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Acqua dimezzata nei campi della bergamasca in estate


Nella stagione estiva i campi della Bergamasca potrebbero ricevere solo metà del fabbisogno di acqua. È l’allarme lanciato dal Consorzio di bonifica della media pianura bergamasca, secondo cui il cambiamento climatico, in particolare con l’incremento dei periodi siccitosi e l’imprevedibilità delle piogge, potrebbe far calare nettamente la disponibilità idrica per il settore agricolo, soprattutto nei mesi più caldi.

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Ogni secondo 50 metri cubi

«Nel nostro comprensorio, possiamo derivare al massimo un volume d’acqua pari a 50 metri cubi al secondo. Quest’ultima arriva da quattro fonti, ovvero i fiumi Serio, Adda e Brembo, insieme ai pozzi sparsi in tutta l’area di nostra competenza. Quando il flusso è a regime, riusciamo a soddisfare pienamente le necessità di tutte le aziende agricole servite, anche in estate», spiega Franco Gatti, presidente del Consorzio di bonifica. «L’afflusso di acqua che arriva dai pozzi è costante: l’unico momento di crisi si è verificato tra 2022 e 2023, quando una grave siccità ha portato a una depressione dell’intera falda. La portata dei fiumi, invece, varia molto, e normalmente è inferiore rispetto a quanto vorremmo. Ciò vale soprattutto in estate: raramente riusciamo a soddisfare il fabbisogno dell’intera rete». In un’annata ordinaria, spiega il Consorzio, il volume d’acqua è garantito fino alla fine di maggio, inizia a scendere a giugno, continua a calare a luglio e si riduce verticalmente ad agosto, raggiungendo il 50%, se non meno, della domanda delle aziende agricole. «Senza contare le annate sfortunate, in cui il calo è marcato già a giugno e le risorse scarseggiano a partire da luglio», precisa Gatti. Brembo e Serio sono i fiumi con il flusso più variabile, mentre Adda e Oglio, che nascono da un lago, riescono a mantenersi su valori di portata quasi sempre accettabili.

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Per risolvere il problema, il Consorzio sta cercando delle soluzioni innovative: «Guardiamo con particolare attenzione alle fonti d’acqua alternative – conferma Gatti – e in particolare ai bacini di cava, specie nella zona del fiume Brembo. Nell’alta pianura bergamasca e lungo il corso del Serio, dove l’altitudine è maggiore, le cave non raggiungono il livello della falda e non sono quasi mai sommerse, perciò la strada delle fonti alternative non è perseguibile». Dalla parte opposta, nelle stagioni umide il bacino idrografico orobico è posto sotto stress dalle piogge torrenziali, dai temporali e dalle grandinate, specie quando si concentrano nel giro di pochi giorni. «La rete di bonifica ha un elevato livello di sicurezza, senza rischio di esondazioni. I problemi più grossi derivano dalle criticità del reticolo principale, soprattutto nelle prossimità del Morla, del Morletta e del Grandone: quando il loro flusso non è regolato correttamente, c’è il rischio di ripercussioni su tutta la canalizzazione gestita dal Consorzio. Ma finora il sistema ha sempre retto».

«La parte alta della pianura bergamasca – continua Gatti – è quella più a rischio di restare a secco, soprattutto d’estate. La media e la bassa pianura presentano criticità minori, perché sono servite dal canale di derivazione dell’Adda, realizzato dal nostro Consorzio negli anni Settanta. Un’altra zona critica è la parte sudovest della provincia attorno a Treviglio». I dati del Consorzio di Bonifica dicono che i periodi siccitosi sono stati una costante storica per buona parte della Bergamasca. «Ma è cambiata la frequenza: se prima si verificavano a distanza di circa dieci anni, oggi hanno una cadenza triennale. È colpa del cambiamento climatico: siccità e tempeste sono sempre più frequenti e più estreme».

Impianti a pioggia

Accanto al lavoro sulle fonti alternative, il Consorzio di bonifica della media pianura bergamasca è impegnato anche nell’ambito dei sistemi di irrigazione per le sue concessioni, passando dagli impianti irrigui a scorrimento a quelli a pioggia (o «pivot»), molti dei quali sono stati dotati di sistemi automatizzati o telecomandati. Uno di questi è quello dell’azienda agricola «Edoardo Palma Camozzi» di Costa di Mezzate, visibile nella foto in copertina. «Prima c’era un impianto tradizionale a scorrimento, che canalizzava l’acqua e la spargeva sul terreno con delle idrovore», riporta Edoardo Palma Camozzi, il titolare che dà nome all’impresa: «Il consumo idrico era molto elevato, mentre la parte a nord del campo era più irrorata di quella a sud. Il sistema utilizzava 200 litri d’acqua, ma la reale necessità delle colture era di 50: il resto veniva perduto, assorbito dal terreno. Oggi usiamo un impianto a pioggia a bassa pressione: l’acqua non viene gettata sul campo con gli idranti, ma viene distribuita per caduta tramite dei “pivot” che possono ruotare o muoversi linearmente. Questo sistema irriguo ci permette di risparmiare tra il 60% e il 70% dell’acqua, mentre la bassa pressione riduce i consumi energetici dell’impianto».

Ma non è tutto oro quel che luccica. Il Consorzio, infatti, avverte che i sistemi a pioggia non sono necessariamente più sostenibili di quelli a scorrimento. I primi richiedono meno acqua, ma si limitano ai soli campi. Al contrario, lo scorrimento permette di irrorare sia le coltivazioni che l’ambiente circostante, come le siepi e i filari di alberi, preservando l’ecosistema e le falde. Gli impianti a pioggia sono certamente utili in condizioni di siccità – quando la prerogativa è quella di salvare i raccolti – ma in tempi normali rischiano di causare più danni che vantaggi per l’ambiente.

Alto tasso di automazione

La vera soluzione per il futuro potrebbe essere la subirrigazione, che unisce la capillarità della fornitura d’acqua dei sistemi a scorrimento con l’elevato tasso di automazione ed efficienza di quelli a pivot. L’unico problema? I costi elevati: gli impianti a subirrigazione sono così cari che nella Bergamasca le aziende che li utilizzano sono meno di una decina.

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