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Perché la Cina regala la sua tecnologia


Le fondamenta dell’economia digitale sono fatte di software open source (cioè di programmi aperti a tutti per verifiche o modifiche), che chiunque può usare liberamente. La maggior parte dei siti web del mondo funziona grazie ad Apache e Nginx. I server informatici usano per lo più Linux, che è anche la base del sistema operativo Android di Google. E Kubernetes è ampiamente usato per gestire i carichi di lavoro nel cloud. Sono tutti open source. Il software viene mantenuto e migliorato da una comunità globale di sviluppatori.

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La Cina, che è rimasta a lungo ai margini di questa comunità, negli ultimi anni ne è diventata parte integrante. Dopo gli Stati Uniti e l’India, oggi è il paese d’origine del gruppo di sviluppatori più numeroso su GitHub, il maggior contenitore di software open source del mondo. I colossi tecnologici cinesi, tra cui Alibaba, Baidu e Huawei, forniscono generosamente fondi e contributi. La Cina è stata particolarmente attiva nello sviluppo di modelli di intelligenza artificiale (ia) open source, compresi quelli della DeepSeek, una startup di ia che ha colto il mondo di sorpresa a gennaio, quando ha rilasciato dei modelli all’avanguardia sviluppati con risorse molto limitate. Secondo il sito di valutazioni indipendente Artificial Analysis, dodici dei quindici principali modelli di ia open source sono cinesi.

L’interesse del paese asiatico per l’open source è stato alimentato dagli sforzi degli Stati Uniti per ostacolare il suo rivale. Limitare l’accesso della Cina al codice liberamente disponibile online è difficile per un governo straniero. Ren Zhengfei, fondatore dell’azienda di elettronica Huawei, ha dichiarato al giornale del Partito comunista cinese People’s Daily che non c’è da preoccuparsi per le restrizioni tecnologiche statunitensi, perché “ci saranno migliaia di software open source in grado di soddisfare le esigenze di tutta la società”.

Eppure la diffusione del software libero, che si basa sulla trasparenza e la decentralizzazione, è una faccenda delicata per uno stato autoritario come la Cina. Se il partito smettesse di tollerare questo metodo e decidesse di esercitare un controllo più stretto, l’innovazione potrebbe risentirne ed esportare tecnologia cinese all’estero diventerebbe più difficile.

Il movimento open source in Cina ha cominciato a prendere slancio alla metà degli anni dieci del duemila. Richard Lin, cofondatore di Kaiyuanshe, un gruppo locale di promozione del software libero, ricorda che la maggior parte degli utenti all’inizio erano sviluppatori in cerca di programmi gratuiti. La situazione è cambiata quando hanno capito che contribuire a progetti open source poteva aiutarli col lavoro e la carriera. Presto si sono aggiunte le grandi aziende: imprese come la Huawei hanno sostenuto i progetti open source per attirare talenti e ridurre i costi attraverso la condivisione di tecnologia.

Il momento di svolta è arrivato nel 2019, quando gli Stati Uniti hanno di fatto impedito alla Huawei di usare Android. Questo ha fatto aumentare gli sforzi per ridurre la dipendenza dalla tecnologia occidentale. L’open source offriva alle aziende tecnologiche cinesi un modo più rapido di prendere codice già esistente e costruire programmi con l’aiuto di una vasta comunità di sviluppatori. Nel 2020 l’azienda ha lanciato OpenHarmony, una famiglia di sistemi operativi open source per smartphone e altri dispositivi. Ha inoltre aderito insieme ad altre – come Alibaba, Baidu e Tencent – alla creazione della OpenAtom Foundation, un’organizzazione dedicata allo sviluppo del software libero. La Cina è rapidamente diventata non solo un paese che contribuiva ampiamente ai programmi open source, ma anche un’anticipatrice nell’adozione di questi software. Il sito di commercio elettronico JD.com è stato tra i primi a usare Kubernetes.

L’ia di recente ha dato nuovo slancio al movimento. Le aziende cinesi, come il governo, vedono nei modelli open source il modo più veloce per ridurre il divario con gli Stati Uniti. I modelli di ia di DeepSeek hanno suscitato il maggior interesse, ma anche Qwen, sviluppato da Alibaba, è molto apprezzato, e Baidu ha annunciato che presto renderà open source il modello alla base del suo chatbot Ernie.

L’entusiasmo della Cina per la tecnologia open si estende anche all’hardware. La Unitree, una startup di robotica con sede a Hangzhou, ha reso disponibili gratuitamente i propri dati di addestramento, algoritmi e progetti hardware, nella speranza di contribuire a definire gli standard globali. I semiconduttori rappresentano un altro esempio. La Cina dipende dai progetti delle aziende occidentali di microchip. Come parte del suo sforzo per l’autosufficienza, il governo sta incoraggiando le imprese ad adottare RISC-V, un’architettura per microchip aperta, sviluppata all’università della California a Berkeley.

Molte aziende cinesi sperano anche che una tecnologia più trasparente possa aiutarle a far accettare i propri prodotti all’estero. Ma non è detto. Il sistema operativo della Huawei ha trovato pochi utenti al di fuori della Cina. E anche se alcune aziende occidentali stanno sperimentando i modelli di DeepSeek, un dirigente di una multinazionale di software aziendale afferma che molti clienti al di fuori della Cina non vogliono avere nulla a che fare con gli strumenti di ia cinesi. Alcuni temono interruzioni dovute a future restrizioni statunitensi. Altri temono che nel codice possano essere nascoste delle falle per consentire attività di spionaggio.

Le ambizioni open source della Cina potrebbero essere compromesse anche in altri modi. Qi Ning, un ingegnere informatico cinese, osserva che durante le conferenze internazionali dedicate all’open source, i partecipanti evitano sempre più spesso di nominare i collaboratori cinesi, per questioni di immagine o per timore di conseguenze politiche.

Anche il governo statunitense potrebbe rendere più difficile la vita agli sviluppatori cinesi. Potrebbe, per esempio, cercare di escludere la Cina da GitHub, di proprietà della Microsoft, per timore che sequenze di codice dannose siano inserite nei software usati in tutto il mondo. Molti sviluppatori cinesi, afferma Qi, temono “problemi di accesso in futuro”. Il governo di Pechino invita a usare la piattaforma Gitee, un’alternativa nazionale. Ma pochi programmatori locali la usano. L’anno scorso alcuni legislatori statunitensi hanno proposto di limitare l’accesso della Cina al Risc-V (un’insieme di istruzioni di base per microprocessori), anche se Andrea Gallo, responsabile dell’ente svizzero che sovrintende alla tecnologia, sostiene che è impossibile perché è uno standard pubblico, come l’usb.

Tuttavia, è Pechino stessa a rappresentare la minaccia più grande per l’esperimento open source cinese, anche se in linea di principio lo approva. Nel 2021 il governo ha limitato l’accesso a GitHub, preoccupato che la piattaforma potesse essere usata per ospitare contenuti politicamente sensibili. Gli sviluppatori si sono rapidamente rivolti a reti private virtuali (che mascherano la posizione dell’utente) per aggirare l’ostacolo, ma l’episodio ha messo in allarme molti. Nel 2022 il governo ha annunciato che tutti i progetti su Gitee sarebbero stati soggetti a una revisione ufficiale e che i programmatori avrebbero dovuto certificare la loro conformità alla legge cinese.

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Qualcosa di simile sta succedendo alle ia. La legge cinese vieta che producano contenuti potenzialmente dannosi per “l’unità del paese e l’armonia sociale”. Nel 2023 Hugging Face, una piattaforma franco-statunitense per la condivisione di modelli di ia open source, è diventata inaccessibile in Cina.

Il movimento open source cinese è organizzato, alimentato da sviluppatori e aziende tecnologiche. Il governo finora lo ha incoraggiato perché serve ai suoi obiettivi di accelerare l’innovazione e ridurre la dipendenza dalla tecnologia occidentale. Tuttavia, se i leader cinesi limiteranno la cultura della libertà e della sperimentazione su cui si basa la tecnologia open, ne ridurranno il potenziale.

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