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“Nascono meno bambini”, il piano del governo su lavoro e maternità


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In Italia nascono sempre meno bambini, l’età media della popolazione cresce e la fascia di cittadini attivi sul mercato del lavoro si restringe. È un declino lento ma inesorabile che da anni agisce sotto traccia, oggi impossibile da ignorare. Non si tratta solo di una questione sociale, ma di un’emergenza strutturale che condiziona la tenuta economica e produttiva dell’intero Paese. A ricordarlo, senza troppi giri di parole, è stata la ministra del Lavoro Marina Calderone, intervenuta con un videomessaggio al convegno “Demografia, un patto fra generazioni” organizzato da Adnkronos Q&A.

“Nascono meno bambini, si allunga l’età media, ma la fascia della popolazione attiva decresce”, ha sottolineato Calderone, mettendo in fila i tre fattori che insieme costituiscono un combinato esplosivo per la sostenibilità del sistema Paese. Il risultato? Una contrazione del capitale umano a disposizione delle imprese, un aumento della pressione sulle finanze pubbliche e un’incertezza crescente sulle prospettive di crescita. Eppure, nonostante l’evidenza, il tema è rimasto a lungo fuori dal radar dell’agenda pubblica, quasi fosse un destino inevitabile da accettare più che un problema da risolvere.

Oggi qualcosa si muove. Il governo, con il Ministero del Lavoro in prima linea, tenta di raddrizzare la traiettoria intervenendo su tre fronti ritenuti strategici: occupazione, produttività e natalità. È un approccio sistemico che mira a rompere l’inerzia di un declino annunciato, facendo leva su strumenti innovativi e politiche attive. Ma i margini di manovra sono stretti e il tempo non gioca a favore.

Occupazione in crescita, ma il mismatch resta

Un milione di occupati in più, con il 90% dei nuovi contratti a tempo indeterminato. È questo il dato con cui Marina Calderone ha voluto aprire il suo bilancio sulle politiche del lavoro. Numeri solidi, che testimoniano uno sforzo concreto nell’incentivare la stabilizzazione dei rapporti di lavoro. Eppure, accanto a questi successi, permane un paradosso difficilmente digeribile: il mercato italiano continua a registrare centinaia di migliaia di posizioni vacanti, ruoli che le imprese faticano a coprire nonostante la disponibilità teorica di forza lavoro.

È il segnale più evidente di un mismatch strutturale tra domanda e offerta, un disallineamento che riguarda non solo le competenze tecniche ma anche la geografia del lavoro. Per questo il Ministero ha deciso di aggredire la questione su più livelli. Da un lato, c’è il lavoro sugli “inattivi” — giovani, donne e over 50 che oggi restano ai margini del mercato — attraverso misure mirate come i bonus del Decreto Coesione. Dall’altro, c’è il rafforzamento delle politiche attive, con la riforma del programma Gol e l’utilizzo di tecnologie avanzate.

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Esemplare, in questo senso, è la recente sperimentazione di AppLi, il primo web coach interattivo per l’inserimento lavorativo, sviluppato in collaborazione con tutte le Regioni. È un chatbot intelligente progettato per orientare, assistere e accompagnare chi cerca lavoro, in particolare i giovani Neet (acronimo di “Not in Education, Employment or Training”, ndr), passati da quasi 2 milioni a 1,2 milioni in meno di due anni. Un calo significativo, ma che fotografa ancora un universo di oltre un milione di giovani ai margini.

Accanto ad AppLi, c’è anche Edor, un progetto di e-learning per dotare gli iscritti al programma Gol (Garanzia di Occupabilità dei Lavoratori) di competenze digitali di base. Obiettivo: ricollegare chi è rimasto indietro ai ritmi del lavoro contemporaneo. Il digitale, insomma, non solo come strumento produttivo ma come leva di inclusione.

La formazione come priorità nazionale

Se l’occupazione cresce ma le posizioni restano scoperte, il problema è evidente: mancano le competenze giuste. Una carenza che il calo demografico è destinato ad aggravare ulteriormente, generando una spirale pericolosa di inefficienza e bassa produttività. Il secondo grande fronte d’azione indicato dal Ministero è dunque quello della formazione e della qualificazione del capitale umano. “Con il calo demografico ci sarà una mancanza di competenze che già adesso il mondo del lavoro fa fatica a reperire”, ha detto Calderone.

Per invertire la rotta, il governo ha messo in campo un investimento robusto: oltre un miliardo di euro nella terza edizione del Fondo Nuove Competenze. Si tratta di risorse destinate a sostenere le imprese che investono in formazione, anche durante l’orario lavorativo, per aggiornare i propri dipendenti o per individuare nuovi profili professionali. Un meccanismo win-win che permette di affrontare la transizione tecnologica senza sacrificare l’occupabilità.

Ma il cuore della strategia è il rafforzamento dell’istruzione tecnica e professionale, attraverso il sistema degli Its (Istituti Tecnici Superiori) e l’Ifp (Istruzione e Formazione Professionale). Due ambiti spesso sottovalutati nel dibattito pubblico, ma che rappresentano oltre la metà della domanda reale delle imprese. Dal 2020 al 2024 gli iscritti ai corsi Its sono aumentati del 209% a livello nazionale, con un’impennata del 534% nel Sud. Segno che qualcosa si muove, e che l’idea di una formazione più vicina al lavoro sta lentamente guadagnando terreno.

Sul fronte della produttività, il Ministero non dimentica poi la leva salariale. Per contrastare la fuga dei giovani e rendere il lavoro attrattivo anche nei territori più fragili, serve migliorare le retribuzioni. Come? Sostenendo relazioni industriali sane e una contrattazione collettiva capace di redistribuire i frutti della crescita. Un richiamo netto, che chiama in causa anche le parti sociali.

Il nodo della natalità

Se il calo delle nascite è la radice della crisi demografica, affrontarlo è inevitabile. Ma per farlo, spiega Calderone, bisogna sgombrare il campo da un equivoco che da troppo tempo blocca ogni reale progresso: quello della contrapposizione tra occupazione femminile e maternità. “Un patto per le donne è fondamentale — ha detto la ministra — non può esserci contrapposizione tra occupazione femminile e il dono della maternità”. In altre parole, una donna non deve più essere costretta a scegliere tra lavoro e figli.

È un cambio di paradigma che impone scelte politiche nette. Il Ministero del Lavoro individua tre direttrici fondamentali: rafforzare il welfare aziendale, potenziare i servizi territoriali e utilizzare la leva della contrattazione per promuovere strumenti di conciliazione. Non solo asili nido e congedi, ma anche orari flessibili, part-time volontari, smart working regolamentato e sostegni fiscali per le imprese virtuose.

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Il modello da seguire è quello di un ecosistema integrato, dove la maternità non rappresenti un ostacolo ma un valore da tutelare, anche economicamente. A questo proposito, il decreto Coesione include misure specifiche per incentivare l’occupazione femminile, in particolare nel Mezzogiorno, dove il tasso di attività resta ancora tra i più bassi d’Europa. L’obiettivo non è solo aumentare il numero delle donne al lavoro, ma garantire condizioni dignitose, sicure e compatibili con i tempi della vita.

In gioco c’è la tenuta sociale del Paese, ma anche — e soprattutto — il futuro della prossima generazione.



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