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Federcasse: il risiko? Troppe concentrazioni allontanano le banche dai clienti. La mutualità fa bene al credito


Il presidente dell’Erba: Il 22% del credito alle imprese fino a 20 dipendenti viene erogato dalle Bcc; nostro uno sportello su cinque

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Si è tenuta venerdì 18 luglio l’assemblea di Federcasse alla Scala di Milano. In platea ad assistere allo «spettacolo» del credito cooperativo, i rappresentanti delle istituzioni, delle amministrazioni pubbliche e naturalmente delle 218 Bcc, casse rurali e casse Raiffeisen associate. Oltre alle 15 federazioni territoriali e alle due capogruppo Iccrea e Cassa centrale. Il presidente Augusto dell’Erba accetta di rispondere a qualche domanda sulle questioni calde del credito.
Partiamo dai fondamentali: quale è il bilancio di questo ultimo anno di attività del credito cooperativo?
«Più di 200 miliardi di raccolta dalla clientela, circa 140 miliardi di impieghi e poco meno di 27 miliardi di patrimonio, con un CET1 al 26,7%. Quote di mercato oscillanti tra un quarto e un quinto del totale nei settori chiave del sistema produttivo: turismo, agricoltura, artigianato, piccola manifattura, costruzioni. Il 22% del credito alle imprese fino a 20 dipendenti viene erogato dalle Bcc. Una quota che diventa il 28% nell’agricoltura e il 36% nel turismo».
A più riprese avete rivendicato il mantenimento di un maggior numero di sportelli nei territori.
«Sì, venti anni fa uno sportello su dieci apparteneva a una Bcc, oggi uno sportello su cinque. Il numero dei Comuni con presidio esclusivo da parte di una Bcc è cresciuto del 43% (da 541 a 776)».
Se gli altri istituti razionalizzano la presenza nei territori un motivo ci sarà. Evidentemente è vantaggioso per i conti. Il vostro modello è sufficientemente remunerativo?
«Il testo unico bancario ha delineato le banche spa e le banche di tipo cooperativo come due realtà diverse. Nel nostro caso gli utili vengono portati a patrimonio come riserva indivisibile. La legge dice almeno il 70% degli utili ma nei fatti andiamo verso il 90%. Gran parte dei 27 miliardi complessivi di patrimonio sono riserva indivisibile, non disponibile per i soci. Si tratta di un capitale paziente. Al contrario, nel modello di banca spa, i soci hanno aspettative di rendimento del capitale molto più elevate. Il primo obiettivo dei nostri soci, invece, è avere credito e servizi bancari a buone condizioni. Ben sapendo che il patrimonio resterà nel cassetto a protezione del risparmio e per ampliare la concessione del credito. Infatti, quando sono emerse criticità abbiamo risolto i nostri problemi da soli senza bisogno di interventi da parte dello Stato».
Dieci anni fa la riforma del Credito Cooperativo: un bilancio.
«Dieci anni fa è stato messo in discussione il nostro modello. Abbiamo colto la necessità del cambiamento costituendo i due gruppi bancari cooperativi e l’Ips (per le Raiffeisen dell’Alto Adige). E’ emerso un modello di banca con a mutualità prevalente che sta offrendo buone risposte ai soci e ai territori. Oggi se siamo virtuosi è anche in ragione di un impianto normativo nazionale che non ha avvilito la natura mutualistica».
Il ministro Giorgetti ha parlato chiaro all’assemblea Abi: dice che le banche non stanno facendo il loro mestiere. Che poi sarebbe erogare credito alle famiglie e alle imprese. Vi sentite toccati da questo rimprovero?
«Mi verrebbe da dire che i dati appena illustrati credo dimostrino come il credito cooperativo abbia fatto e faccia la propria parte nel trasformare il risparmio in credito per famiglie e imprese».
Il ministro ha detto che non si può continuare a fare banca solo gestendo la ricchezza senza contribuire a crearla. Rispetto al 2011 il credito è diminuito di un terzo.
«Su questo particolare aspetto bisogna anche valutare se è il cavallo a non bere, cioè se sono le aziende a chiedere meno credito, o se è l’acqua (cioè il credito) a mancare. La legislazione europea attuale è figlia della preoccupazione post-crisi finanziaria di quindici anni fa. Impone alle banche molte cautele. Ma è il banchiere che deve saper valutare il rischio e le attuali regole sull’assunzione dei rischi tendono però a omologare i comportamenti degli istituti».
Giorgetti ha detto anche che, a fronte di alti profitti, le banche non stanno investendo a sufficienza in digitalizzazione, solo 901 milioni tra 2023 e 2024.
«Le nostre capogruppo hanno progetti ambiziosi anche in questo campo, vedo investimenti congrui e strumenti di digitalizzazione che rispondono ai bisogni, integrandoli con le finalità mutualistiche».
Sono in atto diverse operazioni di concentrazione nel sistema bancario, a partire dalle ops di Mps su Mediobanca e di Unicredit su Banco Bpm. Che cosa ne pensa?
«Non ho titolo per entrare sulle singole operazioni. Posso dire in generale che si assiste a un fenomeno che non posso giudicare positivo: penso all’allontanamento dei centri decisionali dai territori. Sia chiaro, non sto dicendo che ogni istituto debba avere il suo campanile di riferimento. Ma questa enorme concentrazione, con conseguente crescita di dimensione dei soggetti bancari, non credo possa essere considerata un beneficio in senso generale. Avere più soggetti è un fattore di democrazia economica. Peraltro capisco che il modello della banca spa non può che andare in questa direzione: il patrimonio disponibile non può stare fermo, ma deve essere utilizzato in modo profittevole per gli azionisti».
Il presidente dell’Abi Patuelli auspica un’accelerazione sull’Unione bancaria.
«Condividiamo. Patuelli in realtà va anche oltre dicendo che servono norme di diritto commerciale omogenee all’interno della Ue. E anche su questo siamo d’accordo. Aggiungerei che serve un approccio normativo che applichi strutturalmente la proporzionalità rispetto alle dimensoni e alle finalità imprenditoriali oltre che di reale semplificazione delle norme europee anche nel settore bancario. E sia chiaro: semplificazione non è sinonimo di deregolamentazione».




















































19 luglio 2025 ( modifica il 19 luglio 2025 | 09:55)



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