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Iva rimborsabile per le opere su beni di terzi


L’articolo 30, comma 2, lettera c), D.P.R. 633/1972 prevede che il contribuente può chiedere, in tutto o in parte, il rimborso dell’eccedenza detraibile, se di importo superiore a 2.582,28 euro, all’atto della presentazione della dichiarazione Iva, limitatamente all’imposta relativa all’acquisto o all’importazione di beni ammortizzabili.

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Tale previsione è stata interpretata dalla prassi amministrativa escludendo il diritto di rimborso dell’Iva assolta sulle spese di miglioria sostenute in relazione a beni di proprietà altrui[1].

Da ultimo, tuttavia, l’Agenzia delle entrate, con la risoluzione n. 20/E/2025, adeguandosi alla sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 13162/2024, ha mutato orientamento, ritenendo sufficiente, ai fini del rimborso, che il bene presenti un nesso di strumentalità con l’attività svolta.

Orientamento iniziale della prassi amministrativa

In relazione alla previsione dell’articolo 30, comma 2, lettera c), D.P.R. 633/1972, l’Agenzia delle entrate ha chiarito che “non può essere riconosciuto il diritto al rimborso dell’Iva assolta sulle spese per la realizzazione, su immobili concessi in uso o comodato, di opere inseparabili dai beni cui accedono, poiché “l’opera eseguita non è di proprietà del soggetto che l’ha realizzata giacché in base ai principi civilistici accede ad un immobile di proprietà altrui. Di conseguenza, non può essere iscritta nel bilancio come bene ammortizzabile proprio del soggetto che l’ha effettuata. Tali beni, in quanto non ammortizzabili, non rientrano quindi nella previsione normativa di cui alla lettera c) del comma 3 del citato articolo 30”.

In particolare, con la risoluzione n. 179/E/2005, confermata dalla risposta a interpello n. 861/E/2021, l’Agenzia delle entrate, pur riconoscendo il diritto alla detrazione dell’Iva assolta sulle spese di miglioramento, trasformazione e ampliamento su beni di proprietà altrui, utilizzati nell’attività d’impresa o di lavoro autonomo, in merito alla rimborsabilità di detta imposta ha precisato che “le spese incrementative su beni di terzi sono capitalizzabili ed iscrivibili nella voce “altre immobilizzazioni immateriali” qualora le opere realizzate non siano separabili dai beni di terzi cui accedono, ossia non possono avere una loro autonoma funzionalità. Tali spese sono disciplinate, ai fini della deducibilità fiscale, dal terzo comma dell’articolo 108 del testo unico delle imposte sui redditi (Tuir), approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1986, n. 917, il quale dispone che “le altre spese relative a più esercizi (…) sono deducibili nei limiti della quota imputabile a ciascun esercizio””.

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Si è ritenuto, pertanto, che “le spese per il miglioramento, trasformazione od ampliamento di beni di terzi concessi in uso o comodato, qualora si estrinsechino in opere non suscettibili di autonoma utilizzabilità, non siano iscrivibili tra le immobilizzazioni materiali, non potendo le opere realizzate essere rimosse al termine del periodo di utilizzo. Benché le spese in esame siano iscritte in bilancio tra le immobilizzazioni immateriali, come precisato con la circolare n. 27/E del 31 maggio 2005, «dal punto di vista fiscale non possono essere considerate “beni” (della specie “beni immateriali”) cui si renda applicabile la disciplina degli ammortamenti e della deduzione extracontabile di cui rispettivamente agli articoli 103 e 109 del Tuir. Le stesse costituiscono, invero, oneri pluriennali e più precisamente spese relativi a più esercizi di cui al comma 3 dell’articolo 108””.

Sulla base di tale qualificazione, prima della sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 13162/2024, non poteva riconoscersi “il diritto al rimborso dell’Iva assolta sulle spese per la realizzazione, su immobili concessi in uso o comodato, di opere inseparabili dai beni cui accedono. L’opera eseguita, infatti, non è di proprietà del soggetto che l’ha realizzata, giacché in base ai principi civilistici accede ad un immobile di proprietà altrui. Di conseguenza, non può essere iscritta nel bilancio come bene ammortizzabile proprio del soggetto che l’ha effettuata. Tali beni, in quanto non ammortizzabili, non rientrano quindi nella previsione normativa di cui alla lettera c), comma 3, del citato articolo 30”.

 

Individuazione dei beni ammortizzabili ai fini del rimborso

Per prassi consolidata, i beni ammortizzabili sono individuati facendo riferimento alle norme previste per le imposte sui redditi[2].

In linea generale, in base agli articoli 102 e 103, Tuir, riguardanti – rispettivamente – i beni materiali e quelli immateriali, “sono considerati ammortizzabili esclusivamente i beni strumentali, ossia quei beni che vengono utilizzati nel ciclo produttivo direttamente dall’imprenditore che ne ha il possesso a titolo di proprietà o altro diritto reale”.

Il richiamo alle disposizioni del Tuir in materia di ammortamento ha valenza esclusivamente per la qualificazione del bene in relazione al quale è possibile chiedere il rimborso dell’Iva assolta al momento dell’acquisto, a nulla rilevando la circostanza che il relativo costo sia effettivamente sottoposto ad ammortamento da parte del proprietario[3]. In altri termini, ai fini del rimborso, occorre che il bene sia “ammortizzabile”, cioè suscettibile di essere sottoposto ad ammortamento.

L’Amministrazione finanziaria ha chiarito che il terreno edificabile non è qualificabile tra i beni assoggettabili alla procedura di ammortamento, per cui il diritto al rimborso – per ciò che riguarda l’Iva relativa al corrispettivo per l’acquisto del terreno – non può essere riconosciuto in considerazione del fatto che tale bene, in quanto non ammortizzabile, non rientra nella previsione normativa di cui agli articoli 30, comma 2, lettera c), e 38-bis, comma 2, D.P.R. 633/1972[4].

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Il divieto di rimborso dell’Iva relativa ai terreni si riflette anche sull’acquisto dei fabbricati sovrastanti, tenuto conto che l’imposta rimborsabile ai sensi degli articoli 30, comma 2, lettera c), e 38-bis, comma 2, D.P.R. 633/1972, nel caso di acquisto di fabbricati, deve essere ridotta per l’importo riferibile al costo (non ammortizzabile) dell’area occupata dalla costruzione e di quella che ne costituisce pertinenza[5].

Acconti relativi all’acquisto di beni ammortizzabili In linea generale, gli acconti di prezzo costituiscono un elemento rilevante nella formazione dell’accordo negoziale, il cui oggetto risiede nel trasferimento della proprietà di beni ammortizzabili.
Infatti, i pagamenti in acconto e a saldo, effettuati nel tempo, sono finalizzati all’acquisizione di beni strumentali.
Al riguardo, si osserva che l’articolo 6, comma 3, D.P.R. 633/1972 stabilisce, per l’ipotesi di pagamenti in acconto, che l’operazione, agli effetti dell’Iva, si considera effettuata all’atto del pagamento dell’acconto, sia pure limitatamente all’importo corrisposto.
Pertanto, è stato chiarito che l’Iva corrisposta sulle fatture d’acconto per gli acquisti di beni ammortizzabili rientra nella fattispecie disciplinata dagli articoli 30, comma 2, lettera c), e 38-bis, comma 2, D.P.R. 633/1972 e, quindi, è oggetto di rimborso annuale o infrannuale.
Del resto, una conclusione differente rispetto a quella prospettata darebbe rilevanza soltanto alle fatture emesse a saldo, con la conseguenza che tali disposizioni potrebbero risultare inapplicabili per le imprese che effettuano acquisti di beni ammortizzabili secondo le citate modalità di pagamento in acconto e a saldo[6].
Acconti relativi agli stati di avanzamento lavori per beni ammortizzabili acquisiti in esecuzione di contratti d’appalto L’Amministrazione finanziaria ha chiarito che, nella locuzione “acquisto”, va compreso ogni atto che faccia acquisire la disponibilità del bene, e, quindi, anche la realizzazione dei beni ammortizzabili mediante contratti d’appalto.
Inoltre, ai fini del rimborso Iva, sono da comprendere fra i beni ammortizzabili non solo i beni per i quali la procedura di ammortamento è immediatamente attuabile, come nel caso di acquisto di un prodotto finito, ma anche i beni per i quali la procedura è potenzialmente attuabile, nel senso che sarà applicabile all’atto della completa realizzazione, sempreché gli stessi beni siano, poi, destinati a essere utilizzati per effettuare operazioni che conferiscono il diritto alla detrazione[7].
Di conseguenza, può essere chiesto il rimborso anche per l’Iva corrisposta con le fatture di acconto emesse in relazione agli stati di avanzamento lavori eseguiti, nell’ambito dei contratti d’appalto, per la realizzazione di beni ammortizzabili[8].
Contratto preliminare di vendita di un bene ammortizzabile Mediante il contratto preliminare, di cui all’articolo 1351, cod. civ., una o entrambe le parti si obbligano alla stipula di un successivo contratto, detto definitivo. Con il contratto preliminare concernente la cessione di un bene, quindi, le parti costituiscono immediatamente un vincolo obbligatorio in ordine, riservando a un successivo atto la creazione del titolo costituivo dell’effetto reale del trasferimento della proprietà.
Nelle ipotesi di stipula di un contratto preliminare di vendita di un bene ammortizzabile, il promissario acquirente non acquisisce la titolarità del bene, giacché anche nell’ipotesi di preliminare a effetti anticipati – in base al quale le parti convengono l’anticipata esecuzione delle obbligazioni nascenti dal contratto definitivo, quale ad esempio la consegna immediata della cosa al promissario acquirente – l’effetto traslativo non s’è ancora verificato, sicché la relazione del promissario acquirente con la cosa va qualificata come semplice detenzione[9].
Pertanto, è stato chiarito che, con la stipula del contratto preliminare, non si realizza il presupposto dell’acquisto del bene di cui agli articoli 30, comma 2, lettera c), e 38-bis, comma 2, D.P.R. 633/1972, con la conseguenza che l’imposta assolta sull’acconto del corrispettivo, pagato in sede di preliminare, non è rimborsabile[10].

 

Evoluzione della giurisprudenza di legittimità

Il descritto orientamento della prassi amministrativa in merito al divieto di rimborso dell’Iva relativa alle spese di miglioria su beni di proprietà altrui non è stato sempre confermato dalla Corte di Cassazione.

In materia di rimborso dell’eccedenza Iva detraibile, infatti, erano presenti 2 distinti orientamenti giurisprudenziali:

  • secondo un primo orientamento, contrario alla prassi dell’Agenzia delle entrate, nei casi in cui sussisteva un nesso di strumentalità con l’attività di impresa o di lavoro autonomo, anche se potenziale o in prospettiva, l’esecuzione, da parte del contribuente, di opere di ristrutturazione e di manutenzione su beni detenuti in locazione ovvero in uso o in comodato, indipendentemente dalla loro autonoma funzionalità o asportabilità al termine del periodo contrattualmente stabilito, dava diritto non solo alla detrazione dell’imposta (come poi chiarito dalle SS.UU. nella richiamata pronuncia n. 11533/2018), ma anche all’alternativo diritto al rimborso[11];
  • secondo un altro orientamento, conforme alla prassi dell’Agenzia delle entrate, invece, l’Iva oggetto dell’istanza di rimborso deve essere riferita all’acquisto di un bene ammortizzabile, non riconoscendo, quindi, il diritto al rimborso nei casi in cui l’Iva non si riferisca a tale acquisto, bensì alla realizzazione di opere su beni immobili di terzi[12]. Tale contrasto non ha trovato composizione neppure con la sentenza SS.UU. n. 11533/2018, resa unicamente in relazione al riconoscimento del diritto alla detrazione dell’Iva. In materia di rimborso, infatti:
  • alcune pronunce hanno ritenuto di poter estendere il principio affermato dalle Sezioni Unite in materia di detrazione anche al diritto al rimborso Iva, in termini di applicazione generalizzata e necessaria del principio di neutralità, con conseguente assenza di differenziazione tra diritto alla detrazione e diritto al rimborso dell’Iva, essendo tali istituti strutturalmente identici e, quindi, suscettibili di identico trattamento[13];
  • secondo un orientamento più restrittivo, invece, la sussistenza delle condizioni di detrazione dell’Iva non implicava, di per sé, l’automatico riconoscimento del diritto al rimborso della stessa poiché il diritto al rimborso costituisce una facoltà di natura eccezionale, riservata al contribuente in alternativa all’esercizio, in via ordinaria, del diritto alla detrazione[14].

La sussistenza di 2 orientamenti giurisprudenziali contrastanti in merito alla spettanza del rimborso dell’Iva relativa alle spese di miglioria su beni altrui ha indotto la Corte di Cassazione, con l’ordinanza interlocutoria n. 14975/2023, a rimettere gli atti processuali al primo presidente perché valuti l’opportunità di deferire l’esame della questione alle Sezioni Unite.

I predetti orientamenti, con riferimento ai presupposti per il diritto al rimborso dell’Iva in caso di realizzazione di opere su beni di terzi di cui si abbia la detenzione, poggiano su 2 basi di partenza differenti che ne hanno condizionato la diversità di soluzione alla questione in esame. In particolare:

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  • da un lato, si è fatto riferimento alla necessaria applicazione del principio di neutralità dell’Iva che, pertanto, non può condurre a una differenziazione tra il diritto alla detrazione e il diritto al rimborso, essendo tali istituti strutturalmente identici e, quindi, suscettibili di identico trattamento;
  • d’altro lato, si è fatto riferimento alla diversità strutturale del diritto al rimborso, configurato quale fattispecie di applicazione eccezionale nell’ambito della più complessa e articolata disciplina della tutela del contribuente, in quanto tutela suscettibile di previsioni normative più limitative quanto alle modalità di esercizio.

 

Orientamento delle Sezioni Unite

Con la sentenza n. 13162/2024, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affermato che il principio di diritto espresso nella sentenza n. 11533/2018 in tema di detrazione Iva deve essere esteso al rimborso dell’imposta medesima.

Infatti, come evidenziato nell’ordinanza interlocutoria, il problema interpretativo essenziale è se l’articolo 183, § 1, Direttiva 2006/112/CE – secondo cui, “qualora, per un periodo d’imposta, l’importo delle detrazioni superi quello dell’Iva dovuta, gli Stati membri possono far riportare l’eccedenza al periodo successivo, o procedere al rimborso secondo modalità da essi stabilite” – induca a ritenere che il Legislatore interno possa differenziare il trattamento Iva della detrazione da quello del rimborso in termini sostanziali ovvero solo procedimentali.

Ad avviso delle Sezioni Unite, l’articolo 30, comma 2, lettera c), del D.P.R. 633/1972 e l’articolo 187, § 1, Direttiva 2006/112/CE, dall’altro, devono essere interpretate secondo l’indirizzo maggioritario della Suprema Corte, che afferma l’equivalenza dei presupposti della detrazione e del rimborso dell’Iva tenuto conto della “letteralità” della citata disposizione della Direttiva.

Essa fa salva la facoltà degli Stati membri di disciplinare le “modalità” di rimborso dell’imposta, quale alternativa al riporto dell’eccedenza attiva annuale. Tale termine non lascia adito a particolari dubbi sulla valenza meramente procedimentale e non sostanziale della facoltà normativa interna. E, del resto, le condizioni sostanziali che la normativa deve rispettare in merito ai diritti di detrazione e di rimborso, volti a garantire il principio generale di neutralità che governa l’Iva, sono indicati nell’articolo 167 e ss., Direttiva 2006/112/CE, mentre l’articolo 178 e ss., Direttiva 2006/112/CE riguardano soltanto le modalità di esercizio di tali diritti, che non devono ledere il principio di neutralità, dovendo altresì rispettare i principi di proporzionalità ed effettività.

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Pertanto, riguardo all’espressione “acquisto di beni ammortizzabili”, utilizzata dall’articolo 30, comma 2, lettera c), D.P.R. 633/1972, va attribuito il significato ampio di disponibilità di tali beni in virtù di un titolo giuridico che ne garantisca il possesso ovvero la detenzione per un periodo di tempo apprezzabilmente lungo (quale appunto è, di norma, non solo quello derivante dall’acquisizione della proprietà ovvero di un diritto reale, ma anche da un contratto di locazione/comodato), ferma in ogni caso la necessaria “strumentalità” dei beni stessi all’esercizio dell’impresa, che costituisce in ogni caso il presupposto generale della detraibilità dell’Iva ex articolo 19, comma 1, D.P.R. 633/1972.

Nella pronuncia si afferma, inoltre, che il concetto di “bene ammortizzabile” non può essere correttamente inteso nel contesto giuridico dell’Iva con riferimento alle previsioni normative in materia di imposte dirette (articoli 102 e 103, Tuir) e nemmeno risultano ermeneuticamente dirimenti le disposizioni sul bilancio contenute nel codice civile, ovvero i Principi contabili.

Piuttosto, sottolineano i giudici di legittimità, bisogna fare riferimento alla nozione – ampia e sostanzialmente economica – di “beni di investimento”, utilizzata nella Direttiva 2006/112/CE (articoli 174, comma 2, lettera a) e comma 3, 188, comma 1, secondo periodo, e comma 2, 189, lettera a), e 190), che, quindi, risulta essere l’unico parametro al quale un’interpretazione conforme deve affidarsi.

Di conseguenza, l’applicazione dell’articolo 30, comma 2, lettera c), D.P.R. 633/1972, nella parte in cui prevede il rimborso annuale dell’Iva limitatamente all’imposta relativa all’acquisto o all’importazione di beni ammortizzabili, va necessariamente estesa ai beni che, pur “stricto sensu” non ammortizzabili, sono comunque destinati all’esercizio dell’impresa per un periodo di tempo medio-lungo, appunto quali “investimenti” (beni strumentali).

 

Nuovo orientamento della prassi amministrativa

Con la risoluzione n. 20/E/2025, l’Agenzia delle entrate, alla luce della posizione espressa dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 13162/2024, ha rivisitato il proprio orientamento espresso nella risoluzione n. 179/E/2005 e nella risposta a interpello n. 861/E/2021 in merito al divieto di rimborso dell’Iva relativa a beni di proprietà altrui.

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Secondo l’Agenzia delle entrate, il rimborso dell’Iva previsto dall’articolo 30, comma 2, lettera c), D.P.R. 633/1972 per l’acquisto o l’importazione di beni ammortizzabili deve intendersi ammesso per i lavori di miglioramento, trasformazione o ampliamento dei beni dei quali il contribuente ha la disponibilità in virtù di un titolo giuridico che ne garantisca il possesso o la detenzione per un periodo di tempo apprezzabilmente lungo, ferma restando, in ogni caso, la “strumentalità” dei beni stessi all’esercizio dell’impresa o di lavoro autonomo per un periodo di tempo medio-lungo, quali “investimenti” che richiedono un impiego di risorse finanziarie non contabilizzabile come costo di un singolo esercizio.

 

Ulteriori effetti del nuovo orientamento

Il mutato orientamento dell’Agenzia delle entrate supera anche le indicazioni fornite con la risoluzione n. 179/E/2005 in merito al divieto di rimborso dell’Iva assolta sugli acconti versati in sede di contratto preliminare di compravendita.

Secondo l’Agenzia delle entrate, nelle ipotesi di stipula di un contratto preliminare di vendita di un bene ammortizzabile, il promissario acquirente non acquisisce la titolarità del bene, giacché anche nell’ipotesi di preliminare ad effetti anticipati – in base al quale le parti convengono l’anticipata esecuzione delle obbligazione nascenti dal contratto definitivo, quale ad esempio la consegna immediata della cosa al promissario acquirente – l’effetto traslativo non s’è ancora verificato, sicché la relazione del promissario acquirente con la cosa va qualificata come semplice detenzione.

Pertanto, con la stipula del contratto preliminare non si realizza il presupposto dell’acquisto del bene di cui agli articoli 30 e 38-bis, D.P.R. 633/1972, con la conseguenza che l’imposta assolta sull’acconto del corrispettivo, pagato in sede di preliminare, non è rimborsabile.

Tale precisazione deve intendersi superata dalla risoluzione n. 20/E/2025, dal momento che, anche se in sede di preliminare non è verificato il passaggio di proprietà, il rimborso dell’Iva pagata sull’acconto segue le regole ordinarie già indicate, per gli acconti di prezzo dei beni ammortizzabili, dalla risoluzione n. 111/E/2002.

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La nuova posizione dell’Agenzia delle entrate è, inoltre, destinata a riflettersi sul concetto di “bene ammortizzabile” applicabile, ai fini Iva, in ambiti diversi da quello del rimborso.

Ai fini, in particolare, del calcolo del pro rata di detrazione dell’Iva, l’articolo 19-bis, comma 2, D.P.R. 633/1972 esclude dalla determinazione della percentuale di detrazione le cessioni di beni ammortizzabili, laddove questi ultimi, secondo la risposta a interpello n. 165/E/2020, vanno individuati avendo riguardo ai criteri per essi disposti ai fini delle imposte dirette.

In particolare, per “beni oggetto dell’attività propria dell’impresa” devono intendersi quelli il cui impiego qualifica e realizza l’attività normalmente esercitata (commercio, lavorazione, noleggio, locazione finanziaria, etc.), mentre per “beni strumentali utilizzati nell’esercizio dell’attività propria” quelli impiegati esclusivamente come mezzo per l’esercizio di detta attività e, pertanto, diversamente dai primi, inidonei, come tali, a qualificare la natura dell’attività svolta, nella specie quella che, normalmente e abitualmente, viene esercitata dall’imprenditore e non, quindi, quella svolta in maniera occasionale o che, comunque, sia di scarsa rilevanza nell’ambito dell’impresa.

La risposta a interpello n. 413/E/2023 ha, quindi, specificato che non concorrono alla formazione del pro rata le cessioni di fabbricati che il soggetto passivo ha qualificato come beni ammortizzabili ai fini delle imposte dirette, vale a dire diversi da quelli c.d. “merce” (di cui all’articolo 92, Tuir) e da quelli c.d. “patrimoniali” (di cui all’articolo 90, Tuir).

Il concetto di “bene ammortizzabile”, come interpretato dalla risoluzione n. 20/E/2025 alla luce di quello di “bene d’investimento” di matrice comunitaria, porta pertanto a ritenere che, ai fini del calcolo del pro rata di detrazione, sono escluse le cessioni di beni che, pur non ammortizzabili in senso stretto, sono comunque destinati all’esercizio dell’impresa per un periodo di tempo medio-lungo, appunto quali “investimenti” (beni strumentali).

Lo stesso esito interpretativo dovrebbe essere esteso alle disposizioni che disciplinano la rettifica della detrazione dell’Iva, laddove l’articolo 19-bis.2, commi 5 e 8, D.P.R. 633/1972 stabilisce che le disposizioni in materia di rettifica della detrazione applicabili ai beni ammortizzabili vanno applicate tenendo conto delle regole previste ai fini delle imposte sui redditi.

 

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[1] La stessa limitazione vale per il rimborso trimestrale di cui all’articolo 38-bis, comma 2, D.P.R. 633/1972, secondo cui il contribuente può ottenere il rimborso in relazione a periodi inferiori all’anno nell’ipotesi di cui alla lettera c) del comma 2 dell’articolo 30, D.P.R. 633/1972, quando effettua acquisti e importazioni di beni ammortizzabili per un ammontare superiore ai 2/3 dell’ammontare complessivo degli acquisti e delle importazioni di beni e servizi imponibili ai fini Iva.

[2] Si veda, per esempio, la risoluzione n. 147/E/2009.

[3] Cfr. risoluzione n. 122/E/2011.

[4] Cfr. risoluzioni n. 113/E/1996 e n. 238/E/1996.

[5] Cfr. circolare n. 8/E/2009 (risposta n. 6.6).

[6] Cfr. risoluzione n. 111/E/2002.

[7] Cfr. risoluzione n. 353998/1983.

[8] Cfr. risoluzione n. 111/E/2002, cit..

[9] Cfr. Cassazione n. 1533/1996 e n. 8796/2000.

[10] Cfr. risoluzione n. 179/E/2005, cit..

[11] Cfr. Cassazione SS.UU. n. 11533/2018; conformi: Cassazione n. 23278/2018, n. 6022/2020, n. 35553/2021, n. 36014/2021 e n. 21077/2023.

[12] Cfr. Cassazione n. 24779/2015, n. 10109/2020, n. 10110/2020, n. 23667/2020 e n. 24518/2020.

[13] Cfr. Cassazione n. 8389/2013, n. 215/2021, n. 36014/2021 e n. 27813/2022.

[14] Cfr. Cassazione n. 24779/2015, n. 23667/2020, e n. 245184/2020.

 
Si segnala che l’articolo è tratto da “Accertamento e contenzioso”.



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