Nel cuore del distretto manifatturiero veneto, a San Giovanni Lupatoto, sorge la smart factory di Exor International e Corvina. Più che una semplice fabbrica, è il manifesto di un’automazione “Made in Italy” che applica al proprio interno le stesse tecnologie che offre al mercato: le soluzioni hardware e software che il gruppo Holdex propone ai suoi clienti sono il motore della propria produzione, in un modello esemplare dove chi progetta l’innovazione è anche il suo primo, esigente utilizzatore.
Quello delle due aziende è un percorso che parte da lontano, dagli anni ’70, e che oggi le vede puntare su una fabbrica intelligente costruita da zero, pensata per essere non solo un centro di produzione ma anche un laboratorio per le tecnologie di Industria 4.0 e 5.0.
Abbiamo visitato la fabbrica veronese accompagnati da Damiano Vendramini, Solution Architect di Corvina, e Michele Fantoni, Smart Manufacturing Product Manager di Corvina, che ci hanno aiutato a comprendere la filosofia e il funzionamento di questa realtà, che punta a trasformare il dato in un asset strategico per l’intera filiera.
Due anime, un’unica visione: la strategia di Exor International e Corvina
La storia del gruppo affonda le radici negli anni ’70, quando Exor International nasce come produttore di hardware elettronico per l’automazione industriale. L’azienda poggia le radici del proprio successi sul mercato sulla fornitura di schede elettroniche e pannelli HMI (Human-Machine Interface). Nella seconda metà degli anni Dieci, tuttavia, con l’avanzare della digitalizzazione, emerge la consapevolezza che l’hardware, da solo, non è più sufficiente. Il software diventa un elemento imprescindibile per abilitare nuove funzionalità e servizi.
Questa presa di coscienza porta alla nascita di Corvina, inizialmente come soluzione di Exor International. Il primo passo è lo sviluppo di un servizio VPN per la manutenzione remota dei dispositivi installati presso i clienti in tutto il mondo. L’idea poi si sviluppa in una piattaforma cloud concepita come hub IoT, capace di raccogliere, gestire e analizzare i dati provenienti dalle macchine. La svolta definitiva avviene intorno al 2021, quando Corvina si costituisce come società autonoma, uno spin-off di Exor International.
Oggi, Exor International e Corvina operano sotto l’ombrello della holding Holdex, che controlla anche Exor EMS, società dedicata alla produzione di schede elettroniche nata per internalizzare una parte strategica della fornitura. Il gruppo, che conta circa 400 dipendenti a livello globale e un fatturato di circa 100 milioni di euro, ha una chiara divisione dei compiti: Exor International si concentra sulla produzione di HMI, gateway IoT e PC industriali, mentre Corvina sviluppa e offre l’ecosistema software dedicato agli OEM e alle aziende manifatturiere. Una sinergia che permette alle due aziende di avere un controllo completo sulla catena del valore, dal singolo componente elettronico alla piattaforma cloud.
Da fornitore di componenti a solution provider
La trasformazione più significativa del gruppo è il passaggio da fornitore di singoli prodotti a provider di soluzioni integrate. Per raggiungere questo obiettivo, Corvina ha intrapreso una strategia di acquisizioni mirate, integrando realtà con competenze specifiche e complementari. Questo le ha permesso di costruire un’offerta a 360 gradi, capace di rispondere alle diverse esigenze e ai differenti livelli di maturità digitale delle aziende clienti.
“Uno dei motivi per cui è stata fatta la scelta strategica di acquisire e avere a bordo queste aziende è proprio l’approccio che vogliamo avere nei confronti del cliente”, spiega Michele Fantoni. “Ogni cliente ha un suo livello di maturità digitale. Con questo mosaico di competenze abbiamo la possibilità di entrare a diversi livelli, offrendo una soluzione a 360 gradi che può partire dalla consulenza di processo per poi salire a un livello più orchestrativo dal punto di vista aziendale”.
Tra le società entrate nell’orbita di Corvina figurano Next-Stel, un system integrator specializzato in soluzioni di connessione a basso livello; Digibelt, nata da una collaborazione con Bonfiglioli Consulting e focalizzata su soluzioni software per lo smart manufacturing ispirate alla metodologia Lean Six Sigma, come i sistemi MES (Manufacturing Execution System); Factoryal, uno spin-off dell’Università di Verona che ha sviluppato soluzioni per la modellazione di fabbrica e la schedulazione dinamica e reattiva della produzione; e Axel, che sviluppa Soft PLC, un’alternativa software ai tradizionali controllori logici programmabili.
Da Industria 4.0 a Industria 5.0
Lo stabilimento produttivo di San Giovanni Lupatoto è l’incarnazione fisica di questa filosofia. L’intero stabilimento, infatti, è stato concepito seguendo le direttive della lean manufacturing, con l’obiettivo di eliminare gli sprechi e ottimizzare i processi. Realizzato nel 2019 riconvertendo un magazzino preesistente, è stato progettato azzerando le strutture esistenti per plasmare il layout e i flussi secondo i principi della smart factory. Questa fabbrica è il luogo dove si producono i dispositivi Exor International, ma è anche il primo e più importante banco di prova per le tecnologie Corvina.
Il passaggio dal paradigma 4.0 al 5.0 è stato interpretato in modo pragmatico. L’Industria 4.0 ha rappresentato la fase di digitalizzazione, la creazione dell’infrastruttura per raccogliere una grande mole di dati dal campo. Corvina è stata lo strumento per attuare questo passaggio, connettendo i macchinari e creando un “data lake” su cui basare le analisi. L’Industria 5.0, invece, rappresenta il passo successivo: mettere questa tecnologia al servizio della persona e della sostenibilità.
L’approccio è “human-centric“. La tecnologia viene usata per migliorare la qualità del lavoro, riducendo le attività ripetitive, faticose o a basso valore aggiunto. Un esempio è il progetto che utilizza sistemi di visione e algoritmi di intelligenza artificiale per il controllo qualità, come l’individuazione di graffi sui display, un compito che richiede grande concentrazione e che può essere usurante per un operatore umano. Un altro pilastro della visione 5.0 è la sostenibilità, che si traduce in una gestione intelligente dell’energia dell’intero edificio (smart building) e nell’ottimizzazione dei processi per ridurre gli sprechi.
Il flusso orchestrato della produzione tra standardizzazione e personalizzazione
Il processo produttivo all’interno della smart factory Exor International è un flusso attentamente orchestrato che si snoda attraverso tre aree principali, combinando logiche di produzione per il magazzino (Made to Stock – MTS) e su commessa (Made to Order – MTO). L’obiettivo è massimizzare l’efficienza mantenendo un’elevata flessibilità per la personalizzazione.
L’area test
Il flusso inizia ancora prima dell’assemblaggio, nell’area ATE (Automatic Test Equipment), dove viene effettuato il controllo qualità sui componenti critici in ingresso, in particolare sulle schede elettroniche. Queste schede, ingegnerizzate a Verona ma prodotte da Exor EMS o da fornitori esterni, vengono sottoposte a diversi test funzionali. La peculiarità è che anche alcuni fornitori utilizzano le stesse tecnologie di test connesse alla piattaforma Corvina. Ogni volta che una scheda viene testata, sia in fabbrica sia presso il fornitore, i dati vengono raccolti in tempo reale. Corvina riconosce la scheda, scarica la “ricetta” di test aggiornata e archivia i risultati nel cloud. Questo permette di avere una visibilità completa sulla qualità della fornitura, di confrontare le performance dei diversi partner e di avere una tracciabilità estesa fino ai lotti dei componenti usati dai fornitori stessi.
L’assemblaggio in ottica Make to Stock
Superato il controllo, i componenti entrano nelle quattro linee di assemblaggio, ciascuna dotata di sei stazioni di lavoro. Qui si svolge la fase MTS. Le linee sono organizzate secondo il principio “One Piece Flow”, capaci cioè di produrre potenzialmente un pezzo diverso a ogni ciclo. Il lavoro è svolto dagli operatori che vengono guidati dalla tecnologia.
Ogni operatore ha di fronte un pannello Exor International che fornisce le istruzioni di montaggio, collegate direttamente al sistema PLM (Product Lifecycle Management) e al MES. Ogni prodotto è accompagnato da un “registry” digitale, una sorta di carta d’identità che traccia ogni singola fase, registrando tempi, materiali e operazioni. Il sistema funziona con una logica di “interlock”: una fase non può iniziare se la precedente non è stata completata e validata correttamente. Al termine di questo processo di assemblaggio, i prodotti affrontano una fase determinante per il controllo qualità: il “burn-in”. I pannelli vengono inseriti in appositi forni e mantenuti a una temperatura di 50°C per un periodo che può arrivare fino a 24 ore. Durante questo tempo, vengono sottoposti a una serie di stress test per individuare eventuali difetti precoci e garantirne l’affidabilità.
“Questa fase, sebbene essenziale, rappresenta un potenziale collo di bottiglia produttivo”, commenta Damiano Vendramini. “Stiamo lavorando molto a livello di dati per capire se c’è la possibilità di ridurre il tempo di permanenza del prodotto nelle camere garantendo la stessa qualità. L’analisi dei dati ci aiuterà a trovare il giusto equilibrio tra la riduzione dei costi e dei tempi e il mantenimento dei nostri standard qualitativi, con un doppio vantaggio: raddoppiare virtualmente la capacità produttiva e ridurre i consumi energetici”.
Superato il burn-in, si ottiene un semilavorato che costituisce il 95% del prodotto finito. Questi semilavorati vengono stoccati in una sorta di supermarket interno pronto a servire la fase successiva.
La personalizzazione (Make to Order)
È nell’ultima parte del flusso che il semilavorato generico si trasforma in un prodotto unico per il cliente. Nella fase MTO, i prodotti vengono prelevati dal “supermarket” e avviati alle linee di personalizzazione. Qui avviene l’iniezione del software specifico, dallo splash screen con il logo del cliente all’abilitazione di determinate funzionalità. Il processo è quasi interamente automatizzato e governato dal sistema informatizzato. Un tag RFID associa il prodotto a un box, e il sistema gestisce la programmazione in parallelo su più unità. Successivamente, una linea di movimentazione automatica smista i prodotti finiti verso la serializzazione (laser o a etichetta) e l’inscatolamento. Si tratta di un sistema “just in time” che elimina la necessità di un magazzino di prodotti finiti.
Il 5G Lab
All’interno dello stabilimento si trova anche un laboratorio dedicato al 5G. Grazie a una collaborazione con TIM, Exor International è stata una delle prime aziende in Italia a poter sperimentare con una rete 5G privata, utilizzando una banda di frequenza dedicata.
Questo laboratorio è un’area di test strategica per verificare come il 5G possa supportare la comunicazione machine-to-machine, offrendo banda larga e bassissime latenze. L’obiettivo è aprire la strada a fabbriche con un cablaggio drasticamente ridotto, più flessibili e veloci da configurare. Le conoscenze acquisite in questo laboratorio sono già state messe a frutto: il nuovo stabilimento produttivo che il gruppo sta per avviare a Cincinnati, negli Stati Uniti, è stato progettato per essere completamente wireless, operando interamente su una rete 5G.
Il ruolo dell’umanoide Robee
A muoversi tra le linee produttive e il laboratorio 5G ci sono anche due esemplari di Robee, il robot umanoide sviluppato da Oversonic. La sua presenza, al momento, è più sperimentale che operativa. Robee può essere addestrato per svolgere diversi task in diverse aree della fabbrica.
Attualmente Robee viene testato in compiti come il posizionamento delle schede elettroniche sulle presse di collaudo o il loro spostamento tra i rack. Le aree di applicazione future più promettenti sono quelle dove le condizioni di lavoro sono più disagevoli per l’uomo. Si pensa al suo impiego per la movimentazione dei prodotti all’interno e all’esterno dei forni per il “burn-in”, dove la temperatura raggiunge i 50°C, o nell’area di “coating”, dove viene applicata una vernice protettiva sulle schede e la presenza umana è limitata per motivi di sicurezza. Il ruolo di Robee, in linea con la filosofia 5.0, non è quello di sostituire l’uomo, ma di affiancarlo, facendosi carico delle operazioni più ripetitive, pesanti o rischiose, e liberando le persone per attività a maggior valore.
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