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“Affitti alti? Abbiamo un piano per il ceto medio, in Italia è tutto fermo da 70 anni”


Dopo Letizia Moratti, che ottenne l’assegnazione di Expo, Beppe Sala – commissario e poi primo cittadino – fa il bilancio di 10 anni che hanno cambiato il volto della città. E immagina la Milano da qui al 2035. «Milano non ha esaurito l’entusiasmo di allora. Immagino una transizione verso l’economia della conoscenza». E su Expo: «Una cosa che è passata sostanzialmente in silenzio: ha chiuso il bilancio finale in utile. Non è cosa da nulla in un Paese come il nostro, dove le “opere” pubbliche costano sempre più del previsto».

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Sindaco Sala, lei ha vissuto Expo da commissario e governa la città che quell’evento ha così profondamente trasformato. 10 anni dopo, sente che lo slancio propulsivo di quella straordinaria esperienza si stia esaurendo o vede ancora energia vitale in quel modello di sviluppo? Come si mantiene viva quella spinta?
«L’Esposizione Universale è stato uno straordinario volàno per Milano. È stato l’evento attraverso cui la città ha preso piena consapevolezza delle proprie capacità, sia in termini di attrattività, sia di gestione dei servizi. Se oggi Milano è una destinazione turistica tutto l’anno, se è considerata un centro culturalmente interessante e stimolante, oltre che la città degli affari, della moda e del design, è sicuramente merito di quanto ha dimostrato in quei sei mesi e soprattutto di un tessuto sociale, imprenditoriale e istituzionale che è in grado di fare rete. Nonostante la pandemia, nonostante le crisi internazionali e i conflitti che hanno attraversato questi 10 anni, non credo che Milano abbia esaurito quell’entusiasmo, quella capacità di credere in sé stessa, quella volontà di lasciare il segno che l’ha spinta nel 2015 a dare il meglio. Anzi, oggi come allora Milano è un punto di riferimento internazionale e una guida da seguire per interpretare le tante sfide del presente e guardare con fiducia al futuro».

Milano ha dimostrato di saper gestire grandi eventi trasformandoli in occasioni di sviluppo strutturale. Guardando ai prossimi 10 anni, la città ha bisogno di un nuovo «Expo» per mantenersi competitiva o può crescere attraverso una strategia di innovazione continua e buona amministrazione? Qual è la sua visione?
«Milano è una città internazionale. Il livello di consapevolezza e di reputazione che ha acquisito in questi anni la portano a confrontarsi con le Capitali e le altre grandi città del mondo sui temi di maggiore urgenza e sensibilità che vivono le metropoli globali: casa, ambiente, mobilità, equità. Fra meno di un anno la città si troverà nuovamente al banco di prova con le Olimpiadi e Paralimpiadi invernali. E anche quella sarà una nuova stupenda occasione di crescita. Più in generale, è evidente che le città sono quegli spazi fisici e sociali dove le problematiche della contemporaneità si scatenano, ma dove le soluzioni devono essere identificate ed applicate».

Le Olimpiadi invernali 2026. Che lezione ha tratto da Expo per evitare che diventino solo una costosa vetrina? Come trasformare anche questo appuntamento in un acceleratore di sviluppo sostenibile per i prossimi 10 anni?
«Non considero Expo né le Olimpiadi invernali una costosa vetrina. Sono un’opportunità di crescita e di sperimentazione che ha portato e porterà benefici di differente natura alla città. Tra l’altro la legacy delle Olimpiadi in città è evidente già ora: Milano avrà un nuovo palazzetto per lo sport e gli eventi, realizzato da privati, nel quartiere di Santa Giulia e il villaggio olimpico diventerà uno studentato dopo l’appuntamento, portando a compimento la rigenerazione dell’ex scalo ferroviario di Porta Romana. E permettetemi di ricordare una cosa di Expo che è passata sostanzialmente in silenzio: la società Expo 2015, di cui io ero commissario, ha chiuso il bilancio finale in utile, restituendo una parte seppur limitata di fondi agli azionisti. Non è cosa da nulla in un Paese come il nostro, dove le “opere” pubbliche costano sempre più del previsto».

L’area MIND, nata sulle ceneri di Expo, ambisce ancora a divenire il grande hub dell’innovazione e della formazione. Resta da chiedersi quanto questo modello di rigenerazione urbana, che ha motore nello sviluppo, possa essere replicato in altre aree della città…
«Su MIND convergono l’eredità materiale e quella immateriale di Expo 2015. L’area infrastrutturata che ha ospitato il sito espositivo è un distretto dell’innovazione e della scienza a tutti gli effetti, un quartiere che vive di ricerca, sperimentazione, tecnologia e scienze della vita, in cui si respira internazionalità e sviluppo sostenibile. Ospita già lo Human Technopole, l’Ospedale Galeazzi, Fondazione Triulza e sono in corso i lavori di costruzione del campus dell’Università statale e di due residenze universitarie. Rappresenta un modello di rigenerazione, che credo possa essere di ispirazione per altri contesti urbani, sia a Milano che in altre città».

Le sue amministrazioni hanno lanciato l’idea di «città a 15 minuti» e di qualità della vita urbana. Come si concilia questa visione di prossimità con l’ambizione di Milano di essere hub globale? A volte pare palesarsi un conflitto tra internazionalizzazione e benessere dei residenti…
«Milano è la città contemporanea e globale che il mondo apprezza anche per la vivacità dei suoi quartieri. L’idea della “città a 15 minuti”, policentrica e a misura di cittadino, non contrasta con la visione di una città internazionale. Anzi, è proprio da esperienze estere di grande valore che trae ispirazione».

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C’è il tema del boom immobiliare post-Expo, Milano vive oggi tensioni sociali legate al costo della vita e alla gentrificazione. Ci si chiede come evitare che la crescita dei prossimi anni produca una città per pochi. Quale visione di sviluppo inclusivo immagina?
«Milano è una città che attrae e che accoglie: sviluppo e inclusione fanno parte della sua natura. La sfida del nostro tempo è fare in modo che queste due dimensioni vadano avanti di pari passo. Per questo, ad esempio, per affrontare la questione abitativa, in assenza di un piano nazionale (e questo va sottolineato, l’ultimo Piano Casa del nostro Paese è il Piano Fanfani degli anni ‘50), il Comune di Milano ha deciso di approntare un piano straordinario per la casa che porterà alla costruzione di 10mila abitazioni, da mettere in locazione a costi calmierati. Perché oggi il problema – che condividiamo con le altre città del mondo – è quello di garantire case che siano accessibili per il ceto medio».

Sembra porsi la questione di una distanza tra la modernizzazione e i bisogni sociali. È in realtà comune a tutte le realtà metropolitane: la domanda è se esista un percorso virtuoso possibile che avvicini le diverse velocità della città…
«Dobbiamo impegnarci per ridurre questo iato. Come dicevo, però, modernità e internazionalità non sono concetti in contrasto con la dimensione sociale, economica e culturale che alimenta la quotidianità dei nostri quartieri. Ognuno ha la sua velocità e le sue occasioni di crescita. Ma insieme, in maniera corale, ogni singola realtà concorre a definire l’immagine di Milano. Per questo è importante agire di concerto, valorizzando e indirizzando risorse e interventi in differenti aree della città, così da promuoverne lo sviluppo».

Milano ha attratto talenti e investimenti internazionali come mai prima. Ma altre città europee corrono veloci. Su quali asset strategici dovrebbe puntare Milano nel prossimo decennio per non perdere il vantaggio competitivo acquisito? Diamo delle priorità ai progetti.
«La nostra città è un indiscusso polo di attrazione, di persone e di capitali. È la città che nel periodo post-industriale si è maggiormente rigenerata. Gli investimenti arrivati hanno prodotto sicuramente sviluppo e ricchezza e contribuito all’immagine di una città dinamica. Ci sono tanti ambiti su cui Milano può confermare o migliorare il proprio posizionamento, per i prossimi anni. Penso all’impegno nella transizione ecologica e ambientale, alla trasformazione digitale, allo sport e alla tutela dei diritti. Penso, soprattutto, alla creazione di una nuova fase di sviluppo che io chiamo “l’economia della conoscenza”».

La transizione ecologica e digitale sono le grandi sfide del futuro. Milano può aspirare a diventare la capitale europea della sostenibilità urbana? Quali progetti potrebbero avere l’impatto trasformativo che ebbe Expo?
«Milano considera la transizione ecologica e la trasformazione digitale come strumenti al servizio dei cittadini. Grazie alla presenza sul proprio territorio di importanti aziende di tecnologia, centri di ricerca e università, con cui collabora, Milano ha creato l’ecosistema ideale in cui sviluppare nuovi modelli e soluzioni efficienti, indispensabili per migliorare e facilitare la vita dei cittadini, dalla mobilità alla sicurezza, ai rapporti con la Pubblica amministrazione».

Tra 10 anni, nel 2035, come immagina Milano? E soprattutto: questa trasformazione può avvenire attraverso l’ordinaria amministrazione o serve un nuovo «pensiero lungo», una visione capace di mobilitare energie come accadde con Expo?
«In 10 anni possono verificarsi tante nuove situazioni, sia positive sia più critiche, da affrontare. E le città, lo sappiamo, sono il luogo principale in cui avvengono i cambiamenti e si manifestano i loro effetti, nel bene e nel male. In questi anni abbiamo attuato politiche importanti – sull’abitare, sulla mobilità, sull’ambiente, sul digitale: abbiamo indicato il percorso da seguire per dare risposte concrete ai bisogni reali delle persone. Per questo motivo, ritengo che anche nel 2035 Milano possa confermarsi voce autorevole a livello nazionale e internazionale su temi di stretta attualità. Certo, toccherà a chi mi sostituirà immaginare uno sviluppo di lungo termine e tradurlo in azioni concrete affinché diventi realtà».

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