Ogni anno, come le zanzare in agosto, arriva puntuale la classifica del Censis sulle università italiane.
Un’istantanea che racconta lo stato di salute dell’istruzione superiore nel nostro Paese.
E sì, anche stavolta la foto non è delle migliori per l’Università della Basilicata: penultima tra i piccoli atenei statali, 82,5 punti.
La prima, Camerino, vola a 96. Una distanza che pesa.
Ma il punto non è prendersela con la classifica. Né gridare al complotto del Nord contro il Sud. Serve, invece, guardarsi allo specchio e dirsi la verità: l’Unibas è un patrimonio in crisi.
Ma resta un patrimonio. E come ogni cosa di valore, può e deve essere salvato. Non con le pacche sulle spalle, ma con una visione, con il coraggio, e con l’impegno di tutti. Nessuno escluso.
DA 10.000 A 5.608 ISCRITTI: UNA DIASPORA LENTA, MA COSTANTE
Nel 2003 l’Università della Basilicata contava circa 10.000 studenti.
Oggi ne registra 5.608. Una flessione del 44%. Ma resta comunque una perdita grave.
E il punto non cambia: è una fuga lenta ma costante. Che dice qualcosa.
Eppure, a livello strutturale, l’ateneo è solido: 390 docenti di ruolo, 482 in totale, 232 unità di personale tecnico-amministrativo, per 622 dipendenti complessivi.
Significa un docente ogni 11,6 studenti, un rapporto più che favorevole per la didattica.
Altro che università abbandonata. Ma allora? Dov’è il cortocircuito?
La risposta è nella percezione. Molte famiglie lucane continuano a mandare i figli altrove: Roma, Napoli, Bologna, Milano.
Una fuga non solo geografica, ma culturale. Una forma di sfiducia collettiva. Come se studiare in Basilicata fosse una condanna e non una scelta. E questa percezione non nasce dal nulla.
È figlia di anni in cui l’università ha parlato poco con la società che la ospita.
È rimasta chiusa, autoreferenziale, talvolta inaccessibile. Ma se l’università si isola, il territorio l’abbandona. E viceversa. È tempo di invertire la rotta.
L’UNIVERSITÀ CHE SERVE ALLA BASILICATA
Un corso di laurea in Giurisprudenza.
Può sembrare una proposta tecnica. È invece una scelta identitaria.
Significherebbe ridare centralità a un ateneo che oggi fatica a intercettare i bisogni del territorio.
Significherebbe attrarre nuovi studenti, creare sinergie con enti pubblici, studi legali, tribunali.
Rimettere in moto una macchina ferma da troppo.
Il Rettore deve farsi promotore di questa svolta. La Regione pare disponi- bile. Bene. Che parlino. Che collaborino. Che costruiscano insieme un progetto chiaro. E che lo facciano presto.
Perché ogni anno perso è un’intera generazione che ci volta le spalle.
L’UNIVERSITÀ NON È SOLO UN EDIFICIO
Pensare all’Unibas solo come a un luogo dove si tengono lezioni è riduttivo. Un’università è una città nella città. Dove c’è un ateneo vivo, c’è economia, c’è cultura, c’è vita.
E ci sono bar, librerie, affitti, cinema, progetti, innovazione. È un motore che contagia tutto il territorio.
Dove l’università muore, tutto si spegne. Potenza e Matera devono capirlo: aiutare l’università non è beneficenza. È lungimiranza. È strategia per il futuro. I Comuni devono investire in servizi per gli studenti: alloggi, trasporti, connessioni, cultura.
Devono rendere l’esperienza universitaria in Basilicata appetibile, vivibile, bella. Perché oggi, purtroppo, non lo è abbastanza. E l’università? Deve aprirsi, ascoltare, comunicare. L’autonomia accademica non può diventare autismo istituzionale.
Serve apertura. Verso le scuole, verso le famiglie, verso le imprese. Serve raccontarsi meglio. E farlo con umiltà. Senza fumo negli occhi, ma con la forza dei fatti. All’interno dell’Unibas ci sono eccellenze vere.
La Scuola di Scienze Agrarie è tra le migliori in Italia.
La ricerca su ambiente e territorio, così come quella tecnologica e ingegneristica, è riconosciuta in Europa.
Ma nessuno lo sa. Nessuno lo dice.
Nessuno lo comunica. Continuiamo a tenercelo per noi? Serve una strategia. Una narra- zione. Serve usare i linguaggi dei giovani, senza paura di sembrare meno “profondi”. Meglio essere utili che inaccessibili.
UN’IDENTITÀ RICONOSCIBILE
L’Unibas non può competere con le grandi metropoli sulla quantità.
Ma può, anzi deve, farlo su qualità e identità. Deve diventare “l’università della sostenibilità”, “l’ateneo dei territori”, “il laboratorio della resilienza mediterranea”.
Deve puntare su ambiente, cultura, archeologia, turismo, agricoltura intelligente. Su ciò che la Basilicata conosce, vive, rappresenta. Solo così diventa attrattiva. Solo così diventa unica.
LA SFIDA CULTURALE È DI TUTTI
Ma c’è un punto da chiarire una volta per tutte: l’università non si salva da sola.
Né con un decreto. Né con un finanziamento. Si salva se l’intera comunità decide di salvarla. Le famiglie devono tornare a fidarsi. I ragazzi devono tornare a scommetterci. I docenti devono sentirsi protagonisti.
I sindaci, gli imprenditori, gli operatori culturali devono entrarci dentro. Perché perdere l’università significa perdere la te- sta pensante del territorio. Significa spegnere il futuro.
Un investimento che moltiplica valore Il costo annuo dell’Unibas è di 82 milioni di euro. Ma solo 14 arrivano dalla Regione e 6 dalle tasse degli studenti. I restanti 62 milioni arrivano in gran parte dal finanziamento statale (Fondo di Finanziamento Ordinario), integrati da progetti competitivi di ricerca, fondi europei e attività conto terzi. Tradotto: per ogni euro investito dalla Regione, ne ritornano 4,4. Altro che spreco.
L’Unibas è uno dei migliori investimenti pubblici sul territorio. Bisognerebbe solo esserne più consapevoli. E più orgogliosi.
UNA PROPOSTA CONCRETA (E PROVOCATORIA)
Perché non convocare una grande Conferenza lucana sul futuro dell’Università? Un momento pubblico, aperto, dove parlino studenti, insegnanti, sindaci, famiglie, imprese.
Un evento che sia ascolto, confronto, idee. Che sia progettazione partecipata. Perché solo se si discute insieme, si decide insieme, si agisce.
O SI CAMBIA, O SI CHIUDE
L’Università della Basilicata è in difficoltà. Nessuno lo nega.
Ma non è spacciata. Non è perduta. È solo a un bivio. Può cambiare. Può rinascere. A patto che lo si voglia davvero. Che si agisca sul serio. Che non ci si accontenti di sopravvivere.
Il Rettore faccia la sua parte, e la faccia con coraggio.
La Regione faccia la sua parte, senza tentennamenti. Le amministrazioni locali escano dal torpore.
Le famiglie smettano di pensare che “fuori è sempre meglio”.
E i docenti non si trincerino dietro il curriculum: servono dentro le aule, ma anche dentro la società.
Scommettere sull’università oggi non è solo una questione accademica.
È una scelta politica, economica, culturale. È una battaglia per il futuro. E noi, quel futuro, non possiamo permetterci di perderlo.
Dino Quaratino
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