

Nel frattempo, lo Stato dovrebbe attivarsi per dare trasparenza ai beni ereditati senza testamento. Sarebbe auspicabile l’istituzione di un registro pubblico degli immobili e degli asset incamerati, con la possibilità di destinarli a progetti di rigenerazione urbana, politiche sociali o investimenti strategici. La ricchezza orfana potrebbe diventare una leva potente di sviluppo locale, se solo si decidesse di gestirla in modo attivo e partecipato, coinvolgendo Comuni, Terzo Settore e mondo accademico.

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