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Il paradosso del successo e la “trappola” dell’innovazione incrementale


Sembra la strategia più logica e sicura del mondo: avere tra le mani un prodotto di enorme successo, un “blockbuster” capace di macinare vendite e dominare il mercato, e usarlo come “stampo” per il futuro. Replicarne le caratteristiche, rivolgersi alla stessa base di clienti fedeli, costruire una vera e propria “dinastia” di prodotti simili che promettono di bissare il successo, aumentare i profitti e minimizzare i rischi.

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Eppure questa strategia, apparentemente ineccepibile, può trasformarsi in una “gabbia dorata”, in un percorso che, inseguendo l’eco del successo passato, rischia di soffocare la capacità di un’azienda di compiere quei balzi tecnologici che sono sempre necessari per garantirsi un futuro economicamente sostenibile nel lungo termine.

A mettere in luce questo meccanismo è un recente e approfondito studio pubblicato dal National Bureau of Economic Research (NBER). Il lavoro, intitolato “Blockbusters, Sequels and the Nature of Innovation”, firmato dagli accademici Wesley M. Cohen, Matthew J. Higgins, William D. Miles e Yoko Shibuya, analizza con dati rigorosi un fenomeno che molte aziende sperimentano: l’enorme successo di un prodotto spinge a concentrare gli sforzi di ricerca e sviluppo su innovazioni incrementali, tecnologicamente simili e destinate a soddisfare lo stesso segmento di clientela, a discapito di qualche tentativo più audace in territori inesplorati.

L’eco del successo e la “viscosità della domanda”

Gli autori muovono da un concetto che definiscono “demand stickiness”, viscosità della domanda. Con questo termine si intende l’aspettativa, da parte di un’azienda, che le vendite eccezionali di un prodotto possano essere mantenute e trasferite a un’offerta successiva, a patto che questa si rivolga agli stessi bisogni e preferenze dei clienti. Di fronte a un prodotto di successo, il management è portato a credere che la domanda per quel tipo di soluzione sia quasi una garanzia. La conseguenza è una scelta strategica precisa: perché avventurarsi in un nuovo segmento di mercato, con tutte le incertezze del caso, quando si può capitalizzare coltivando un terreno già fertile?

Lo studio utilizza dati estremamente dettagliati del settore farmaceutico, ma questa logica trova applicazione in innumerevoli settori e quindi il modello risulta applicabile a qualunque industria ad alta intensità di innovazione. Gli autori citano esempi interessanti: nel settore aeronautico, il successo decennale del Boeing 737 ha spinto l’azienda a sviluppare versioni successive, come il 737 Max, che erano essenzialmente una continuazione del modello originale per limitare i costi di addestramento per i piloti e di certificazione per le compagnie aeree. Un altro esempio viene dal mondo dell’elettronica: Intel ha continuato per decenni a investire sulla sua architettura di processori x86, contando sulla riluttanza dei clienti a riscrivere software e a modificare un ecosistema di componenti interoperabili costruito in anni di lavoro. Dal software ai beni di consumo, l’idea di creare “sequel” di un prodotto di successo è una prassi consolidata, fondata proprio su questa aspettativa di viscosità della domanda.

Dalla somiglianza del cliente alla somiglianza tecnologica

Il passo successivo nel ragionamento è intuitivo ma fondamentale. La decisione di servire lo stesso segmento di clientela, con le sue specifiche esigenze e preferenze, finisce per dettare la direzione dello sviluppo tecnologico. L’obiettivo primario del team di ricerca e sviluppo diventa soddisfare una funzionalità già nota e apprezzata dal mercato. Questo, a sua volta, delinea un insieme tipicamente limitato di tecnologie tra cui scegliere.

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A questo punto entra in gioco un calcolo di costi e benefici. Un’azienda potrebbe in teoria adottare una tecnologia completamente nuova per servire quel cliente, magari con performance superiori. In realtà è molto più probabile che scelga di sviluppare la tecnologia che già possiede e che è alla base del prodotto blockbuster. Le ragioni sono di natura pratica: la tecnologia esistente è già collaudata, il che riduce i rischi e gli investimenti legati allo sviluppo o all’adozione di soluzioni inedite. E poi l’azienda possiede già al suo interno le competenze, il personale e i processi necessari per lavorare su quella tecnologia, eliminando i costi e i tempi di acquisizione di nuovo know-how. Il ritorno atteso da una tecnologia alternativa dovrebbe essere straordinariamente alto per giustificarne i costi e le incertezze.

La “trappola” dell’innovazione incrementale

È qui che scatta la “trappola” dell’innovazione incrementale: l’azienda si specializza nel perfezionare ciò che sa già fare, diventando sempre più efficiente nel breve termine ma potenzialmente perdendo di vista le grandi discontinuità tecnologiche che si profilano all’orizzonte.

Lo studio non si limita a descrivere il meccanismo di questa trappola, ma analizza anche le condizioni che possono accentuare o attenuare questa tendenza. Due elementi emergono con particolare forza: la competizione e la scadenza dei brevetti.

L’impatto della concorrenza è complesso da analizzare. Si potrebbe pensare che una maggiore competizione spinga un’azienda ad abbandonare un segmento affollato per cercare nuove praterie. I dati mostrano invece una dinamica diversa: una forte concorrenza in un mercato specifico spesso segnala che quel mercato è particolarmente attrattivo e redditizio. Perciò l’azienda che ha avuto successo in quel mercato è incentivata a “raddoppiare” gli investimenti per difendere il proprio posizionamento. Questa stessa pressione competitiva, però, la spinge a sviluppare prodotti che, pur rivolgendosi allo stesso cliente, sono tecnologicamente più distinti e innovativi rispetto a quanto farebbe in un contesto di monopolio. La competizione quindi non è sufficiente a consentire all’azienda di uscire dalla “gabbia dorata”, ma almeno la costringe a muoversi con più inventiva.

Ancora più netto è l’effetto della scadenza dei brevetti, un evento che nel settore farmaceutico rappresenta un vero e proprio “burrone” finanziario. L’analisi mostra che, all’avvicinarsi della perdita di esclusività di un farmaco blockbuster, l’azienda aumenta significativamente gli investimenti in prodotti tecnologicamente molto simili destinati a prendere il posto del campione di incassi. La strategia è quella di lanciare un “sequel” con lievi miglioramenti, protetto da un nuovo brevetto, e investire massicciamente in marketing per convincere medici e pazienti a passare al nuovo prodotto prima che il mercato venga inondato dalle versioni generiche del vecchio, che hanno un prezzo notevolmente inferiore.

Il costo-opportunità di un’innovazione frenata

Quali sono, dunque, le implicazioni di questo paradosso del successo? Assumendo che le risorse per la ricerca e lo sviluppo siano finite, esiste un costo-opportunità: ogni euro e ogni ora di lavoro investiti per creare il sequel di un blockbuster sono un euro e un’ora sottratti allo sviluppo di una terapia per una malattia rara, di un nuovo materiale per l’industria manifatturiera o di un paradigma software completamente nuovo.

Lo studio di Cohen e dei suoi colleghi si spinge fino a ipotizzare questo scenario. Analizzando i dati, emerge un’associazione preoccupante: le aziende con prodotti di successo in aree considerate a “basso potenziale commerciale” futuro tendono a investire meno in aree a “più alto potenziale” anche quando possiedono le capacità scientifiche per farlo. Questo suggerisce che le aziende potrebbero, di fatto, perdere opportunità commercialmente più promettenti perché intrappolate nella logica di capitalizzare sul successo esistente.

Questa prospettiva offre una spiegazione complementare al tanto discusso problema del calo di produttività della ricerca e sviluppo in molti settori. Oltre alle spiegazioni tradizionali, legate all’aumento dei costi e alla presunta difficoltà di trovare “grandi idee”, emerge una causa legata alla domanda e alle scelte strategiche delle imprese. I dati dello studio mostrano un trend suggestivo: nel periodo analizzato, mentre il numero di prodotti blockbuster è più che quadruplicato, la quota di progetti di sviluppo basati su meccanismi d’azione completamente nuovi è crollata.

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Comprendere questo paradosso non significa accusare le aziende di miopia, ma riconoscere una potente dinamica di mercato che premia la sicurezza rispetto al rischio. Per il management e per i decisori politici essere consapevoli dell’”effetto blockbuster” è il primo passo per disegnare strategie e politiche di incentivo che sostengano meglio gli investimenti nell’innovazione disruptive.



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