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Rubio (Intrum): «Stipendi crollati con il caro-prezzi, una famiglia su quattro si indebita per arrivare a fine mese»


di
Francesco Bertolino e Nicola Saldutti

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Il ceo del maggior gestore di crediti in Europa: «Il processo di ristrutturazione del nostro debito è concluso, ora siamo più redditizi e più efficienti grazie all’intelligenza artificiale»

«Un quarto dei consumatori europei riesce a risparmiare a fine mese, il 50% va in pari, un altro 25% deve chiedere finanziamenti per coprire le spese ordinarie: a quest’ultimo gruppo appartengono i nostri 25 milioni di clienti, persone che si trovano in difficoltà e non riescono a restituire il dovuto». Andrés Rubio è dal 2022 alla guida della svedese Intrum, la maggior azienda di gestione del credito in Europa con 75 mila società clienti e un portafoglio di 200 miliardi di crediti, circa 40 dei quali gestiti in Italia attraverso l’alleanza con Intesa Sanpaolo. «Ogni anno aiutiamo 5 milioni di clienti a saldare i loro debiti e a rientrare nella comunità finanziaria, riacquistando per esempio l’acceso ai conti e al credito bancari», rivendica il ceo del gruppo, anch’esso prossimo a chiudere un processo di rinegoziazione del debito.

Il vostro è un termometro della salute dell’economia europea: che temperatura segna?
«Nelle crisi del passato si perdeva il lavoro e, quindi, la principale fonte di reddito; oggi la disoccupazione è minima, ma il potere d’acquisto degli stipendi è crollato a causa dei costi dell’energia, dell’inflazione e dell’aumento dei tassi di interesse. È per questo che un quarto dei consumatori si indebita per pagare le bollette, i mutui, la telefonia e, talvolta, il peso di questi prestiti diventa insostenibile. È qui che entriamo in gioco noi».




















































Con quali strumenti?
«Fra mail, chiamate, lettere e messaggi i nostri 9000 dipendenti gestiscono 160 milioni di interazioni all’anno, di cui 32 milioni di telefonate. Una mole enorme di contatti che stiamo lavorando per rendere più efficiente».

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Come?
«L’intelligenza artificiale ci aiuta a decidere quale sia l’approccio a un consumatore con maggiori chance di ottenere risposta. Da quando lo utilizziamo, il tasso di recupero è aumentato del 35% e i costi sono scesi del 20%. Ora stiamo sperimentando le chiamate con l’AI: in Italia faremo un test a luglio e puntiamo a lanciarle verso la fine dell’anno».

Siete sicuri che le persone vogliano discutere di debiti con un robot?
«Le persone preferiscono avere a che fare con un assistente digitale perché non si sentono giudicate. Sinora i test stanno andando molto bene: su 100 telefonate con l’AI 30 vanno alla segreteria, ma le 70 che ricevono risposta hanno un tasso di successo dell’80%. Il nostro obiettivo è trasformarci da azienda di recupero crediti che impiega la tecnologia ad azienda tecnologica che si occupa anche del recupero crediti».

L’AI andrà a ridurre la vostra forza-lavoro?
«Diminuirà sicuramente la quantità di persone necessarie per svolgere attività di contatto. Avremo però a disposizione dipendenti che potranno svolgere mansioni più complesse e quindi avere competenze più sofisticate: è una transizione inevitabile».

L’anno scorso avete avviato anche voi un processo di ristrutturazione del debito: a che punto siete?
«Il piano è stato approvato dal 97% delle banche e dall’83% degli obbligazionisti e ha ricevuto il via libera da tutti i tribunali. Ci mancano alcune piccole autorizzazioni procedurali e sarà concluso: a quel punto il nostro debito riceverà un taglio del 10%, di circa 300 milioni, e sarà rimodulato nelle scadenze; in cambio i creditori riceveranno il 10% del capitale di Intrum».

Perché questa manovra finanziaria?
«Prima del mio arrivo, Intrum era più un compratore di crediti deteriorati che un gestore di posizioni altrui. Chiedeva quindi a prestito le somme da investire nell’acquisto di portafogli che poi davano un rendimento nel corso degli anni. Questa strategia ha due difetti: si alimenta di debito e richiede un accesso ai mercati ininterrotto; se per qualsiasi ragione si bloccano, va in sofferenza. Per questo ho deciso di cambiare il nostro modello di attività».

Come?
«Ho ribaltato la strategia: oggi Intrum si concentra sui servizi di gestione del credito per i suoi 75 mila clienti. Abbiamo poi stretto un’alleanza con il fondo Cerberus per l’acquisto dei portafogli: loro mettono il 70% dell’investimento, noi il 30% e in più incassiamo le commissioni sulla gestione di tutte le posizioni. Abbiamo già realizzato sei operazioni in Italia con questo modello che richiede meno capitali ed è più redditizio».

Dopo anni di grande attenzione e allarme, il mercato italiano dei crediti deteriorati sembra però anestetizzato: è così?
«Faccio questo lavoro da oltre 20 anni e periodicamente sento dire che il mercato di npl (debiti scaduti da oltre 90 giorni, ndr) è finito. Ogni grande economia, compresa quella italiana, attraversa cicli e ora ci troviamo in uno favorevole. Ciononostante, l’anno scorso il sistema ha prodotto quasi 20 miliardi di npl lordi, una somma comunque rilevante».

La contrazione del mercato porterà a una selezione dei gestori?
«Sicuramente, anche le normative spingono in questo senso. Il mercato italiano è già molto regolato, gli altri meno: in Francia, per esempio, è stata da poco introdotta una licenza per il recupero crediti e dei 300 sedicenti servicer solo 10 la possiedono. Fra cui noi».

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Siete pronti a svolgere un ruolo attivo in questa concentrazione del mercato?
«In tutti e 20 i mercati di attività Intrum è il numero uno o due: quindi possiamo cogliere opportunità di acquisizioni, ma non abbiamo necessità di farne».


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6 luglio 2025

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