Nello stabilimento industriale di Termini Imerese, che si trova a pochi chilometri da Palermo e fu uno dei più grandi del Sud Italia, non si produce più nulla. Per circa quarant’anni la Fiat ci aveva costruito automobili, dando lavoro fino a 3.200 operai; poi nel 2011 chiuse lo stabilimento, sostenendo che produrre lì fosse troppo costoso. L’area è oggi solo un grande recinto dal perimetro di circa 2 chilometri; contiene macchinari abbandonati e tonnellate di oli esausti da smaltire.
Dopo vari tentativi falliti di rilancio ora lo Stato ci sta riprovando, e nel 2024 ha venduto l’area a una società attraverso una gara. Pochi mesi dopo sono entrati altri due soci che hanno acquistato la maggioranza delle quote, cambiando di fatto proprietà. Quest’ultimo sviluppo porta con sé diversi interrogativi: innanzitutto non è chiaro se questo abbia violato i termini della gara, e poi non si sa né in che modo i nuovi soci vogliano rilanciare l’impianto, visto che non si erano presentati alla gara, né cosa voglia fare il governo ora.
Lo stabilimento di Termini Imerese è il simbolo di un doppio fallimento. Il primo: il fallimento di un’idea di “industria di Stato”, visto che Fiat ebbe molti finanziamenti pubblici prima di andarsene altrove. Il secondo: il fallimento della riconversione dell’area stessa, visto che la società che se la aggiudicò nel 2015 è accusata di essersi appropriata indebitamente di 16 milioni di fondi pubblici concessi dallo Stato per il rilancio. La società si chiamava Blutec ed era dell’imprenditore torinese Roberto Ginatta. Nel 2022 il tribunale di Torino condannò in primo grado Ginatta a 7 anni di reclusione per bancarotta fraudolenta, malversazione e riciclaggio.
E oggi la storia del mancato rilancio di Termini Imerese rischia di continuare. Negli ultimi tre anni, infatti, l’impianto è stato gestito da tre commissari di Stato. Poi, come previsto dalla legge 39 del 2004, il ministero delle Imprese e del Made in Italy l’ha messo in vendita con una gara pubblica. Nel maggio del 2024 si è aggiudicata terreni e impianti la Pelligra Italia Holding, società posseduta dall’imprenditore australiano di origini siciliane Rosario “Ross” Pelligra, per 8,5 milioni di euro. Ma nel gennaio del 2025, appena sette mesi dopo l’aggiudicazione, Pelligra Italia Holding ha ceduto il controllo della società ad altri due soci.
Il primo è Nicolosi Trasporti, azienda catanese di logistica che ha rilevato il 70,22% del capitale. Il secondo è il CAEC (Consorzio Artigiano Edile Costruttori), una cooperativa di costruzioni con sede a Comiso (Ragusa) che oggi ha il 19,78%. Il piano industriale giudicato vincente, tra quelli in gara, lo aveva presentato la Pelligra Italia Holding, eppure ora le rimane solo il 10% della società.
Il fatto che una gara pubblica così rilevante sia stata vinta da un’impresa che poi ha ceduto il controllo ad altri è inusuale. Peraltro in questo caso c’è il dubbio che vada contro le regole della gara: un allegato al bando prescriveva che la società vincitrice mantenesse per almeno due anni lo stesso assetto societario con cui si presentava alla gara.
Il ministero delle Imprese dice che siccome la Pelligra Italia Holding non era una «Newco», cioè una nuova società costituita appositamente per partecipare al bando, quell’allegato non «trova applicazione». Tuttavia aggiunge che «sono in corso valutazioni sulle operazioni che hanno portato al cambio di governance».
Il cambio di assetto societario è rilevante anche per un altro motivo: per il rilancio del sito sono disponibili – come fu per Blutec a suo tempo – cospicue risorse pubbliche. Un accordo tra ministero delle Imprese, Regione Siciliana, comune di Termini Imerese e Invitalia (l’agenzia per lo sviluppo industriale controllata dal ministero dell’Economia e delle Finanze) stanzia complessivamente 105 milioni di euro tra fondi statali e regionali. Il versamento di questi soldi è condizionato al fatto che il rilancio industriale dell’area rispetti alcuni criteri: sostenibilità ambientale, modelli di crescita circolare, investimenti in ricerca applicata e nascita e sviluppo di startup innovative.
Ma per capire a cosa saranno eventualmente indirizzati questi 105 milioni di euro bisogna mettere un punto, e guardare più nel dettaglio le società in questione.
La Pelligra Italia Holding venne costituita nel novembre 2022 a Milano con un capitale sociale piuttosto basso, di 10mila euro. Al momento della gara era una “scatola vuota”, come si dice in questi casi, cioè un’azienda a bassa patrimonializzazione garantita però a monte da una holding più solida con sede in Australia. Attraverso una catena formata da altre due società (la Pelligra Australia e la Pelligra Capital Funding) costituite anch’esse nel 2022, la società faceva riferimento a Pelligra Group, società di diritto australiano fondata molti anni fa da Tony Pelligra, padre di Ross. Pelligra Group è attiva nello sviluppo immobiliare e nelle costruzioni, in Australia ha riqualificato il grande impianto ex Ford a Geelong e numerosi stabilimenti manifatturieri, convertendoli in poli produttivi di altra natura: la stessa cosa che avrebbe dovuto fare a Termini Imerese.
Il cambio di assetto societario è avvenuto a gennaio del 2025. Pelligra Italia Holding ha fatto un aumento di capitale sociale (da 10mila a 100 mila euro) sostenuto interamente dagli altri due soci, Nicolosi Trasporti e CAEC, cosa che ha diluito la quota di Ross Pelligra al 10%. Nel verbale di assemblea in cui è stato disposto l’aumento di capitale, certificato il 7 gennaio 2025 da uno studio notarile di Brescia, si legge che tramite sei bonifici Nicolosi e CAEC hanno versato nelle casse della società un totale di 9,1 milioni di euro. Che è una cifra molto vicina agli 8,5 milioni che Pelligra aveva pagato per l’acquisizione dell’area dopo aver vinto la gara pubblica.
Una vista della centrale elettrica Enel, nella grande area di Termini Imerese che comprende anche l’ex stabilimento industriale FIAT (Emiliano Mancuso/contrasto)
Le attività di Ross Pelligra e del gruppo Nicolosi si erano già incrociate in una precedente occasione. Nel 2020 Gaetano Nicolosi, che guida la società di famiglia, fondò con altri imprenditori catanesi un consorzio per risanare la squadra di calcio del Catania, dopo la travagliata gestione dell’imprenditore Antonino Pulvirenti. Nicolosi assunse la presidenza del consorzio, di fatto divenendo proprietario del club calcistico, ma il consorzio e il Catania vennero poi dichiarati falliti nel dicembre 2021. Il titolo sportivo venne acquisito nel giugno del 2022 proprio da Ross Pelligra, che è l’attuale presidente del nuovo Catania FC. In questo caso i due imprenditori si sono dati il cambio a parti invertite rispetto a Termini Imerese.
In quanto soci di maggioranza, Nicolosi Trasporti e CAEC gestiranno di fatto il rilancio industriale dell’area, ma non sono gruppi industriali in senso stretto visto che si occupano di logistica e costruzioni. Nicolosi Trasporti è un’azienda fondata nel 1962 che offre trasporti nazionali e internazionali e servizi di logistica, stoccaggio e distribuzione. Opera in Europa e con collegamenti anche verso il Nord Africa, in particolare Tunisia, Algeria e Libia. È un’azienda finanziariamente in salute: i ricavi nel 2023 sono stati di circa 59,5 milioni di euro, in crescita dai 36,1 milioni di due anni prima, e gli utili sono stati di 784mila euro (erano 689mila nel 2021). Il consorzio CAEC venne fondato nel 1982 e raggruppa circa 250 imprese edili e artigiane, con un fatturato di quasi 690 milioni nel 2023.
Costruire un polo di logistica per la grande distribuzione siciliana potrebbe essere un esito di questa vicenda, anche se non sarebbe un caso di rilancio industriale nel solco dell’accordo di programma. Bisognerebbe anche capire come questo eventuale polo logistico possa legarsi o sovrapporsi a un altro progetto: da oltre 30 anni a Termini Imerese si discute infatti di un interporto, cioè una piattaforma pubblica di logistica che incroci il trasporto marittimo con quello ferroviario e autostradale, come già avviene a Catania. È un progetto che ha ottenuto 30 milioni di fondi europei ma di cui dopo anni non si ha ancora il piano di fattibilità. La costruzione di un altro centro logistico privato a pochi chilometri di distanza dall’interporto potrebbe diventarne un’integrazione ma anche fargli concorrenza.
Il fatto che la società che si è aggiudicata l’area di Termini Imerese non sia la stessa che gestirà il rilancio dell’area lascia diversi dubbi alle persone che a vario titolo hanno seguito la gara e che il Post ha sentito per questo articolo. Il punto è se la nuova compagine societaria abbia le competenze giuste, e assicuri in questo un buon uso dei fondi pubblici a disposizione. L’unica cosa certa per ora è che, come previsto dalla gara di aggiudicazione, 183 ex lavoratori della Blutec sono stati accompagnati alla pensione anticipata anche grazie a 15 milioni della Regione Sicilia. Altri 350 operai della vecchia società sono stati assunti dalla Pelligra Italia Holding: per la loro riqualificazione sono disponibili altri 15 milioni, sempre della Regione.
Di sicuro il cambio di assetto societario della Pelligra Italia Holding ha attenuato l’entusiasmo dei politici locali, che oggi sembrano piuttosto cauti e reticenti sulla vicenda.
Nell’ottobre del 2024 l’assessore regionale alle Attività produttive, Edy Tamajo, aveva detto che dopo anni di abbandono «il governo Schifani ha portato nuova vita in un polo industriale che sembrava perduto», e che la vendita a Pelligra costituiva «un momento storico per Termini Imerese, per la Sicilia e per la politica industriale italiana». Furono dello stesso tenore i commenti del presidente della Sicilia Renato Schifani: «Siamo fiduciosi che il Gruppo Pelligra, attraverso il suo piano industriale, saprà dare nuova vita a un’area che è da sempre fondamentale per l’economia di tutta l’isola».
Anche se sono stati contattati diverse volte dal Post, sia Schifani che Tamajo non hanno voluto commentare i problemi legati al cambio di governance. Quella di Schifani e Tamajo non è l’unica reticenza.
Malgrado abbia vinto una gara pubblica, il piano industriale della società Pelligra Italia Holding non è stato fin qui reso noto. Il ministero delle Imprese, a cui il Post ha chiesto di visionare il piano, ha fatto sapere che «i documenti presentati in sede di gara sono riservati e non possono essere prodotti». Tuttavia, secondo la legge 241 del 1990, non dovrebbe essere così per le «parti interessate»: il secondo classificato nella gara di aggiudicazione, la cordata di imprese formata da Sciara Holding e Smart City Group, ha fatto la stessa richiesta ma non ha ricevuto il piano. Lo stesso è accaduto al deputato Anthony Barbagallo, del Partito Democratico, che il 16 giugno ha rivolto un’interrogazione parlamentare al titolare del ministero delle Imprese, Adolfo Urso. La sua richiesta di visionare il piano è rimasta senza risposta.
Il ministero si è limitato a far sapere che «la nuova compagine sociale della Pelligra Italia Holding ha espressamente dichiarato che intende eseguire il medesimo piano industriale già valutato in sede di valutazione delle offerte». Nel frattempo, come dicevamo, sono in corso valutazioni sul cambio di governance. Secondo fonti vicine all’ufficio dei commissari che hanno seguito la vendita, e che preferiscono rimanere anonime, l’esito di queste valutazioni potranno essere di due tipi: l’allineamento dei nuovi soci al piano presentato a suo tempo o la revoca del contratto di vendita. È una decisione che avverrà a giorni o al massimo tra qualche settimana.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link