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I dazi e il bullismo di Trump: le trappole nascoste dietro l’offerta Usa all’Europa


di
Federico Fubini

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Le minacce del presidente Usa non hanno spaventato Canada e Cina, mentre in Europa siamo pronti ad accettare un compromesso che nasconde vantaggi solo per gli americani

Qualunque sia l’esito del negoziato commerciale fra gli Stati Uniti e l’Unione europea – in gran parte ancora aperto – alcuni punti iniziano a profilarsi. Il primo è che il bullismo di Donald Trump, in Europa, funziona. Non ha funzionato con il Canada di Justin Trudeau o di Mark Carney, che hanno costretto gli Stati Uniti a importanti ritirate dal loro protezionismo. Non ha funzionato con la Cina di Xi Jinping, che alzato a sua volta i propri dazi con decisione, frenato la fornitura di terre rare raffinate e costretto la Casa Bianca a un primo accordo molto più equilibrato. Non ha funzionato con i mercati finanziari, che si sono rivoltati contro le incomprensibili scelte del «Liberation Day» e hanno costretto il presidente a un’imbarazzante marcia indietro.

Perché le intimidazioni di Trump hanno successo con L’Europa

Ma con l’Europa sì, l’intimidazione trumpiana funziona eccome.
Prima il presidente ha spinto nel quadro della Nato i Paesi europei a un impegno di spesa nella difesa che – in proporzione alla loro economia – nemmeno gli Stati Uniti in realtà mantengono. L’implicazione, appena sottintesa, è che probabilmente l’industria europea della difesa non avrà la capacità di assorbire una crescita così forte degli ordini e dunque il fatturato in Europa di gruppi americani come Lockheed Martin, Raytheon-Rtx, Boeing e altri sarà destinato a salire.




















































La Nato, le spese europee e la spinta per le industrie americane 

Qui va osservato un fattore complementare, benché probabilmente non decisivo. Paesi molto esposti e preoccupati per l’aggressività della Russia – dai baltici, alla Polonia, alla Romania, alla Finlandia e anche la Danimarca – si sarebbero dimostrati esitanti all’idea di prendere misure di ritorsione europee per i dazi americani. La loro motivazione: temevano uno scontro commerciale più acuto, per il rischio che esso possa portare al ritiro dall’Europa delle garanzie di sicurezza americane.

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Il dazio al 10% sui prodotti europei e il peso su Germania e Italia

Così il negoziato commerciale si è strettamente intrecciato a quello militare. E di riflesso il bullismo di Trump ha trovato spazio in altri campi. Il presidente per esempio si è reso conto che i principali Paesi esportatori dell’Unione europea, dalla Germania all’Italia, temevano la prospettiva di concrete ritorsioni di Bruxelles per i dazi oggi in vigore e ha continuato a portare avanti le proprie pretese.

I dazi da aprile in vigore, ricordiamolo, non sono trascurabili: quello generale su tutti i prodotti è salito dal 2,2% medio al 10%; quello su acciaio e alluminio, sensibili per l’Italia, è esploso fino al 50%; quello sulle auto è al 25%. In più, Trump mantiene la minaccia di dazi al 50% su tutto l’export europeo se l’accordo che si profilerà non sarà di sua soddisfazione.

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Il negoziato e l’offerta americana: la salvaguardia delle Big tech

Ora gli Stati Uniti propongono un prolungamento dei negoziati attuali, senza far scattare l’ultima tagliola del 50%, ma solo a patto che l’Europa non si azzardi a rispondere ai dazi al 10% con pari dazi al 10% da parte propria. Nel frattempo, approfittano di averci messo sostanzialmente sotto scacco per estrarre altre due significative concessioni.

La prima riguarda la regolamentazione dei colossi digitali a tutela della concorrenza. Il cosiddetto Digital Markets Act approvato a Bruxelles in anni recenti tutela le startup europee dagli abusi di posizione dominante delle grandi imprese di Silicon Valley. Ma, a quanto pare, nel negoziato gli Stati Uniti sono riusciti a fare entrare anche un sostanziale indebolimento del Digital Markets Act.

Le imprese americane al riparo dalla tasse europee

Secondo punto, Trump ha portato il G7 (dunque anche Germania, Francia e Italia) a esentare le grandi imprese americane dalla Global Minimum Tax dell’Ocse stabilita con un accordo del G20 sotto presidenza italiana all’epoca del governo di Mario Draghi. La minaccia, in questo caso, è che gli Stati Uniti avrebbero prelevato una tassa supplementare sui capital gain dei risparmiatori europei per i loro investimenti in titoli americani. Così le imprese americane potranno contare su regimi fiscali di favore, a differenza delle concorrenti di tutto il mondo. Jeff Bezos di Amazon ne guadagna, in un colpo solo, molto più di quanto spende per il suo matrimonio-kolossal di Venezia.

Così il bullismo di Trump in Europa continua a funzionare, senza che da questa parte dell’Atlantico nessuno osi rispondere. Preferiamo cercare di pacificarlo. Ma perché il presidente degli Stati Uniti dovrebbe fermarsi a questo punto se vedere che questa sua tattica, con noi, funziona? L’appetito vien mangiando.

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27 giugno 2025 ( modifica il 27 giugno 2025 | 17:00)

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