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Fatture false per oltre 26 milioni, 20 indagati: Pierpaolo Bruni ordina maxi sequestro nel Casertano


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Il procuratore capo di Santa Maria Capua Vetere, Pierpaolo Bruni

CAPUA (Caserta) – Ventisei milioni e mezzo di euro: è questa la cifra imponente al centro dell’operazione condotta dalla Guardia di Finanza di Capua, in provincia di Caserta.

Un’indagine capillare che ha svelato un articolato sistema di frode fiscale basato sull’utilizzo di fatture false per ottenere indebiti vantaggi economici e fiscali.

Venti le persone coinvolte, tra amministratori di società e soggetti ritenuti meri prestanome, nei confronti delle quali è stato eseguito un sequestro preventivo per equivalente.

Dietro i numeri, una realtà che fa emergere con forza la persistenza di pratiche illecite che danneggiano non solo l’erario, ma anche il tessuto economico sano del Paese.

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Un’indagine a largo raggio: i dettagli dell’operazione

L’indagine, coordinata dalla Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, diretta dal magistrato calabrese Pierpaolo Bruni, ha ricostruito un meccanismo fraudolento ben strutturato, incentrato sull’emissione e l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti.

Tali documenti venivano impiegati per creare costi fittizi all’interno di diverse aziende, consentendo un duplice vantaggio illecito: da un lato, abbattimento dell’utile imponibile e, quindi, minori imposte da versare; dall’altro, l’ottenimento di liquidità fiscale indebita, attraverso il recupero dell’IVA mai effettivamente versata.

Le operazioni sospette sono state individuate grazie all’incrocio dei dati delle dichiarazioni fiscali, all’analisi dei flussi finanziari e all’esame di documentazione contabile acquisita durante numerose perquisizioni.

L’esecuzione del provvedimento costituisce l’epilogo di un’articolata attività d’indagine, scaturita da un controllo fiscale intrapreso dai finanzieri nei confronti di una società “cartiera” e da alcune verifiche fiscali condotte dalla Direzione Provinciale di Caserta dell’Agenzia delle Entrate nei confronti di società con sede nella provincia di Caserta, finalizzati ad accertare l’origine e la liceità dei crediti d’imposta per Investimenti nel Mezzogiorno e per attività di Ricerca e di Sviluppo, di cui le stesse avevano beneficiato.

Il sequestro: beni mobili, immobili e disponibilità finanziarie

I successivi accertamenti, delegati dalla Procura della Repubblica alla Compagnia di Capua hanno consentito, anche attraverso l’ausilio di indagini tecniche e bancarie, di ricostruire un complesso meccanismo fraudolento utilizzato dagli indagati e consistente nella generazione di crediti d’imposta fittizi attraverso l’emissione e l’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti e simulazioni negoziali per consentire ai terzi soggetti beneficiari di utilizzare in compensazione i crediti d’imposta fittizi ricevuti da società cartiere o prossime al fallimento, azzerando pertanto qualsivoglia onere tributario.

Nello schema delittuoso posto in essere, attraverso professionisti e soggetti “prestanome” compiacenti, le società cartiere acquisivano da altre società cartiere o prossime al fallimento brevetti inesistenti, che venivano poi utilizzati per presentare delle comunicazioni per la fruizione di crediti d’imposta per Investimenti nel Mezzogiorno (C.I.M.).

Questi venivano successivamente trasferiti a terzi soggetti economici, attraverso cessioni di rami d’azienda o l’emissione di fatture, potendo essere a loro volta utilizzati in compensazione d’imposta, consentendo l’evasione dei tributi.

Nel corso delle indagini sono emerse ulteriori fattispecie di reato a carico di alcuni indagati, tra cui l’indebita percezione di erogazioni pubbliche, quali contributi a fondo perduto a sostegno delle imprese e l’indennità di disoccupazione attraverso l’instaurazione di un rapporto di lavoro fittizio ed il riciclaggio dei proventi illeciti derivanti dalle attività delittuose, attraverso cui un soggetto ha acquistato un intero fabbricato con terreno pertinenziale nel comune di Cancello ed Arnone.

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Il provvedimento di sequestro preventivo emesso dal Gip, su richiesta della Procura, ha riguardato beni mobili, immobili, quote societarie e conti correnti riconducibili agli indagati. Il sequestro è stato disposto “per equivalente”, una formula prevista dal nostro ordinamento per garantire il recupero delle somme sottratte al fisco anche quando il profitto illecito non è più materialmente disponibile.

L’operazione si inserisce nel quadro dell’attività di contrasto all’economia sommersa e alle frodi fiscali, con l’obiettivo di tutelare la legalità e la concorrenza leale tra imprese.

Un principio che assume un significato ancora più rilevante in un contesto economico fragile, dove le imprese virtuose spesso faticano a sopravvivere anche a causa della slealtà di chi aggira le regole.

Un blitz in perfetto stile Bruni, l’ex procuratore capo di Paola, che in questo hinterland ha messo le mani su numerse ingenti truffe, ma anche sulle magagne della politica e della pubblica amministrazione, ottenendo quasi sempre condanne e patteggiamenti.

Una prassi diffusa e dannosa per l’economia, quella scoperta anche nel Casertano.

Secondo i dati dell’Agenzia delle Entrate, ogni anno l’Italia perde oltre 90 miliardi di euro per evasione fiscale, di cui una parte significativa legata proprio all’utilizzo di fatture false. Si tratta di una pratica tanto diffusa quanto insidiosa, che oltre a sottrarre risorse preziose allo Stato, mina la credibilità del sistema economico e scoraggia gli investimenti esteri.

Non è un caso che la lotta all’evasione rappresenti una delle priorità strategiche indicate anche nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), che vincola parte dei fondi europei al miglioramento dell’efficienza fiscale.

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In questo contesto, operazioni come quella della Guardia di Finanza di Capua assumono un valore che va ben oltre il dato economico: sono un segnale forte di presidio dello Stato nei confronti della legalità e della giustizia fiscale.

Una lezione da non ignorare

L’operazione nel Casertano ci ricorda che la frode fiscale non è un crimine senza vittime: ne fanno le spese i cittadini onesti, i servizi pubblici, le imprese che rispettano le regole. Ogni fattura falsa è un tassello che indebolisce la fiducia collettiva nel patto sociale.

In un’Italia che cerca faticosamente di rilanciare la propria economia e ricostruire un clima di legalità, la trasparenza fiscale è una sfida decisiva. Le inchieste, i sequestri e le sanzioni sono strumenti indispensabili, ma non bastano da soli.

Serve un cambiamento culturale profondo, in cui pagare le tasse sia vissuto non come una punizione, ma come un contributo alla costruzione del bene comune.



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