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Le critiche sul rapporto sul genocidio a Gaza? Ho raccontato una realtà che esiste da anni


di Francesca Albanese – 06/07/2025

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Fonte: fanpage

Intervista a Francesca Albanese, relatrice speciale ONU per i diritti umani nei territori palesinesi
A cura di Antonio Musella

La relatrice speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani nei territori palestinesi, Francesca Albanese, ha consegnato il suo ultimo rapporto. Un documento immediatamente attaccato dall’amministrazione di Donald Trump che ne ha chiesto addirittura la rimozione. La giurista italiana si è concentrata sulle aziende private di tutto il mondo che stanno guadagnando milioni grazie al genocidio a Gaza e alle politiche di occupazione portate avanti dal governo Netanyahu in Cisgiordania, con la distruzione dei villaggi palestinesi e l’allargamento delle colonie illegali.
Un rapporto, quello della Albanese, che descrive una vera e propria economia globale legata all’occupazione dei territori palestinesi e al mantenimento dell’offensiva militare a Gaza. Produttori di armi, produttori di aerei e droni, ma anche aziende che sviluppano tecnologie, università che prestano i loro cervelli per la ricerca e l’innovazione bellica, ma anche aziende di bulldozer, ruspe e gru, strumenti sempre presenti nelle politiche di occupazione. In questa intervista abbiamo provato a delineare i contorni del rapporto che per la prima volta non mette nel mirino solo le oggettive responsabilità degli Stati, ma anche quelle delle aziende private che stanno beneficiando della tragedia che si sta consumando a Gaza ed in Cisgiordania.

Tracciamo i contorni del suo rapporto, di questo lungo lavoro che ha ultimato.
“Il mio rapporto racconta di una realtà che sarebbe dovuta essere messa in luce già anni fa, cioè che Israele nel tempo, in quello che rimane dei territori palestinesi occupati, ha creato una vera e propria economia dell’occupazione, come parte integrante del suo progetto di colonizzazione. Il disegno è quello di cancellare i territori palestinesi, scacciare questi dalle loro terre, rimpiazzandoli con i coloni, e per fare questo hanno utilizzato tre settori. Il primo è quello della distruzione, cioè le armi, gli strumenti prodotti dalle imprese civili per abbattere le case palestinesi, ma anche l’acquisto massiccio di cancelli, muri, blocchi di cemento e ferro, tutto quello che serve per spostare e innalzare confini, che riguarda tutti materiali che sono dual use, sia civile che militare. Il secondo settore è quello della costruzione, cioè una volta distrutte le case dei palestinesi bisogna costruire quelle per i coloni, ma anche creando un tessuto protetto di produzione di beni e servizi, fatto tutto dai coloni. Basti pensare che i prodotti al dettaglio lavorati nelle colonie costano meno degli altri, perché ad esempio non pagano l’energia. In questo settore ci inserirei anche l’economia legata al turismo internazionale, che fa appunto parte dei progetti di ricostruzione dei territori una volta cacciati via i palestinesi. Il terzo settore è quello dei facilitatori, le banche principalmente, i fondi pensione e anche le università. Questa è l’economia dell’occupazione, che è criminale in sé per sé”.

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Da dove vengono le aziende che hanno fatto affari in questa economia dell’occupazione?
“Innanzitutto le imprese coinvolte non solo non si sono sottratte all’uso delle loro produzioni, che sono finalizzate all’occupazione dei territori palestinesi, così come avrebbero dovuto fare ai sensi del diritto internazionale, ma hanno invece implementato le produzioni. Hanno avuto un ruolo nella guerra genocidaria a Gaza, ad esempio. Tra le aziende che ho investigato il 20% sono statunitensi, invece una percentuale che va tra il 20% ed il 30% sono europee”.

Tra quelle italiane quali possiamo citare?
“La Leonardo gioca un ruolo fondamentale. Nella produzione di armi, nella consulenza tecnica, nello sviluppo di nuove tecnologie sempre votate ad avere un ulteriore “successo” bellico. La Leonardo contribuisce sia in modo diretto che in modo indiretto, infatti è anche un luogo di transito grazie ai partenariati con le università. Ci sono tanti investimenti su questo tipo di economia grazie alla Leonardo, che a sua volta fornisce proprio il know how sulla parte di armamenti e su quella per le tecnologie. Ci sono anche altre aziende italiane e piano piano le sveleremo”.

Ci sono anche aziende che producono mezzi e strumenti per le costruzioni e le demolizioni, quali sono?
“Possiamo citare la Volvo e la Hyundai ad esempio. I loro mezzi vengono utilizzati per la demolizione dei villaggi palestinesi e anche per la costruzione e l’allargamento delle colonie. Anche loro partecipano in maniera importante all’economia dell’occupazione e ne hanno tratto grandi profitti”.

In questo quadro di interessi del settore privato esiste anche una responsabilità degli Stati?
“Gli Stati sono responsabili prima di tutti, perché sono loro ad avere gli obblighi di riconoscere le sanzioni nei confronti di Israele. Avrebbero già dovuto tagliare tutti gli accordi commerciali e soprattutto il trasferimento e la vendita di armi di sorveglianza. Avrebbero dovuto già prendere misure, invece sono lì, come il governo italiano, a storcersi le vesti chiedendosi se devono riconsiderare l’accordo di partenariato militare con Israele. Certo che lo devono assolutamente sospendere. Non capisco questo doppio standard quando si parla di Israele, o meglio lo capisco e mi dà ancora più fastidio perché è proprio ideologico e razzista. C’è un doppiopesismo quando si parla della Russia o della Siria e quando si parla di Israele, che commette crimini gravissimi e lo si giustifica sempre. Gli Stati sono responsabili in quanto violano il diritto internazionale e fomentano l’impresa di Israele, e sono responsabili anche di ciò che fanno le imprese, perché dovrebbero impedirglielo. Le imprese ora devono cominciare a pagare in prima persona, deve esserci un momento di svolta”.

Tra i soggetti interessati all’economia dell’occupazione ci sono anche le università…
“Ce ne sono anche molte tra quelle italiane, le renderemo pubbliche dopo aver fatto le procedure di messa in mora. Hanno delle responsabilità attraverso gli accordi di partenariato, anche con le università israeliane che hanno un ruolo nelle politiche di apartheid nei confronti dei palestinesi. Sono le stesse università che non hanno detto nulla mentre Israele distruggeva 11 università a Gaza, oltre a tutto il settore educativo, alle scuole. Hanno invece represso chi si è esposto ed espresso solidarietà con i palestinesi. E poi hanno un ruolo nello sviluppo della tecnologia militare, dei servizi di sorveglianza, ma anche sulle ricerche sull’acqua ad esempio. Tutte le università italiane, e poi saremo più dettagliati in futuro, quando tutti gli iter saranno completati, che hanno accordi con le università israeliane che partecipano alle politiche di occupazione, sono complici”.

Ha sentito gli attacchi di Trump al suo rapporto, cosa si sente di dire?
“Niente. Continuerò semplicemente a fare il mio lavoro”.





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