Nel primo trimestre 2024 crescono le richieste di cassa, soprattutto quella straordinaria. Il giuslavorista Francesco Rotondi invita a non fermarsi ai numeri: «La crisi industriale è reale, serve un piano strutturato. Le politiche Pnnr faticano a decollare»
Aumentano le richieste di cassa integrazione e soprattutto di quella straordinaria, anticamera di crisi aziendali strutturali e quindi di licenziamenti. Nei dati ad oggi disponibili elaborati dalla Uil su dati Inps, nel primo trimestre 2024 le richieste di cassa integrazione totale sono aumentate del 31,2% a livello nazionale e del 20,3% in Lombardia su base annua. Ad aumentare sensibilmente, nella percentuale, in Italia è la richiesta di cassa straordinaria (+50%), che in Lombardia si ferma a un +21%, con un peso crescente delle causali di riorganizzazione aziendale.
Ne parliamo con Francesco Rotondi docente di diritto del lavoro all’Università Liuc e Consigliere esperto del Cnel.
Professore, come legge i dati di aumento della cassa integrazione? Credo che continuare a sciorinare numeri e percentuali non sia utile né in senso sociologico e sociale, né tantomeno dal punto di vista economico e industriale. Un conto è dire che abbiamo un calo produttivo, altro è mettere continuamente a confronto il numero di ore lavorate, di occupati, di disoccupati rispetto a un anno fa, a sei mesi fa, a tre mesi fa: è un modo di comunicare che dal punto di vista delle parti sociali non è sano.
Perché? Perché nell’analisi dei dati Istat bisogna vedere come vengono rilevati. Ad esempio, per considerare una persona come occupata il sistema Istat dice che è sufficiente che abbia svolto almeno un’ora di lavoro retribuito in una settimana. Da lì costruire il dato occupazionale, o quello di disoccupazione, è operazione rischiosa. La situazione va capita su dati concreti, come l’andare a vedere quante sono le pratiche aperte al Mise per crisi aziendali. Fare una battaglia ideologica e politica dicendo, ad esempio, che non è vero che abbiamo tanti occupati oppure che non è vero che abbiamo più cassa integrazione non ha senso. Altro invece è dir quali sono le ore di lavoro effettive. Così come c’è differenza fra dire che sono autorizzate mille ore di cassa, ma poi contano quelle che sono davvero state utilizzate.
Lei contesta i dati? Io non contesto i dati, rilevare le ore dall’Inps è importante: se qualcuno richiede cassa integrazione significa che un problema c’è. E’ indubbio che non stiamo vivendo in un momento economico e industriale di grande benessere. Bisognerebbe capire come venirne fuori.
Qual è dunque oggi la fotografia giusta per capire lo stato dell’arte? La fotografia ci dice che il dato trasversale della richiesta di cassa integrazione è sicuramente in crescita, ma dobbiamo anche dire che effettivamente i dati occupazionali sono più chiari rispetto a qualche anno fa.
Più chiari anche nella qualità? Sono più chiari nella qualità del dato e anche nella qualità di contratto, perché non è vero che l’occupazione sta crescendo per i cosiddetti contratti meno tutelati o atipici. Sta aumentando il contratto di lavoro a tempo indeterminato. Quella della verità o della veridicità dei dati è una battaglia sterile, ognuno di noi è in grado di dimostrarla attraverso metodologie più o meno condivise che nessuno è in grado di contestare. Detto ciò, il dato vero è che c’è una sofferenza rispetto alla quale non si sta per il momento facendo nulla di serio. Tutta quella parte di politiche attive che dovevano essere attuate attraverso il Pnrr faticano a decollare, anche perché si rincorrono diatribe speciose inutili. Serve un piano più strutturale e strutturato per portare a casa un risultato.
Possiamo aspettarci nuove situazioni di slittamento dalla cassa ordinaria alla straordinaria, premessa di vera crisi aziendale? L’industria è il comparto economico che soffre di più. Attualmente molto spesso si sta evitando di andare nella cassa integrazione straordinaria, utilizzando il più possibile quella ordinaria, evitando così di dare un allarme sociale. Il fatto che tale utilizzo possa scivolare in una cassa straordinaria c’è ed è importante, perché i dati attuali del mercato del lavoro in diversi settori industriali lasciano intendere che diverse realtà hanno necessità di ristrutturarsi, cosa che porta con sé il rischio di esuberi. Un rischio che sussiste in quelle attività che oggi non sono in grado di fare un movimento in avanti verso l’organizzazione dell’azienda, in senso gestionale puro e soprattutto in innovazione tecnologica.
Quali sono i fronti aperti nella difficoltà delle piccole realtà di investire in innovazione tecnologica? Ce ne sono diversi. Il primo fattore con cui dobbiamo fare i conti, intendendo il termine in senso tecnico, è l’ignoranza: c’è certamente un grave handicap di cultura sull’innovazione nelle aziende medio-piccole. Ciò porta a una mancanza di cultura su come reperire i fondi. C’è una serie di bandi e di possibili accessi a fondi comunitari rispetto ai quali nessuno si avventura per ignoranza delle opportunità e anche per l’incapacità di accedervi ignorando che ci sono i servizi di supporto dati dalle associazioni di categoria. L’altro problema sta nel fatto che oggi c’è necessità di mettere in cassa integrazione o espellere dal lavoro persone che non sono più in grado di gestire le competenze nelle aziende.
C’è contraddizione fra l’aumento della cassa integrazione e l’aumento di assunzioni stimate dal sistema Excelsior, con relativa difficoltà di trovare candidati? Sembrerebbe una contraddizione ma non lo è. Ciò accade per un movimento quasi rotatorio: si manda in cassa integrazione e poi si espellono dal ciclo produttivo una risorsa ma ne prendo un’altra skillata. Non accade anche il contrario, per cui tante richieste arrivano dal turismo e dalla ristorazione che assorbono un’occupazione di una qualità probabilmente inferiore rispetto a quella dell’operaio diventato esperto ed estromesso dalla fabbrica in crisi e che ora cerca lavoro? E’ un momento nel quale i numeri non fotografano la realtà. Fotografano la realtà dei bisogni. Oggi nei vari settori le aziende assolvono i vari settori nell’accaparrarsi risorse così come le trovano. Abbiamo settori che sull’occupazione magari diventano trainanti perché hanno bassa competenza e altri che perdono perché hanno necessità di competenze particolari.
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