Il cloud computing è ormai il motore della trasformazione digitale, abilitando servizi online in ogni settore, dalla finanza alla sanità. Tuttavia, dietro l’apparente “immaterialità” della nuvola digitale si nasconde un’impronta ecologica significativa.
I data center consumano ogni anno circa 200 terawatt-ora di elettricità – una quantità superiore al fabbisogno di interi Paesi – ed emettono complessivamente più gas serra dell’intera industria aerea commerciale. Si tratta di un impatto destinato a crescere con l’aumentare esponenziale dei servizi digitali in cloud, tra intelligenza artificiale, streaming e Internet of Things.
La sfida attuale è quindi duplice: da un lato mitigare il costo ambientale dell’infrastruttura digitale, dall’altro sfruttare il cloud come leva per una maggiore sostenibilità rispetto all’IT tradizionale.
Crescita del cloud e impatto ambientale
Negli ultimi anni il cloud computing è diventato l’infrastruttura portante dell’economia digitale. Aziende e pubbliche amministrazioni migrano sistemi informativi e applicazioni sulla “nuvola” per beneficiare di maggiore flessibilità, scalabilità e innovazione. Questa corsa al cloud, però, ha un rovescio della medaglia ambientale: l’energia consumata dai data center a livello globale continua ad aumentare, così come le emissioni associate.
Basti pensare che un singolo grande data center può arrivare a consumare tanta elettricità quanto 50.000 abitazioni. Sommando tutti i data center del mondo, si stima un consumo elettrico attorno ai 200 TWh all’anno, pari a circa l’1% dell’energia mondiale. In altre parole, la nuvola digitale “pesa” più dei voli aerei in termini di CO₂.
La buona notizia è che, a parità di servizi erogati, un’infrastruttura cloud ben progettata può risultare molto più efficiente di un insieme equivalente di data center aziendali sparsi. La condivisione di risorse e le economie di scala permettono di servire milioni di utenti con meno server totali e con impianti ottimizzati.
In pratica, un carico di lavoro gestito sul cloud può consumare fino all’80% di energia in meno rispetto alla stessa elaborazione eseguita on-premise. Se poi l’energia alla base è rinnovabile, il taglio delle emissioni può raggiungere percentuali ancora più alte.
I provider cloud e le strategie “green”
I principali provider globali stanno investendo miliardi per rendere le proprie infrastrutture sempre più sostenibili. Energie rinnovabili innanzitutto: Amazon Web Services, Google e Microsoft si sono posti obiettivi ambiziosi per alimentare al 100% i propri data center con energia green entro il 2030 (o già prima), e sono oggi tra i maggiori acquirenti mondiali di energia solare ed eolica.
Parallelamente, l’efficienza energetica dei data center è aumentata sensibilmente. I cloud data center operano con Power Usage Effectiveness (PUE) molto bassi, fino a 1.1, grazie a sistemi di raffreddamento evoluti, chip personalizzati, architetture modulari e ottimizzate. Queste infrastrutture consumano meno energia per ogni operazione di calcolo rispetto ai data center aziendali tradizionali, con un impatto ambientale decisamente inferiore.
Il pilastro “Sustainability” nel framework AWS Well-Architected
Nel 2021, AWS ha introdotto la sostenibilità come sesto pilastro del suo Well-Architected Framework, accanto a sicurezza, affidabilità, performance, costi e operazioni. L’idea è semplice: anche l’impatto ambientale deve diventare un parametro chiave nella progettazione delle architetture cloud.
Questo pilastro invita a misurare e migliorare l’impronta ecologica dei workload cloud, aiutando a identificare sprechi e inefficienze. Il framework distingue tra responsabilità del provider (offrire infrastrutture sostenibili) e del cliente (utilizzarle in modo efficiente). In questo senso, è un vero strumento di consapevolezza progettuale per architetti cloud, che possono valutare e ottimizzare l’uso delle risorse anche dal punto di vista ambientale.
Best practice per workload cloud sostenibili
Per ridurre l’impatto ambientale del cloud, esistono numerose buone pratiche. Una delle prime è l’ottimizzazione delle risorse, che implica il dimensionamento corretto di VM e container, evitando il sovra-provisioning. In questo senso, l’utilizzo del dynamic scaling è fondamentale per attivare le risorse solo nei momenti di effettiva necessità.
Un altro accorgimento utile è spegnere le risorse che non servono: si possono automatizzare lo shutdown degli ambienti di test inutilizzati, rimuovere storage orfani oppure adottare funzioni serverless capaci di scalare fino a zero in assenza di richieste. Anche la scelta della regione cloud gioca un ruolo importante: ogni data center ha un proprio mix energetico e, se i requisiti di latenza e compliance lo consentono, è preferibile optare per region alimentate da fonti rinnovabili.
La sostenibilità passa anche per il codice: un software scritto in modo efficiente consuma meno CPU e memoria. La scelta di linguaggi e algoritmi ad alta efficienza energetica può dunque fare la differenza.
Infine, è essenziale misurare l’impatto. I principali provider offrono dashboard che permettono di calcolare le emissioni associate all’uso dei propri servizi cloud. Integrare questi dati nei KPI aziendali consente di avviare un percorso di miglioramento continuo.
Caso di studio: il cloud riduce le emissioni rispetto all’IT tradizionale
Una multinazionale farmaceutica ha migrato il proprio sistema di storage su cloud ibrido, dismettendo 7 data center e oltre 80 server fisici. Il risultato è stato un taglio delle emissioni di circa 75.000 tonnellate di CO₂ all’anno. In OPIT, in un laboratorio didattico, abbiamo replicato un’esperienza simile: addestrare un modello di machine learning in cloud, usando GPU temporanee, ha ridotto del 30% i consumi rispetto a un cluster on-premise.
Su scala globale, si stima che la migrazione al cloud pubblico possa evitare oltre 1 miliardo di tonnellate di CO₂ entro il 2030. Il cloud, quindi, ha il potenziale per diventare un importante alleato nella transizione ecologica, a patto di essere utilizzato con intelligenza.
Formare professionisti per architetture cloud sostenibili
La sostenibilità deve diventare parte integrante della formazione dei professionisti IT. Oggi non basta progettare sistemi performanti e sicuri: serve anche valutarne l’impatto ambientale. Nei nostri corsi, ad esempio, introduciamo strumenti e metodi per misurare l’efficienza energetica dei workload, aiutando gli studenti a sperimentare configurazioni alternative in ottica “green”.
Anche per i professionisti già attivi servono aggiornamenti: certificazioni, workshop, linee guida operative. Sta emergendo una nuova figura, quella del “green architect”, capace di bilanciare esigenze tecniche, economiche e ambientali nella progettazione di infrastrutture digitali.
In conclusione, se provider e clienti remano nella stessa direzione, il cloud può davvero diventare il motore sostenibile della trasformazione digitale. Ma servono consapevolezza, competenze e visione. Il futuro passa da qui.
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