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Come Si Valuta La Sostenibilità Del Debito Aziendale?


Hai accumulato debiti aziendali e ti stai chiedendo se la tua impresa è ancora in grado di farvi fronte? Non sai come capire se sei vicino a una situazione critica o se puoi ancora intervenire in tempo per evitare la crisi?

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Valutare la sostenibilità del debito aziendale è il primo passo per evitare scelte impulsive, proteggere l’attività e pianificare un eventuale risanamento. Non si tratta solo di vedere quanto devi, ma di capire se la tua impresa può davvero onorare quegli impegni senza compromettere la gestione quotidiana.

Ma come si valuta, concretamente, la sostenibilità del debito aziendale?

Significa analizzare la tua capacità reale di far fronte agli obblighi finanziari – mutui, prestiti, fornitori, Fisco – senza mettere a rischio la liquidità e la continuità operativa. È un’analisi che va oltre i numeri: serve a capire se il debito è gestibile o se sei vicino a una condizione di squilibrio.

I principali elementi da valutare sono:

La liquidità disponibile e la sua regolarità, ovvero: hai flussi di cassa sufficienti per pagare le rate nei tempi previsti?
Il peso degli interessi e delle scadenze sul fatturato: il servizio del debito è proporzionato agli incassi o ti sta schiacciando?
Il tipo di debito contratto: è “buono” (investimenti produttivi) o “cattivo” (usato per coprire perdite, emergenze o disavanzi)?
La tua esposizione verso banche, fornitori e Fisco, per valutare se ci sono posizioni critiche o già in contenzioso.
L’equilibrio tra debiti a breve e lungo termine, per evitare di rimanere scoperti nei mesi successivi.

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E se i numeri non tornano?

Se l’analisi mostra uno squilibrio evidente, è il momento di intervenire. Non aspettare di arrivare al punto di non ritorno. Puoi ancora valutare:

– una rimodulazione dei debiti;
– l’accesso a strumenti di risanamento come la composizione negoziata;
– un piano di rientro concordato con i creditori;
– oppure, nei casi più gravi, una procedura di regolazione della crisi, che blocchi le azioni esecutive e ti permetta di ripartire.

Questa guida dello Studio Monardo – avvocati esperti in diritto della crisi d’impresa e risanamento aziendale – ti spiega come si valuta la sostenibilità del debito aziendale, quali sono i segnali da non ignorare e cosa possiamo fare per aiutarti a proteggere la tua impresa prima che sia troppo tardi.

Hai dubbi sulla tenuta finanziaria della tua azienda? Vuoi sapere se puoi ancora gestire il debito o se serve una strategia legale immediata?

Richiedi, in fondo alla guida, una consulenza riservata con l’Avvocato Monardo. Analizzeremo insieme la tua esposizione debitoria, valuteremo la sostenibilità economica e ti accompagneremo in un percorso concreto per salvare l’impresa e difendere il tuo patrimonio.

Valutare la sostenibilità del debito aziendale significa accertare se un’impresa può continuare a operare rispettando gli impegni assunti con i propri creditori. In pratica, si tratta di verificare se i flussi di cassa generati dall’attività consentono di ripagare i debiti (capitale e interessi) nei termini pattuiti. Questa analisi è fondamentale sia per l’imprenditore che per i suoi consulenti (avvocati, commercialisti, advisor), perché orienta le scelte di gestione finanziaria e di ristrutturazione del debito. La guida che segue, aggiornata a giugno 2025, offre un approfondimento completo – dal punto di vista del debitore – sulle tecniche e sugli strumenti per misurare la sostenibilità del debito aziendale. Si esamineranno innanzitutto i diversi tipi di debito (bancario, obbligazionario, commerciale, leasing, ecc.) e le loro caratteristiche. Quindi si illustreranno gli indicatori e le formule finanziarie più utilizzati (come DSCR, PFN/EBITDA, copertura degli interessi, indici di indebitamento) e si proporranno esempi pratici e tabelle riassuntive. Infine verranno inquadrate le analisi nel contesto delle procedure di allerta e ristrutturazione del debito (composizione negoziata, concordato preventivo, sovraindebitamento, liquidazione giudiziale) e si proporrà una sezione di domande e risposte per chiarimenti concreti. Ad integrazione, saranno richiamate le fonti normative e i riferimenti di dottrina più rilevanti aggiornati al 2025.

Tipologie di debito aziendale

Un’impresa può avere debiti di vario tipo, che differiscono per durata, costo e priorità di rimborso. Una classificazione di base distingue principalmente i debiti finanziari da quelli commerciali. I debiti finanziari comprendono tutte le forme di finanziamento con rimborso dilazionato e costi aggiuntivi (interessi), come mutui, prestiti bancari, linee di credito, obbligazioni societarie e contratti di finanziamento soci. Al contrario, i debiti commerciali (o debiti verso fornitori) derivano da acquisti di beni o servizi con pagamento a termine, generalmente senza interessi. In altre parole, i debiti finanziari vengono contratti “ricevendo liquidità in prestito da banche o investitori” e comportano un esborso maggiorato, mentre i debiti commerciali sono semplici dilazioni di pagamento verso i fornitori.

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  • Debiti bancari e finanziamenti: includono mutui, finanziamenti agevolati, linee di credito (fidi bancari) e prestiti di soci o altri investitori. Questi contratti prevedono un piano di ammortamento con quote di capitale e interessi; il rimborso può essere a breve termine (entro 1–2 anni) o medio-lungo termine (oltre 2 anni). Ad esempio, un mutuo pluriennale è un debito finanziario a lungo termine. Questi debiti costituiscono la parte principale della posizione finanziaria netta (PFN) aziendale, introdotta dall’art. 2428 c.c. come indicatore di “indebitamento finanziario netto”.
  • Obbligazioni societarie: sono prestiti raccolti tramite emissione di titoli di debito (obbligazioni, minibond, cambiali finanziarie, etc.). Anch’essi rientrano tra i debiti finanziari a medio-lungo termine, in quanto prevedono pagamenti di cedole periodiche (interessi) e rimborso finale (capitale). Le obbligazioni possono essere garantite o non, e richiedono informazioni dettagliate in bilancio.
  • Debiti commerciali (fornitori): corrispondono agli importi dovuti ai fornitori per forniture di beni e servizi inerenti all’attività corrente. Questi debiti si iscrivono come passività correnti dello stato patrimoniale (da pagare entro 12 mesi) e non comportano interessi aggiuntivi. Ad esempio, se un’azienda acquista materie prime per €100.000 e ne paga la fattura tra 30 giorni, essa registra un debito commerciale di €100.000 verso il fornitore. I debiti commerciali possono essere analizzati mediante indici come il DPO (Days Payable Outstanding) o l’indice di rotazione dei debiti, ma non costituiscono debito sostenibile da un punto di vista finanziario, poiché sono semplici obbligazioni a breve scadenza.
  • Leasing e noleggi: il leasing operativo (uso di beni di terzi a canone) non si contabilizza come debito finanziario, ma il leasing finanziario sì. Dal 2019, secondo i principi OIC e IFRS 16, un contratto di leasing con trasferimento dei rischi viene contabilizzato con rilevazione di un’attività (bene utilizzato) e di una passività finanziaria (valore attuale dei canoni futuri). In tal modo, anche il leasing finanziario contribuisce alla posizione debitoria dell’azienda. In sintesi, tutti i finanziamenti che prevedono un rimborso rateale con interessi – mutui, leasing finanziari, factoring con anticipo fatture – entrano a far parte dei debiti finanziari e quindi nella PFN.
  • Factoring e smobilizzo crediti: operazioni di factoring finanziario (cedere crediti a una società di factoring) e smobilizzo (sconto fatture bancario) hanno per oggetto i crediti commerciali, ma dal punto di vista del bilancio generano un debito verso la banca o factor. Il finanziamento ottenuto è quindi un debito a breve termine, destinato a coprire liquidità in anticipo rispetto agli incassi. Da un lato allevia la pressione di cassa, ma dall’altro aumenta l’indebitamento finanziario a breve (non abbassa la PFN se già si consideravano i crediti).
  • Debiti tributari e previdenziali: tasse, Iva, ritenute e contributi dovuti all’Erario e all’Inps vengono iscritti in bilancio come passività correnti. Non hanno flussi di interessi, ma non sono affrontabili coi normali indici finanziari (si liquidano per legge). In un’analisi di sostenibilità del debito, vanno distinti dai debiti finanziari veri e propri: le procedure concorsuali e di composizione della crisi trattano i debiti fiscali/previdenziali separatamente e spesso non consentono piani di pagamento senza accettazione degli enti territoriali.
  • Debiti verso soci: possono includere prestiti soci o capitale soci non versato. Anche se tecnicamente debiti finanziari, spesso sono subordinati e usati per dotazione di capitale. Nelle analisi patrimoniali andranno esaminati per capire l’effettivo indebitamento a terzi (ad es. escludendoli se considerati autofinanziamento).

In sintesi, la posizione finanziaria complessiva di un’impresa si ricava distinguendo i debiti operativi (comuni, non onerosi) da quelli finanziari (mutui, prestiti, obbligazioni, leasing finanziari). La PFN, calcolata come “passività finanziarie totali meno liquidità e attività finanziarie pronte”, misura l’ammontare netto del debito che l’impresa deve ripagare. Un’esposizione finanziaria elevata mette a rischio la sostenibilità del debito, mentre una PFN contenuta indica una struttura patrimoniale più solida. In ogni caso, ogni tipologia di debito va contabilizzata correttamente (art. 2423-bis c.c. e principi OIC/IFRS), perché la sua natura (costo, garanzie, durata) influisce sulla pianificazione dei rimborsi e quindi sulla capacità di pareggio dei flussi di cassa futuri.

Strumenti di analisi quantitativa

Per misurare la sostenibilità del debito si utilizzano indicatori finanziari e patrimoniali chiave, che mettono in relazione il debito con la capacità di generare flussi di cassa e con la struttura del capitale. Di seguito i principali:

  • Posizione Finanziaria Netta (PFN): come detto, rappresenta l’indebitamento finanziario netto dell’impresa (debiti finanziari lordi meno liquidità disponibile). Non è un indice di sostenibilità di per sé, ma il dato di base da cui partire. Una PFN molto elevata (rispetto al fatturato o al patrimonio netto) evidenzia un carico di debito alto. L’analisi comincia sempre dal bilancio riclassificato: i debiti che compongono la PFN includono mutui, crediti bancari, obbligazioni, leasing (a leasing finanziario) e prestiti soci; come liquidità si considerano cassa, depositi bancari e titoli prontamente liquidabili. Se la PFN è positiva (più debiti che liquidità) indica dipendenza da terzi. In contesti normativi (art. 2428 c.c.) la relazione sulla gestione deve spiegare l’andamento della PFN. In generale, minore è la PFN in rapporto agli indicatori reddituali (fatturato, EBITDA, flussi), migliore è la sostenibilità.
  • EBITDA: sta per Earnings Before Interest, Taxes, Depreciation and Amortization (margine operativo lordo). Misura il reddito operativo generato prima di interessi, tasse e ammortamenti. Come definito da Confindustria, l’EBITDA “fornisce una visione chiara della capacità di un’azienda di generare flussi di cassa operativi”. Viene usato come proxy del cash flow generato dall’attività caratteristica. Un EBITDA crescente segnala buone performance operative e maggiori flussi disponibili per il servizio del debito. Al contrario, un EBITDA basso o negativo preoccupa, perché indica che l’impresa fatica a produrre reddito prima dei costi finanziari e fiscali. Nel calcolo di indici di sostenibilità il valore assoluto dell’EBITDA non basta: conta soprattutto il confronto tra EBITDA e oneri finanziari e debito residuo.
  • Debt Service Coverage Ratio (DSCR): è uno degli indicatori più utilizzati per valutare la capacità di coprire gli impegni finanziari con i flussi di cassa. Tradizionalmente, il DSCR si calcola come rapporto tra flusso di cassa operativo al netto delle imposte (cash flow operativo – tasse) e flusso finanziario a servizio del debito (quota capitale + interessi dei finanziamenti nell’anno). In altre parole: DSCR=Cash flow operativo netto (post-tasse)Rimborso annuo debito (capitale+interessi).\text{DSCR} = \frac{\text{Cash flow operativo netto (post-tasse)}}{\text{Rimborso annuo debito (capitale+interessi)}}. Secondo Confindustria, “il DSCR misura la sostenibilità finanziaria del debito aziendale e permette di capire se i flussi di cassa consentono a un’impresa di onorare i propri debiti finanziari con scadenza a 12 mesi”. L’interpretazione è intuitiva: DSCR > 1 significa che i flussi generati superano l’ammontare di debito da rimborsare (impresa solvibile e in grado di investire il residuo); DSCR = 1 indica flussi appena sufficienti a coprire capitale e interessi (non resta denaro disponibile); DSCR < 1 segnala che l’impresa non genera cassa sufficiente a pagare i debiti in scadenza e si trova in condizione di tensione finanziaria. Tipicamente, le banche richiedono che il DSCR sia almeno sopra 1,2–1,3 per avere un margine di sicurezza. Un calo del DSCR nel tempo è un segnale di crisi in evoluzione, che può richiedere misure di ristrutturazione.
  • Indice PFN/EBITDA: questo rapporto mette in relazione l’indebitamento netto con la capacità di generare reddito operativo (EBITDA). Esprime in anni il tempo teorico necessario per estinguere i debiti finanziari utilizzando interamente gli EBITDA annui. Confindustria sottolinea che “un valore di 5 indica che l’azienda sarebbe in grado di ripagare i propri debiti in 5 anni”. Per questa ragione, il PFN/EBITDA è spesso definito “indice di sostenibilità del debito”. Valori elevati (ad esempio oltre 6) sono considerati preoccupanti: in Europa la BCE ha individuato 6 anni come soglia critica oltre la quale molte aziende hanno storicamente incontrato difficoltà di rimborso. In pratica, un PFN/EBITDA inferiore a 4–5 è spesso visto come sostenibile; oltre tale soglia occorre ridurre il debito o aumentare i flussi (ad esempio tramite vendite di rami d’azienda).
  • Copertura degli interessi (Interest Coverage Ratio): è il rapporto tra l’EBIT (risultato operativo) e gli oneri finanziari passivi (interessi sul debito). Definito come EBIT/Interessi passivi, misura quanti euro di reddito operativo sono generati per ogni euro di interessi da pagare. Un valore superiore a 1 significa che il profitto operativo copre il costo degli interessi; viceversa, un valore inferiore a 1 indica che gli interessi superano l’EBIT, il che costituisce un “grave tensione finanziaria”. Gli analisti preferiscono talvolta il rapporto EBITDA/Interessi per includere anche ammortamenti (che rappresentano flussi di cassa non monetari), ma rimane che l’EBIT/Interessi (come suggerito da Damodaran) è un parametro cruciale per il rating aziendale. In generale, la copertura degli interessi dovrebbe essere molto superiore a 1 per sicurezza (idealmente sopra 2-3, a seconda del rischio).
  • Indice di indebitamento (Debt/Equity Ratio): è il rapporto tra il totale delle passività (o il debito finanziario netto) e il capitale proprio (mezzi propri). Esprime la “leva finanziaria” dell’impresa. Con Denaro.it: “il debt/equity ratio è uno dei principali indicatori finanziari utilizzati dalle banche”. Il rapporto indica in quale misura i mezzi propri garantiscono i debiti. Valori bassi (<0,5) indicano una struttura patrimoniale equilibrata; valori superiori a 1 o 2 segnalano dipendenza elevata dal debito e diminuzione dell’autonomia finanziaria. Ogni settore ha tolleranze diverse (ad es. imprese costruzioni spesso hanno leve maggiori), ma come regola generale un rapporto compreso tra 0,5 e 1 è considerato accettabile, mentre oltre 1 la situazione va monitorata.
  • Altri indici patrimoniali e di liquidità: benché più generali, anche indici come current ratio (attività correnti / passività correnti) o quick ratio (liquidità + crediti / passività correnti) possono far capire la capacità di coprire i debiti a breve. In un’analisi di sostenibilità si osservano anche indicatori di solidità patrimoniale (patrimonio netto / totale attivo) e di redditività (ROE, ROI), per capire se l’impresa ha base economica solida. Tuttavia, i parametri chiave restano quelli sopra elencati, che collegano direttamente il debito con i flussi di cassa futuri.

Per comodità di consultazione, la seguente tabella riassume i principali indicatori e il loro significato in termini di sostenibilità del debito:

Indicatore Formula Interpretazione e valori di riferimento
PFN (Pos. Fin. Netta) Debiti finanziari lordi – (Liquidità + Attività finanziarie) Indebitamento netto: PFN positiva = dipendenza dai debiti. Una PFN elevata (rispetto a fatturato o attivi) segnala leva e possibili problemi di sostenibilità. La tendenza della PFN nel tempo (stabile, crescente) è cruciale nella diagnosi.
EBITDA Ricavi – Costi operativi (escl. ammortamenti, interessi, tasse) Margine operativo lordo: misura il reddito operativo prima dei costi finanziari e fiscali. Un EBITDA consistente indica buoni flussi potenziali per il debito. Variazioni o deflazioni dell’EBITDA devono essere analizzate.
DSCR (Debt Serv. Cov.) (Cash flow operativo netto imposte) / (Quota capitale + interessi su debiti) DSCR > 1 = flussi sufficienti a coprire il servizio del debito (situazione sostenibile); DSCR < 1 = flussi insufficienti, tensione finanziaria. In genere si richiede almeno 1,2–1,3 di margine di sicurezza.
PFN / EBITDA PFN ÷ EBITDA Indica in quanti anni si estinguerebbe il debito (usando tutto l’EBITDA): più è basso, più è sostenibile. La soglia critica secondo la BCE è ≈6 anni. Tipicamente, valori < 5-6 sono considerati accettabili.
Copertura interessi EBIT ÷ Oneri finanziari (interessi passivi) Se > 1: l’operatività copre gli interessi; se < 1: “grave tensione finanziaria”. Un valore ben oltre 1 è auspicabile (ad es. ≥ 2), a seconda del settore e del profilo di rischio.
Debt / Equity (D/E) Totale passività ÷ Patrimonio netto Indica leva finanziaria: rapporto >1 (passività totali > mezzi propri) è di solito rischioso. Un valore compreso tra 0,5 e 1 è spesso considerato tollerabile; se oltre 1–2, il livello di indebitamento può pregiudicare l’autonomia.

I valori di soglia (soprattutto per DSCR e PFN/EBITDA) dipendono dal settore e dal contesto di rischio dell’impresa. In ogni caso, interpretare questi indici richiede sempre prudenza: un solo dato preso isolatamente può fuorviare. Ad esempio, un’impresa con PFN/EBITDA di 5 ma con flussi in forte crescita può stare meglio di una che viaggia stabilmente a 4 ma in un settore in decrescita. Per questo motivo è buona prassi affiancare all’analisi quantitativa anche valutazioni qualitative (prospettive di mercato, governance, vincoli contrattuali).

Analisi per dimensioni aziendali

La complessità e le aspettative sull’analisi finanziaria variano secondo la dimensione dell’impresa. La normativa UE distingue macro-categorie come microimprese, piccole, medie e grandi imprese. In Italia, convenzionalmente:

  • Microimprese: <10 addetti, fatturato o totale di bilancio < 2 milioni €;
  • Piccole imprese: <50 addetti, fatturato o totale di bilancio < 10 milioni €;
  • Medie imprese (PMI): <250 addetti, fatturato < 50 milioni o bilancio < 43 milioni €.
  • Grandi imprese: oltre tali limiti.

Queste soglie (rafforzate dal Regolamento UE aggiornato) sono rilevanti non solo per l’accesso a fondi e agevolazioni, ma anche per scelte contabili e gestionali. Micro e piccole imprese normalmente hanno strutture organizzative snelle e minor accesso ai mercati dei capitali, perciò i loro debiti si concentrano su linee di credito bancarie a breve e leasing di beni strumentali. In questi casi spesso l’analisi si basa su indicatori di base (liquidità, leva, debiti vs flussi attesi); i valori di soglia richiesti (ad es. un DSCR di 1,2) possono essere meno stringenti, dato il profilo di rischio minore e i volumi ridotti. Tuttavia, la logica rimane la stessa: anche un piccolo imprenditore deve controllare costantemente il cash flow e il rapporto tra debiti e mezzi propri per non incorrere in criticità.

Le medie imprese (PMI di dimensione) dispongono in genere di contabilità più strutturate e possono negoziare finanziamenti di entità maggiori (mutui, bond di importo medio). Esse devono monitorare con regolarità gli indici (PFN/EBITDA, DSCR, copertura interessi) per mantenere la fiducia delle banche. Spesso sono soggette a rating interni bancari o indicatori di bilancio imposti dai covenants. Anche la compliance informativa è più rigorosa: ad esempio la relazione sulla gestione (art. 2428 c.c.) per le PMI deve riportare i principali “indicatori di risultato finanziari”, ivi compresa la PFN.

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Le grandi imprese (specialmente quotate o che adottano IFRS) sono sottoposte a controlli ancora più stringenti. Devono pubblicare bilanci certificati, analisi di sensitività sui flussi di cassa futuri e possibili scenari di stress test. I parametri di sostenibilità del debito vengono spesso integrati da modelli avanzati (rating interno, EBITDA adjusted, cash flow plan pluriennale) e i pianificatori finanziari usano simulazioni complesse per valutare scenari di crisi. Ad esempio, una grande impresa potrebbe includere nel proprio piano industriale proiezioni pluriennali di DSCR e PFN/EBITDA, valutando l’impatto di nuovi investimenti o di aumento del costo del credito. Inoltre, le grandi imprese sono soggette agli accordi di Basilea e agli stress test delle autorità bancarie, che hanno introdotto soglie critiche (per es. il rapporto PFN/EBITDA sopra 6 è considerato “a rischio” negli AQR bancari).

In sintesi, anche se l’analisi rimane sostanzialmente la stessa, per le imprese più piccole l’approccio sarà più essenziale e focalizzato sui numeri essenziali, mentre per le realtà più grandi saranno necessari strumenti e documentazioni più strutturati (budgets, business plan, piani strategici, ecc.). Il debitore deve comunque sempre calcolare quegli indicatori chiave citati nella sezione precedente e interpretarne i valori rispetto alla propria storia aziendale e settore. Ad esempio, una microimpresa del commercio con leve modeste potrà “far passare” un rapporto D/E di 0,8 se ha buona redditività, mentre una grande industria con debiti pro quota potrebbe essere considerata rischiosa già a 0,6.

Procedure concorsuali e crisi d’impresa

Quando un imprenditore, pur dopo aver analizzato i numeri, scopre che il debito è insostenibile (i flussi non bastano a coprirlo, gli indici sono preoccupanti), può valutare l’accesso agli strumenti di regolazione della crisi d’impresa previsti dal nostro ordinamento. In questi casi, la sostenibilità del debito viene riconsiderata in sede preventiva, spesso con l’assistenza di professionisti iscritti negli elenchi dei gestori della crisi. Di seguito si elencano le principali opzioni:

  • Composizione negoziata della crisi (d.lgs. 14/2019, Titolo II): introdotta di recente, consente all’imprenditore in squilibrio (anche se non formalmente insolvente) di negoziare un accordo con i creditori sotto il coordinamento di un organismo specializzato o di un professionista. Prima di avviare la negoziazione, il debitore compila un “test pratico” che valuta la complessità del risanamento in base alla sua PFN e ai flussi di cassa previsti. Sebbene il codice richieda che l’istanza sia fondata su dati veritieri, il debitore è incentivato a usare la piattaforma informatica (art. 25-undecies CCII) per calcolare se il suo debito rientra nei limiti di sostenibilità semplificati (es. se l’indebitamento complessivo ≤ €30.000, il sistema genera automaticamente un piano di rateizzazione approvato tacitamente). Se il test segnala che la ristrutturazione è percorribile, si apre la negoziazione con i creditori, con sospensione delle azioni esecutive. Per l’imprenditore debitore, la composizione negoziata è quindi un’occasione per tentare un accordo (defiscalizzato) basato proprio sulla sostenibilità del piano proposto, e richiede di presentare un piano di risanamento coerente con i flussi previsti.
  • Accordi di ristrutturazione (art. 182-bis CCII): sono strumenti stragiudiziali (o omologati dal tribunale) in cui il debitore propone ai creditori finanziari un piano di pagamento delle somme dovute. Questi accordi richiedono il voto favorevole di almeno il 60% dei crediti finanziari (in astensione o per massa). Analogamente al concordato, anche qui il professionista deve attestare la fattibilità del piano. Dal punto di vista del debitore, gli accordi di ristrutturazione permettono di ottenere il consenso sulla ristrutturazione dei soli debiti finanziari (bancari, obbligazionari) senza coinvolgere i creditori commerciali; infatti, i debiti verso fornitori non entrano nel 182-bis. L’azienda deve dimostrare un progetto di risanamento credibile (spesso basato su previsioni di DSCR e PFN migliorati nei prossimi 3-5 anni) perché i creditori lo accettino.
  • Concordato preventivo: è una procedura giudiziale di composizione della crisi aperta dal tribunale su richiesta del debitore (art. 160 c.p.c. per il nuovo codice). Il concordato può essere con continuità o liquidatorio. Nel concordato in continuità l’impresa propone un piano per continuare l’attività, offrendo ai creditori il rimborso del debito (totale o parziale) con nuovi flussi di cassa futuri. Questo piano deve essere attestato da un professionista (art. 56 CCII) e mostrare che, in base alle previsioni economiche, i debiti saranno ripagati o comunque ridotti secondo quanto promesso. Dal punto di vista del debitore, significa dover preparare un business plan dettagliato (possibilmente pluriennale) con DSCR e PFN previsti, e dimostrare che l’azienda può generare liquidità per coprire i termini accordati. Nel concordato liquidatorio, invece, l’impresa dichiara di non poter continuare e propone la liquidazione dei beni; qui non si valuta la sostenibilità della continuità, ma il migliore recupero possibile per i creditori. In ogni caso, il concordato richiede l’omologazione giudiziale e il voto favorevole di ciascuna classe di creditori (di solito almeno il 50% per valore). Il debitore deve quindi convincere i creditori finanziari e non (tramite l’attestazione) che il piano è realistico.
  • Concordato minore / sovraindebitamento del consumatore: per piccolissimi imprenditori, professionisti e consumatori sono previste procedure semplificate (artt. 67-70 CCII, artt. da 10 a 13 L. 3/2012). Ad esempio, il concordato minore per gli imprenditori sotto-soglia UE permette un accordo semplificato. Il piano del consumatore (legge 3/2012) è una via di salvataggio per debitori non fallibili (famiglie, professionisti non iscritti al registro imprese), dove si propone un piano di pagamento facilitato a creditori chirografari con l’assenso di un organismo. In tutte queste forme, il debitore deve provare la propria buona fede e la capacità di pagare un certo ammontare: la sostenibilità del debito è verificata allegando documenti (redditi, cespiti, piani di spesa) che giustifichino il piano proposto.
  • Liquidazione giudiziale (ex-fallimento): se tutte le altre strade falliscono, il tribunale dichiara la liquidazione giudiziale dell’impresa (il “fallimento” secondo la vecchia legge). In questa procedura i debiti non sono più sostenibili in senso corrente; viene nominato un curatore che vende i beni sociali per ripagare i creditori. Dal punto di vista del debitore, la liquidazione è il culmine dell’insolvenza: non si discute più di sostenibilità dei flussi, ma si affronta la chiusura dell’attività con il tentativo di limitare le perdite dei creditori. Il debitore è escluso dalla gestione. In questa fase, le analisi di PFN/EBITDA, DSCR e simili servono solo a determinare il passivo e capire se ci sono crediti privilegiati o privilegi speciali (p.es. crediti garantiti su immobili o impianti).

In ogni procedura di cui sopra, il concetto di sostenibilità del debito è centrale: quando il debitore propone un piano (negoziato, concordato, o piano del consumatore), deve dimostrare che i debiti saranno onorati in tutto o in parte con i futuri flussi di cassa. Di conseguenza, metriche come DSCR e PFN/EBITDA diventano fondamentali nel piano finanziario allegato. Ad esempio, negli accordi di ristrutturazione o nel concordato, il rapporto PFN/EBITDA previsto a regime e l’utile operativo atteso dopo le misure di risanamento vengono commentati nell’attestazione di fattibilità. Se la sostenibilità non è dimostrabile, i creditori potrebbero rifiutare l’accordo e procedere alla liquidazione. Al contrario, la sostenibilità sufficiente può convincerli ad accettare una dilazione o una riduzione del debito. Per questo motivo, anche gli organi giudiziari (tribunali e curatori) esaminano gli indici finanziari dell’impresa per capire la reale fattibilità del risanamento proposto.

Simulazioni pratiche e casi aziendali

Per illustrare l’uso concreto degli indici di sostenibilità, consideriamo alcuni esempi ipotetici (basati su valori plausibili in contesto italiano):

  • Esempio 1: Microimpresa di commercio al dettaglio. Supponiamo un piccolo negozio con fatturato annuo di €200.000 e costi vari (inclusi affitto e salari) di €180.000, generando un EBITDA di €20.000. Il titolare ha un mutuo bancario residuo di €50.000 (5 anni rimanenti a tasso fisso) e ha versato €5.000 di cassa. La PFN è quindi 45.000 (€50k debito – €5k liquidità). Il PFN/EBITDA è 2,25 (45.000/20.000), cioè poco oltre 2 anni di generica cassa operativa per ripagare i debiti. Questo valore suggerisce un indebitamento limitato e ragionevolmente sostenibile per una microimpresa, ben al di sotto della soglia di allerta (ad es. 6). Verifichiamo il DSCR: i flussi di cassa (EBITDA) sono €20.000 annui e il servizio del debito (quota capitale + interessi annui) potrebbe essere circa €12.000/anno (stimando rata mutuo). Pertanto il DSCR ≈ 20.000/12.000 ≈ 1,67 (>1): i flussi coprono abbondantemente il rimborso. Questo indica che l’impresa può far fronte ai pagamenti annuali (debito sostenibile nel breve termine) e dispone di margine (€8.000) per altre esigenze. In questo scenario, la sostenibilità del debito appare buona: bassi debiti rispetto all’EBITDA e DSCR superiore a 1. In futuro, il titolare potrebbe anzi valutare ulteriori finanziamenti o investimenti, perché i flussi attuali li coprono agevolmente.
  • Esempio 2: PMI manifatturiera in espansione. Consideriamo una media impresa con fatturato di €5 milioni, EBITDA di €1 milione e PFN attuale di €6 milioni (ad es. €7M debiti finanziari – €1M liquidità). Il rapporto PFN/EBITDA = 6 (anni). Questo valore coincide con la soglia di attenzione indicata dalle autorità europee: oltre questo l’impresa è a rischio. Se l’EBITDA aumenta all’8% annuo, in 3 anni potrebbe crescere a ~€1,25M mentre il debito resta €6M (senza nuovi finanziamenti). Allora PFN/EBITDA salirebbe a 6/1,25 ≈ 4,8, migliorando nettamente la sostenibilità. Il DSCR corrente se il servizio del debito annuale è €0,9M (supponiamo piano ammort. a 10 anni, tasso 3%), allora DSCR = 1,11 (1/0,9). Benché >1, è un margine ridotto. Se l’EBITDA cresce come atteso, il DSCR migliorerebbe ulteriormente (ad es. 1,25 su flussi attesi). In questo caso l’azienda appare fragile ma potenzialmente sana: il peso del debito è alto (PFN/EBITDA=6), ma i flussi previsti in crescita indicherebbero un percorso di risanamento. Il debitore, in vista magari di un accordo con banche o di un’operazione di emissione di obbligazioni, preparerebbe un piano di ristrutturazione evidenziando queste previsioni positive (p.e. un aumento annuo del DSCR). A consuntivo, l’indice PFN/EBITDA è un campanello d’allarme che suggerisce cautela, ma con le giuste azioni (aumento margini, dilazione pagamenti) può migliorare la sostenibilità.
  • Esempio 3: Grande impresa in difficoltà. Una società operativa in vari settori ha fatturato €100 milioni, EBITDA di soli €5 milioni (5% del fatturato) e una PFN di €50 milioni. Qui PFN/EBITDA = 10, ben oltre 6: la BCE classificherebbe questo caso come “a rischio”. Inoltre, immaginiamo che il DSCR per l’anno in corso sia 0,8 (flussi attesi €4M contro €5M di servizio del debito): l’EBITDA non basta per pagare neppure gli interessi. Questa impresa si trova in una situazione di incertezza critica: dovrebbe subito ridurre costi/debiti o cercare nuovi capitali. Le banche probabilmente chiederebbero misure drastiche, mentre il management dovrebbe presentare ai creditori un piano di rilancio molto aggressivo (o un concordato). Nella valutazione di sostenibilità, entrambi i principali indici segnalano la crisi: DSCR <1 e PFN/EBITDA molto alto. Come azione immediata, la società potrebbe rifinanziare parte del debito per allungare le scadenze (migliora DSCR nel breve), ma nel medio serve aumentare l’EBITDA (vendita di asset non core, riduzione del personale, nuovi clienti). Solo così la sostenibilità potrà tornare in positivo.

Questi esempi mostrano come il calcolo pratico dei principali indici fornisca insight su scenari diversi. In ciascun caso il debitore (o il consulente) può ricavare informazioni utili: un PFN/EBITDA basso indica margine per eventuale ulteriore indebitamento, un DSCR elevato consente di pianificare investimenti, un DSCR <1 esorta a cambiare subito rotta. È importante accompagnare i valori numerici con il contesto: ad esempio, una PFN/EBITDA di 4 può essere sano per un’attività stabile, ma preoccupante se il mercato sta declinando.

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Tabelle riepilogative

Di seguito sono riportati esempi di tabelle riassuntive che chiariscono la formula e l’interpretazione di alcuni indici chiave della sostenibilità del debito:

Tabella 1: Indicatori finanziari principali per valutare il debito

Indicatore Formula Riferimenti / Interpretazione principale
PFN (Net Debt) Debiti finanziari – (Liquidità + Altre Attività Finanziarie) Misura l’indebitamento netto. Una PFN positiva indica dipendenza dai debiti. Un PFN elevato (in proporzione a fatturato o equity) segnala fragilità.
EBITDA Ricavi – Costi operativi (escl. ammort., interesse, imposte) Flusso di cassa operativo lordo. Misura la capacità generativa prima degli oneri finanziari. Un EBITDA alto rispetto ai debiti indica buona struttura finanziaria.
DSCR (Cash flow operativo – imposte) / (Quota capitale + Interessi) DSCR > 1: l’azienda genera flussi sufficienti a coprire debiti e interessi; DSCR < 1: non li copre, condizione di tensione finanziaria. Banche di solito richiedono un DSCR ≥ 1,2–1,3.
PFN / EBITDA PFN ÷ EBITDA “Anni di rimborso”: numero di anni in cui l’EBITDA copre l’indebito. Spesso indicato come «indice di sostenibilità del debito». Valori elevati (>6) sono critici.
Interest Coverage EBIT ÷ Oneri finanziari (interessi passivi) Copertura degli interessi: se ≥1 l’EBIT copre gli interessi; se <1 impossibilità di far fronte agli oneri finanziari (grave rischio). Valori ≥2–3 considerati più prudenti.
Debt / Equity (D/E) Totale passività ÷ Patrimonio netto Rapporto debito/mezzi propri. Valori >1 (100%) mostrano leva elevata e possibile rischio per l’autonomia gestionale. Un rapporto basso indica struttura patrimoniale solida.

Tabella 2: Interpretazione dei principali indici di sostenibilità del debito

Indice Soglie generali Significato pratico
PFN/EBITDA <4 = sano; 4–6 = da monitorare; >6 = alto Numero di anni per ripagare i debiti con i flussi operativi. Un valore più basso è preferibile; oltre 6 si entra in area di rischio secondo indicazioni BCE.
DSCR >1,2–1,3 = buono; =1 = limite; <1 = critico Indica se i flussi di cassa coprono il debito annuo. Sopra 1 consente ulteriore investimento, sotto 1 denota crisi. Varia con le stime del business plan.
EBIT/Interessi ≥2 = sicurezza; 1–2 = attenzione; <1 = crisi Copertura degli interessi: più alto è migliore. Confronto diretto tra reddito operativo e oneri finanziari. Valori sotto 1 anticipano perdita netta prevista.
Debt/Equity (D/E) 0–0,5 = basso rischio; 0,5–1 = medio; >1 = alto Confronto debiti totali e capitale proprio. Valori superiori a 1 (più debiti che equity) segnalano forte indebitamento. Dipendono anche dal settore di attività.
Current Ratio >1,5–2 = buona liquidità; <1 = debole Attività correnti / passività correnti. Indica capacità a breve termine. Se <1 segnala tensioni sulla liquidità operativa (non copre i debiti correnti).
EBITDA Margin Settore specifico EBITDA / Ricavi. Un margine di EBITDA elevato (tipico dei servizi) aiuta la sostenibilità; in settori a basso margine (ad es. GDO) gli indici di copertura si abbassano.

Nelle tabelle precedenti i valori soglia sono indicativi e vanno adattati al settore e alla specifica situazione aziendale. L’importante è usare questi indicatori come guide per identificare trend o criticità. Ad esempio, se il DSCR scende di anno in anno verso 1 o meno, è un chiaro segnale che i piani futuri non sono sostenibili a regime e si rende necessario un intervento correttivo immediato (riduzione del debito, ricapitalizzazione, ecc.).

Domande e risposte (FAQ)

D: Come faccio a sapere se il mio debito è sostenibile?
R: Devi calcolare gli indicatori chiave descritti. Ad esempio, verifica il DSCR (rapporto fra flussi di cassa operativi netti e oneri da debiti): se è superiore a 1 i flussi coprono il debito, altrimenti no. Calcola anche il rapporto PFN/EBITDA: questo ti dice in quanti anni potresti estinguere il debito con l’EBITDA annuo. Un valore molto alto (ad es. sopra 6) indica rischio elevato. Controlla infine il rapporto debito/equity: se i debiti superano di gran lunga i mezzi propri, l’impresa è poco patrimonializzata (leva alta) e quindi più vulnerabile. Con questi dati puoi comprendere in che misura il debito attuale può essere ripagato con i profitti e il capitale disponibile.

D: Il leasing deve essere incluso nel calcolo della sostenibilità?
R: Sì, il leasing finanziario concorre al debito aziendale. Dal punto di vista sostanziale (secondo IFRS 16 e OIC italiani) un leasing finanziario genera una passività pari al valore attuale dei canoni futuri e un’attività (diritto d’uso). Quindi quando si calcola la PFN, i canoni futuri residui del leasing aumentano il totale dei debiti finanziari netti. Il leasing operativo, invece, non produce debito a bilancio, ma rimane un canone di gestione (e non viene incluso in PFN). In ogni caso, nella sostenibilità del debito bisogna ricordare che anche i canoni di leasing assorbiranno liquidità futura, quindi vanno considerati nei piani di cash flow.

D: Cosa succede se il DSCR della mia impresa scende sotto 1?
R: Un DSCR inferiore a 1 significa che i flussi di cassa operativi netti non coprono tutti i pagamenti di debito del periodo. Questo è un campanello d’allarme: l’impresa sta erodendo capitale o attingendo a riserve per far fronte agli impegni. In pratica, prima o poi dovrà trovare risorse aggiuntive (nuovi finanziamenti, aumento di capitale) o ridurre i pagamenti (ad esempio rinegoziando i debiti). Dal punto di vista pratico, se il DSCR è sotto 1 occorre agire rapidamente: potresti valutare una ristrutturazione del debito (negoziare dilazioni o cancellazioni con le banche) o, se la situazione lo consente, aumentare la redditività (riducendo i costi o trovando nuove commesse) per farlo tornare sopra 1. Se non intervieni, col tempo la liquidità si esaurisce e si apre la crisi conclamata.

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D: Qual è la differenza fra debiti commerciali e finanziari nella valutazione della crisi?
R: I debiti commerciali (verso fornitori) sono parte del capitale circolante e vengono generalmente pagati entro breve; non costano interessi, ma possono generare tensioni di liquidità se crescono troppo. I debiti finanziari invece includono prestiti bancari, mutui, obbligazioni: hanno scadenze più lunghe e costano interessi. In una crisi l’attenzione principale è rivolta ai debiti finanziari: i creditori finanziari sono quelli che beneficiano degli indici come DSCR e PFN/EBITDA, e solitamente essi votano per l’approvazione di piani concordatari o accordi di ristrutturazione. I debiti commerciali, pur importanti, vengono trattati separatamente (ad esempio in un concordato rimangono inalterati se non previsti nel piano). In sintesi, nel misurare la sostenibilità del debito conviene focalizzarsi prima sui finanziamenti a medio-lungo termine (bancari e obbligazionari) e poi vedere se l’attività riesce anche a coprire i crediti commerciali scaduti in modo ordinario.

D: Come devo includere le tasse e i costi straordinari nelle previsioni del piano finanziario?
R: Nel calcolo del DSCR tradizionale si sottraggono le imposte dal flusso operativo. Quindi è fondamentale stimare correttamente l’impatto fiscale nel cash flow. Le imposte (IRES/IRAP) pesano sui flussi disponibili e possono far scendere il DSCR. Allo stesso modo, spese straordinarie (onerous contracts, rivalutazioni, penali) vanno considerate, perché riducono i fondi destinabili al debito. In pratica, nel cash flow pro-forma dell’impresa si inseriscono tutte le spese previste (ordinare e straordinarie); il DSCR va calcolato sul flusso netto risultante. Se non si considerassero tasse/interessi o eventi straordinari, l’analisi sarebbe troppo ottimistica.

D: Quali strumenti posso utilizzare se la mia impresa non riesce a ripagare il debito?
R: Se gli indici (DSCR, PFN/EBITDA, copertura interessi) mostrano che il debito non è sostenibile nel piano corrente, il debitore può attivare varie soluzioni:

  • Ristrutturazione volontaria: tentare un accordo stragiudiziale con le banche (accordi in via 182-bis o piano di moratoria/ex-Fondo di Garanzia).
  • Piattaforma composizione negoziata (art. 12 CCII): valutare se si è idonei e avviare la procedura di composizione negoziata della crisi; questo prevede di inserire i dati nel programma informatico di crisi (art. 25-undecies) e, se ammessi, negoziare un piano con i creditori.
  • Concordato preventivo: presentare un piano concordatario con continuità (o liquidatorio) che ristrutturi i debiti; in questo caso servirà l’attestazione di un professionista sulla fattibilità del piano.
  • Sovraindebitamento (se si tratta di consumatori o imprese minori): pianificare un piano del consumatore (legge 3/2012) o un concordato minore.
  • Liquidazione giudiziale: ultimo stadio, se non esistono soluzioni, si dichiara la cessazione (fallimento/liquidazione) e si liquidano i beni.

In ogni caso, è fondamentale affiancare alla valutazione delle varie opzioni una rielaborazione del piano finanziario con gli indicatori ridotti e confrontati con quelli richiesti. Ad esempio, nella composizione negoziata l’imprenditore compila il “test pratico” per capire se i crediti previsti nei prossimi esercizi possono coprire i debiti futuri. Così, potrà decidere se procedere autonomamente (preparando un piano) o cercare subito assistenza esterna (studi legali o commercialisti esperti in crisi d’impresa) per negoziare la ristrutturazione del debito.

D: I debiti tributari e previdenziali rientrano nell’analisi di sostenibilità?
R: Dal punto di vista formale, i debiti verso il fisco e gli enti previdenziali non figurano nei debiti “finanziari” che si analizzano con i DSCR o PFN/EBITDA, perché non prevedono interessi finanziari e vengono gestiti con regole particolari (tassello separato). Tuttavia, occorre sempre considerare gli oneri fiscali/previdenziali nel piano di cassa: se un’impresa ha problemi di liquidità deve valutare se e quando potrà pagare tasse e contributi scaduti. In alcune procedure (p.es. concordato o piano del consumatore) i crediti di lavoro e previdenziali hanno una tutela prioritaria, quindi non si rateizzano come gli altri debiti. In breve, i debiti fiscali/previdenziali NON entrano nel calcolo di DSCR o PFN, ma compromettono la sostenibilità generale se crescono, perché richiedono risorse liquide irrinunciabili per legge.

Fonti normative, dottrinali e giurisprudenziali

Di seguito si riportano i principali riferimenti normativi, dottrinari e giurisprudenziali utilizzati per redigere questa guida, aggiornati a giugno 2025:

  • Normativa primaria:
    • D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 – “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza” (e successive modifiche, in particolare D.Lgs. 17 giugno 2022, n. 83). Contiene le norme sui nuovi strumenti di composizione della crisi (artt. 12-16 CCII), sugli accordi di ristrutturazione (art. 182-bis), sul concordato preventivo (art. 160 ss.), sul concordato minore (art. 67-ter), sulle segnalazioni di crisi e sul piano del consumatore (art. 14 L.3/2012 inserito nel Codice).
    • D.L. 30 aprile 2022, n. 36, conv. in L. 29 giugno 2022, n. 79 – ha aggiornato scadenze e modificato parti del Codice della crisi in materia di allerta.
    • L. 27 gennaio 2012, n. 3 – legge sul sovraindebitamento, istitutiva del cosiddetto “piano del consumatore” (ristretta agli insolventi privati) e del “concordato del sovraindebitato”.
    • Codice Civile, art. 2428 comma 1, n. 2) – prevede che la relazione sulla gestione illustri i principali indicatori di risultato finanziari, comprensivi di quelli che sintetizzano la posizione finanziaria netta.
    • Regolamenti UE: in particolare il Regolamento (UE) 2017/1986 (IFRS 16) – disciplina l’assetto contabile del leasing finanziario a livello internazionale, incluso nel bilancio italiano delle società che adottano IFRS.
  • Giurisprudenza e prassi:
    • Non sono state richiamate sentenze specifiche nel corpo della guida. In generale, la giurisprudenza di riferimento include decisioni in materia di concordato (ad es. Cass. civ. 14693/2016 sulla pubblicità del concordato) e sul corretto calcolo dei crediti (Cass. civ. 21983/2015, su rilevazione dei debiti). La distinzione tra debiti commerciali e finanziari o l’attestazione di fattibilità in concordato si desume anche da numerosi orientamenti di tribunali fallimentari e sezioni specializzate.

Capire se un debito è sostenibile è il primo passo per evitare la crisi e agire in tempo. La valutazione non si basa solo sui numeri, ma anche sulla capacità dell’azienda di generare flussi di cassa per farvi fronte.
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🎓 Le qualifiche dell’Avvocato Giuseppe Monardo

✔️ Avvocato esperto in diritto societario e gestione della crisi d’impresa
✔️ Consulente per SRL, ditte individuali e imprese familiari
✔️ Gestore della crisi iscritto al Ministero della Giustizia

Conclusione

Valutare la sostenibilità del debito aziendale ti permette di prevenire situazioni irreversibili.
Con l’assistenza di un legale esperto puoi agire per tempo e costruire un piano di salvataggio concreto e sicuro.

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