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Sostenibilità e innovazione, da costo a opportunità: idee ed esperienze a confronto


Nonostante, a causa delle note vicende geopolitiche, la sostenibilità non sia più al primo posto tra le priorità dei policy makers, la spinta verso un’industria più sostenibile si è ormai radicata nella cultura delle aziende, diventando un processo con una forza propria, capace di generare innovazione continua a prescindere dai cicli politici del momento. Ma il percorso, ormai avviato, è tutt’altro che concluso.

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Iniziamo con un’osservazione: l’approccio alla sostenibilità nell’industria manifatturiera sta attraversando una profonda trasformazione. Per anni considerata una voce di spesa imposta da normative sempre più stringenti, oggi si rivela un potente motore di innovazione e un fattore determinante per la competitività. Da un atteggiamento reattivo si è passati a una strategia proattiva, dove la necessità di ridurre l’impatto ambientale costringe le imprese ad “aguzzare l’ingegno”, come emerge da un recente confronto tra manager ed esperti del settore avvenuto nel corso del SumMeet, evento organizzato da SPS Italia presso la sede dell’IIT a Genova. Il risultato è un ribaltamento di paradigma: essere sostenibili non significa solo essere più “verdi”, ma più efficienti, intelligenti e, in ultima analisi, più profittevoli.

La spinta del mercato: una “cascata al contrario” che parte dal consumatore

A innescare questo cambiamento non sono più soltanto le direttive dei legislatori. Una spinta formidabile arriva dal mercato stesso, in una dinamica che il tavolo di lavoro, a cui sedevano rappresentanti di imprese manifatturiere (per lo più membri del comitato scientifico della fiera) e technology provider, concorda nel definire una “cascata al contrario”. Il processo parte dal consumatore finale, sempre più informato e sensibile alle tematiche ambientali, che premia i brand che dimostrano un impegno concreto, costringendoli a loro volta a esigere standard più elevati lungo tutta la catena di fornitura. L’istanza di sostenibilità risale così la filiera, arrivando a chi progetta e costruisce i macchinari, che deve rispondere a requisiti di efficienza e circolarità per non perdere commesse.

Questa pressione non si limita al mondo B2C. Anche nei rapporti tra aziende la sostenibilità è diventata un criterio di selezione. Alcuni grandi aeroporti, come Fiumicino e Malpensa, e il colosso dell’e-commerce Amazon, impongono ai loro fornitori di automazione logistica di misurare puntualmente l’efficienza degli impianti e, soprattutto, di porsi il problema del loro fine vita. Non basta più fornire una macchina performante; occorre dimostrare di averne progettato il riciclo e il riutilizzo dei componenti, trasformando una richiesta etica in una inderogabile condizione di business.

La duplice strategia: innovare in fabbrica per innovare sul mercato

Le aziende più avanzate stanno rispondendo a questa spinta muovendosi su due binari. Da un lato applicano i principi di sostenibilità ai propri processi interni, rendendo più efficiente la propria “casa”. Dall’altro capitalizzano l’esperienza acquisita per sviluppare e offrire al mercato soluzioni e prodotti intrinsecamente più sostenibili.

L’innovazione interna

Gli esempi in questo campo sono concreti e misurabili. Siemens ha avviato da anni un programma per raggiungere l’obiettivo “Net Zero” entro il 2030, ottenendo nelle sue “Lighthouse Factories”, stabilimenti all’avanguardia, una riduzione dei consumi energetici fino al 42%. Questo risultato è stato raggiunto implementando al proprio interno le stesse tecnologie digitali che l’azienda propone ai suoi clienti.

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Anche l’elettrificazione delle flotte aziendali è una strada percorsa da diverse realtà, tra cui la stessa Siemens, Innomotics e Amazon. Altri, come Baker Hughes, si concentrano sul recupero energetico: un progetto interno mira a recuperare fino a 157 MWh all’anno bruciando in modo controllato i gas utilizzati nei banchi prova, un’energia che altrimenti andrebbe semplicemente sprecata.

L’innovazione per il cliente

Questa competenza maturata internamente diventa poi il fondamento per l’innovazione di prodotto.

Tenova, che opera in un settore particolarmente energivoro come quello siderurgico, investe in tecnologie d’avanguardia come la combustione a idrogeno per abbattere le emissioni di CO2.

Amazon, per rispettare il suo impegno di eliminare la plastica dagli imballaggi in Europa, ha sviluppato internamente una tecnologia che crea pacchetti di carta su misura per ogni singolo oggetto, minimizzando materiale e sprechi.

Innomotics, dal canto suo, promuove sul mercato motori elettrici ad altissima efficienza (classi IE5 e IE6), che consentono ai suoi clienti di ottenere importanti risparmi energetici e di ridurre il proprio impatto ambientale.

La cassetta degli attrezzi del Digitale per la Sostenibilità

La transizione green è abilitata da un insieme di tecnologie digitali che permettono di passare dalle promesse ai fatti grazie ai dati.

Uno dei concetti chiave emersi dalla discussione è quello della sostenibilità by design, ovvero l’integrazione dei requisiti ambientali fin dalle primissime fasi di progettazione. L’intelligenza artificiale, ad esempio, non serve solo a ottimizzare un processo esistente, ma a prevederne le necessità. Un caso emblematico raccontato al tavolo di lavoro riguarda un birrificio dove un sistema di IA prevede i picchi di domanda di vapore, consentendo di modulare l’attività delle caldaie ed evitando di tenerle costantemente al massimo regime.

C’è poi la simulazione guidata da AI e Digital Twin, che sta aprendo frontiere inedite nell’ingegneria di processo. Tenova sta esplorando come riprogettare componenti massicci, come il tino di un forno, non più solo in base alle caratteristiche meccaniche, ma considerando l’intero ciclo di vita atteso. Questo approccio può aprire ampi spazi all’ottimizzazione, permettendo di ridurre drasticamente il materiale impiegato e, di conseguenza, il peso e l’energia necessari per la struttura.

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Tecnologie come la manifattura additiva abilitano poi la possibilità di operare interventi di riparazione mirati: la ricostruzione di una paletta di turbina usurata, ad esempio, evita la costosa sostituzione dell’intero componente e ne estende la vita operativa, massimizzando il valore dell’asset.

Ma la vera sfida si gioca sul fine vita, con la progettazione per il “demanufacturing”. Questo approccio si scontra con la crescente complessità di molti prodotti, assemblati con materiali diversi e processi che non ne prevedono lo smontaggio. Un esempio è il settore calzaturiero, dove un singolo bene può contenere pelli, tessuti, polimeri e adesivi, rendendo la separazione dei componenti un’operazione ardua. Superare questa barriera richiede un cambio culturale e metodologico, che si ricollega direttamente al concetto di sostenibilità by design. Per trasformare un rifiuto in una risorsa, è necessario che il prodotto sia pensato fin dall’origine per essere disassemblato. La scelta dei materiali, le tecniche di giunzione e l’architettura stessa del bene devono essere orientate a facilitarne il recupero a fine vita, chiudendo così il cerchio dell’economia circolare.

Le sfide aperte, dalla convenienza economica alla “sustainable AI”

Affinché questo modello si affermi su larga scala, la sostenibilità deve essere, a sua volta, economicamente sostenibile. Deve diventare “conveniente”, un’opportunità di business e non un lusso per pochi. Le aziende che riescono a rendere i loro processi più efficienti e a ridurre gli sprechi non solo aiutano l’ambiente, ma migliorano anche i propri margini.

Tuttavia si profila all’orizzonte una nuova, complessa sfida. Le stesse tecnologie che usiamo per ottimizzare i consumi sono tavolota estremamente energivore, come nel caso dell’AI. Per questo occorre sviluppare una buona consapevolezza del costo energetico dell’intelligenza artificiale, per traguardare l’obiettivo di una “Sustainable AI”, modelli di machine learning che siano essi stessi sostenibili.



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