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Dazi Usa: con un’aliquota al 10%, export giù del 6,5%. Il rischio per le Pmi


Donald Trump, presidente degli Stati Uniti, l’aveva scritto su Truth: le lettere con le quali annunciava i nuovi dazi sugli accordi commerciali sono ormai partite. E i malumori iniziano ad essere diffusi, soprattutto per Giappone e Corea (dazi al 25%) e Laos e Myanmar, con aliquote al 40%. Dal 1° agosto 2025, gli Usa inizieranno a riscuotere.

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IMPRESE FIDUCIOSE

I tempi per la trattativa con l’Unione europea, invece, sono stati dilatati: il clima di incertezza persiste, ma le imprese italiane danno credito alle trattative avviate ad aprile. Infatti, nel mese di giugno l’indice del clima di fiducia delle aziende manifatturiere registra un aumento dopo quello registrato a maggio. Un segnale positivo che si registra dalla ripresa del volume del commercio internazionale: il +4,4% nel primo quadrimestre del 2025 è nettamente migliore rispetto al +2,4% di un anno fa.

E L’ITALIA?

Il nostro Paese fa parte dell’Unione europea, ma i dazi americani non sono identici in tutti i settori economici. A presentare un’analisi è l’istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi): “Se il dazio minimo verso la Ue è ora al 10% (inizialmente era al 20%), sui singoli prodotti potranno esserci dazi più alti: per esempio, quelli sulle importazioni di alluminio e acciaio sono arrivati al 50% e quelli sugli autoveicoli al 25%. Sul settore farmaceutico, invece, sono state promosse alcune esenzioni e, di conseguenza, i tassi sono più bassi.

Il dazio effettivo dipende da quali prodotti si esportano verso gli Stati Uniti e, sotto questo punto di vista, Italia ne esce più penalizzata rispetto ad altre nazioni: se già prima dell’arrivo di Trump il dazio medio applicato al nostro paese gravitava intorno al 2,1% (contro l’1,3% medio della Ue), a maggio era ormai arrivato all’8%. Peggio di noi fa la Germania (11%), mentre la Francia si ferma al 6,4%”.

GLI EFFETTI DIRETTI E INDIRETTI DEI DAZI SUL MADE IN ITALY

I dazi peseranno, ovviamente, sull’export diretto negli Stati Uniti, ma ci sarà anche un effetto indiretto generato da una minore domanda di Paesi che esportano prodotti negli Stati Uniti, che utilizzano semilavorati e macchinari prodotti in Italia.

Il mercato statunitense vale oro per il Made in Italy: negli ultimi dodici mesi, le nostre imprese hanno spedito oltreoceano prodotti per un valore di 66.618 milioni di euro. Secondo i dati del Ministero delle Imprese e del Made in Italy (Mimit), con dazi al 20% le esportazioni delle imprese italiane si ridurrebbero del 10%, mentre con un’aliquota al 10% il calo sarebbe del 6,5%.

I DAZI PEGGIORANO IL TREND NEI SETTORI DELLE PMI

Nel primo quadrimestre 2025, inoltre, l’export verso gli Stati Uniti ha segnato una crescita dell’8,2%, combinazione del forte aumento nel settore farmaceutico (+75,5%) e di una riduzione nei restanti settori della manifattura (-2,6%).

IL VALORE DELL’EXPORT NELLE PMI

Alimentare, moda, legno e arredo, prodotti in metallo, altre manifatture (che comprendono gioielleria e occhialeria) sono settori nei quali le Pmi concentrano più del 60% dell’occupazione: nel 2025, per questi comparti l’export valeva 17.870 milioni di euro, lo 0,9% del Pil. Nel primo trimestre, l’aumento era arrivato all’1%.

La performance è il risultato di una media statistica che mette in evidenza oscillazioni non sempre incoraggianti. Se l’alimentare e la moda mantengono un trend positivo con, rispettivamente, un +9,3% e un + 3,6%, a restare in territorio negativo sono le altre manifatture (compresi occhialeria e gioielleria) con -9,7%, i prodotti in metallo (-6,8%) e i mobili (-2%).

Sulla competitività del Made in Italy sul mercato americano pesa il deprezzamento del dollaro rispetto all’euro: 11,2% tra gennaio e giugno 2025.

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I TERRITORI PIU’ ESPOSTI SUL MERCATO USA

Un’esposizione superiore alla media si registra nelle piccole e medie imprese di otto regioni:

  • Toscana: 2.943 milioni di export pari al 2,3% del Pil. I settori più attivi sono la moda (51,6%) e l’alimentare (21,8%)
  • Veneto: 3.094 milioni pari al 1,7% del Pil. L’export maggiore si concentra nella manifattura, soprattutto gioielleria e occhialeria (56%) e moda (17,2%)
  • Umbria: 344 milioni pari al 1,4% del Pil. I settori più coinvolti sono la moda (72,1%) e l’alimentare (17,6%)
  • Friuli-Venezia Giulia: 568 milioni pari al 1,3% del Pil. L’export maggiore lo fanno i settori dei mobili (64,5%) e dell’alimentare (19,2%)
  • Marche: 487 milioni pari al 1% del Pil. I settori: moda (37,1%) e prodotti in metallo (24,9%)
  • Lombardia: 4.419 milioni pari all’1% del Pil. L’export maggiore si trova nella moda (45,5%) e nei prodotti in metallo (21,4%)
  • Finanziamenti e agevolazioni

    Agricoltura

     

  • Emilia-Romagna: 1.636 milioni pari allo 0,9% del Pil. I settori più attivi sono l’alimentare (52,9%) e la moda (21,5%)
  • Campania: 1.104 milioni pari allo 0,9% del Pil, con un maggiore export per l’alimentare (82,7%) e la moda (10,5%).

LA TOP TEN DELLE PROVINCE

Per quanto riguarda i settori chiave delle piccole e medie imprese, le dieci province più esposte sui mercati statunitensi sono:

  • Belluno: 805 milioni pari al 10,8% del Pil, con un maggiore export per altre manifatture, prevalentemente occhialeria (97,9%) e moda (1%)
  • Arezzo: 557 milioni pari al 4,8% del Pil, con un maggiore export per altre manifatture, prevalentemente gioielleria (89,6%)
  • Vercelli: 212 milioni pari al 3,9% del Pil, con un concentrazione nella moda (91,5%)
  • Firenze: 1.546 milioni pari al 3,6% del Pil. I settori più attivi sono la moda (83,7%) e l’alimentare (7,1%)
  • Dilazione debiti

    Saldo e stralcio

     

  • Grosseto: 220 milioni pari al 3,6% del Pil, quasi interamente determinato dall’alimentare (99,7%)
  • Pordenone: 353 milioni pari al 3,3% del Pil, con un maggiore export per mobili (84,6%) e alimentare (8,9%)
  • Vicenza: 933 milioni pari al 2,7% del Pil, con al top gioielleria (46,9%) e moda (31,6%)
  • Salerno: 536 milioni pari al 2,3% del Pil, con una concentrazione nell’alimentare (93,5%)
  • Pesaro e Urbino: 215 milioni pari al 1,9% del Pil. I settori che vanno per la maggiore sono i prodotti in metallo (52,2%) e i mobili (33,9%)
  • Biella: 91 milioni pari al 1,8% del Pil. L’export maggiore si trova nella moda (91,9%) e nelle altre manifatture (7,2%)

COME SUPERARE LA FASE CRITICA

Confartigianato sottolinea l’importanza del confronto: «Italia e Unione europea devono mantenere aperto il dialogo con Washington per scongiurare un’escalation protezionistica che, in particolare, penalizzerebbe i territori fortemente esposti come Toscana, Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna. Allo stesso tempo, il Governo italiano dovrà mettere in campo misure concrete per sostenere la competitività internazionale soprattutto delle piccole e medie imprese: strumenti per la diversificazione dei mercati, incentivi all’innovazione e investimenti infrastrutturali ed energetici che rafforzino la resilienza del nostro sistema produttivo. D’altronde, gli imprenditori hanno sempre dimostrato di affrontare le sfide globali con qualità, flessibilità e radicamento nei territori. Ora serve una visione strategica che le accompagni e le tuteli in questa nuova fase di incertezza».

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