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Ex IPAB: quale destino per il patrimonio dei poveri?


Il patrimonio delle ex IPAB rappresenta una risorsa fondamentale per l’assistenza sociale in Italia, con un valore stimato di 120 miliardi di euro.

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Questi beni, originariamente destinati ai “poveri” attraverso le Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza, hanno subito numerose trasformazioni giuridiche che ne hanno modificato la gestione ma non la finalità sociale. Una digitalizzazione completa di questo patrimonio permetterebbe di censirlo e valorizzarlo adeguatamente.

Transizione dallo Stato caritatevole alle politiche sociali pubbliche

L’umanità nel suo secolare divenire ha visto modificare atteggiamenti, culture e legislazioni, tutte tese al miglioramento della salvaguardia dei diritti inalienabili della persona. Dalla pietas e dalla caritas si è passati al diritto alla vita, alla salute, all’istruzione e a quello di cittadinanza.

La strada da percorrere per l’attuazione completa della loro tutela è ancora lunga e se da un lato non sarà possibile eliminare totalmente le diseguaglianze, certamente sarà possibile ridurle. In questo la “politica” occupa un ruolo di primo piano.

Ad essa spetta non solo legiferare ma soprattutto realizzare quanto mirabilmente è stato scritto e sancito dalla Costituzione.

Nel corso del tempo dall’azione caritativa generata dal “buon cuore” delle persone, tuttavia non uniforme nella distribuzione territoriale e disomogenea circa la qualità e l’esaustività della risposte ai bisogni, si è passati alla carità legale, allo Stato che riconosce i diritti dei poveri e degli emarginati e che tenta di rendere omogenea la risposta alle loro esigenze su tutto l’ambito nazionale.

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Nella realizzazione di questo ambizioso progetto lo Stato ha più volte modificato la propria posizione, prima trasformando iniziative private in pubbliche istituzioni, successivamente, con l’avvento della Repubblica il ritorno della “libera iniziativa” è stato gradualmente riconosciuto e oggi molte IPAB sono state depubblicizzate (nel pubblico sono rimaste quelle che erogano assistenza e lo fanno di concerto con le ONLUS e le organizzazioni di volontariato). Queste IPAB sono o dovrebbero essere presenti nei sia Piani di Zona che nei Piani di programmazione delle ASL previsti nel Sistema Integrato di Interventi e di Servizi Sociali enunciato nei principi generali della Legge 328/ 2000.

Il decreto legislativo 207/2001 e la trasformazione delle IPAB

Dal 2001 (D. l.vo 207) le IPAB che, rimanendo pubbliche, si sono/debbono trasformarsi in Aziende di Servizi alla Persona.

Scopi originari e attuali delle IPAB: soggetti destinatari e servizi

Gli istituti pubblici di assistenza e beneficenza (abbr. IPAB) sono organismi di diritto pubblico istituiti con legge n.6790/1890 (detta anche legge Crispi) che hanno subìto numerosi interventi di riforma, non da ultimo con il D. Lgs. 4 maggio 2001, n. 207.

Come risulta dalla legge 753/1862, approvata subito dopo l’Unità d’Italia, le IPAB sono strutture pubbliche aventi lo scopo di «soccorrere le classi meno agiate, tanto in istato di sanità che di malattia, di prestare loro assistenza, educarle, istruirle ed avviarle a qualche professione, arte o mestiere». Detto scopo è confermato dalla legge 6972/1890.

Le IPAB espletano attività nell’ambito dell’assistenza e della beneficenza pubblica, vigilati dalle Regioni. Tali Enti gestiscono Scuole per l’Infanzia e strutture a ciclo residenziale o semiresidenziale a favore di diverse categorie di soggetti residenti nel territorio regionale ed erogano servizi in ambio socioassistenziale e sociosanitario. Esse sono coinvolte nella programmazione regionale e può essere destinataria di appositi contributi al fine di garantire i servizi erogati. 

I soggetti destinatari delle attività e dei servizi erogati dalle IPAB oggi (successivamente ASP o persone giuridiche private) sono:

  • anziani;
  • minori,
  • persone svantaggiate sia a livello economico che sociale;
  • famiglie,
  • persone disabili;
  • donne vittime di violenza. 

Le IPAB come enti pubblici: riconoscimento giuridico e ruolo storico

“IPAB” significa “Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza”, già nel 1887 il Ministro dell’Interno Nicotera rilevava che «Le istituzioni di beneficenza provvedono a necessità pubbliche, disimpegnano a pubblici servizi (…). D’altra parte, la legge – col riconoscere nelle istituzioni di beneficenza la personalità civile – ne assicura l’esistenza (…)».

Il governo Giolitti (legge 18/07/1904 n. 390) si rese conto che era necessario un coordinamento tra l’ente pubblico, al quale era affidata l’erogazione delle assicurazioni, e l’ente privato (Ipab) che ne diffondeva le finalità e ne raccoglieva le pratiche. Un altro importante provvedimento fu la legge 1904 n. 36, che demandava l’assistenza dei malati mentali alle province.

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Privatizzazione e perdita del patrimonio: le criticità costituzionali

Per mettere ordine nel settore della beneficenza pubblica, un’apposita Commissione reale, istituita con regio decreto 3 giugno 1880, lavora per ben nove anni, individuando 21.819 IPAB ed i relativi patrimoni. Dalle 21.819 IPAB individuate dalla Commissione reale nel 1888, il loro numero si riduce a circa 9.000 come sostiene il Ministero dell’Interno nel 1970. Il loro numero diminuisce ancora e, secondo il rapporto trasmesso il 30 agosto 1999 al Parlamento dal Ministro per la solidarietà sociale, sono solo più 4.200 circa.

A seguito di un accordo fra tutti i principali partiti, il decreto del Presidente della Repubblica 616/1977 esclude dal trasferimento ai Comuni le IPAB che «svolgono in modo precipuo attività inerenti alla sfera educativo-religiosa». Ne consegue che migliaia di IPAB sono diventate enti privati, ai quali sono stati assegnati, a titolo assolutamente gratuito, i relativi patrimoni immobiliari e mobiliari.

Con la sentenza n. 173 del 1981 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 25 del decreto del Presidente della Repubblica 616/1977. Detto articolo 25 disponeva che tutte le funzioni amministrative relative all’organizzazione ed erogazione dei servizi di assistenza fossero attribuite ai Comuni singoli e associati. Di conseguenza sono state annullate le disposizioni che prevedevano il trasferimento ai Comuni delle IPAB infraregionali e dei relativi beni. Pertanto, anche per il fatto che il legislatore non è intervenuto per modificare la normativa in modo da rendere attuabile detto trasferimento, il Parlamento e il Governo hanno creato le condizioni per la loro privatizzazione e cioè la consegna ai privati dei beni mobili e immobili a titolo gratuito non solo di IPAB che operavano nell’ambito della «sfera educativo-religiosa» (v. sopra), ma anche di quelle con sfera d’azione infraregionale.

Con ulteriore sentenza della Corte costituzionale n. 396 del 1988, che si fonda su due presupposti poco attendibili (la legge 6972 del 1980 avrebbe imposto «un sistema di pubblicizzazione generalizzato» e avrebbe determinato «l’esclusione dalla possibilità che, nell’area dell’assistenza e beneficenza, esistano fondazioni ed associazioni dotate di personalità giuridica privata»), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 1 della sopra citata legge 6972/1980 «nella parte in cui non prevede che le IPAB regionali e infraregionali possano continuare a sussistere assumendo la personalità giuridica di diritto privato, qualora abbiano tuttora i requisiti di una istituzione privata». Con questa sentenza sono state spalancate le porte alla privatizzazione di moltissime IPAB, iniziativa che, a nostro avviso, è avvenuta spesso in netto contrasto, come vedremo in seguito, con le vitali esigenze della fascia più debole della popolazione.

Già in occasione del dibattito tenutosi a Torino nel 1989 Mons. Giovanni Nervo, già Coordinatore della Conferenza episcopale italiana per i rapporti Chiesa-territorio e Presidente della Fondazione Zancan, ha dichiarato quanto segue: «Il primo principio etico, equivale per i credenti ad un Comandamento di Dio: non rubare. I patrimoni delle IPAB sono stati donati da privati cittadini per i poveri. Prima che fossero donati erano di proprietà dei privati, dopo che sono stati donati sono diventati proprietà dei poveri».

Mons. Nervo ha quindi posto alcune domande, ancora attuali: «Il primo quesito riguarda le IPAB che hanno cessato la loro attività e perciò sono state sciolte dalle Regioni. I loro patrimoni dove sono finiti? è quanto mai opportuna una indagine allo scopo di accertare se e come le IPAB privatizzate rispettano la volontà di coloro che hanno devoluto i loro patrimoni a favore dei soggetti deboli».

I servizi erogati dalle IPAB: assistenza, istruzione, residenzialità

Dai dati dell’Istat relativi al 1976, le IPAB gestiscono istituti di ricovero per bambini, fanciulli, soggetti con handicap e anziani. Su 4.842 strutture residenziali ben 1.710 sono gestite da IPAB (35%); i ricoverati sono rispettivamente 280.425 e 114.782 (41%). Le altre attività concernono soprattutto le scuole materne e le mense per i poveri.

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Un patrimonio disperso: stime, destinazioni e mancato controllo

Non solo non si hanno dati attendibili sul numero delle IPAB funzionanti e di quelle “sparite nel nulla”, ma anche in merito alla loro consistenza patrimoniale. Nella seduta della Camera dei Deputati del 17 febbraio 1982, l’On. Marisa Galli stima il valore del patrimonio complessivo delle IPAB, in quel tempo funzionanti, in 30-45mila miliardi delle ex lire.

Elsa Signorino, relatrice delle proposte confluite nella legge 328/2000, nella seduta della Commissione Affari sociali della Camera dei Deputati, tenutasi il 20 giugno 1999, rileva che le 4.200 IPAB allora esistenti detenevano un patrimonio di circa 50mila miliardi delle ex lire e che «l’offerta dei posti residenziali per anziani ammonta ad un terzo di quella complessiva del Paese: gli anziani assistiti erano, infatti, 67mila, mentre gli addetti, di varia professionalità, erano circa 60mila. Il 44% delle entrate derivavano dalla corresponsione delle tariffe per i servizi erogati, quindi, di natura pubblica». Maria Grazia Breda, Donata Micucci e Francesco Santanera, nel 2001, sostengono che la suddetta legge «sottrae all’esclusiva destinazione a favore dei poveri ben 107-140mila miliardi delle ex lire». Infatti, «le proprietà delle 4.200 IPAB ancora funzionanti sono state valutate in 37-50mila miliardi; mentre 40-50mila miliardi è la stima dei beni delle IPAB estinte, trasferite ai Comuni e ad altre istituzioni pubbliche. Infine, ammontano a 30-40mila miliardi i patrimoni (alloggi, negozi, terreni, ecc.) assegnati a titolo gratuito ad associazioni private a seguito della sconcertante sentenza della Corte costituzionale n. 386 del 1988».

Con un articolo su Affaritaliani del 30 maggio 2024 viene evidenziata una notevole la differenza di valutazione delle ex Ipab romane: 200 milioni secondo il fondo immobiliare ed 1 miliardo dal mercato.

Crisi e gestione delle IPAB estinte: effetti su Comuni e finanze locali

Ora, dopo il decreto legislativo 201 del 2022, tutto è pronto per una riforma, eppure, a distanza di lustri dall’emanazione della legge statale regolativa, la vicenda della trasformazione o soppressione delle IPAB non si è conclusa e conosce nuovi sviluppi.

Spesso le IPAB, anche per la costante riduzione del contributo finanziario regionale ed il mancato inserimento nel sistema socioassistenziale, si sono trovate in una grave crisi finanziaria, che ne ha portato non poche all’estinzione. Alcune Regioni hanno ipotizzato l’accollo automatico, da parte dei Comuni del territorio, delle IPAB e del loro personale. Tale obbligo ricade sui Comuni in quanto ad essi spetta la prerogativa di organizzare e gestire i servizi socioassistenziali. Tuttavia, la devoluzione del patrimonio a titolo universale, comprensivo di attivi e passivi di bilancio, portava ad un vulnus per le finanze comunali, dato che la maggior parte delle IPAB versava in stato di dissesto finanziario; in più anche la devoluzione automatica di tutto il personale delle IPAB estinte incideva negativamente, oltre che per ciò che concerne l’autonomia finanziaria dei Comuni, anche sull’assetto organizzativo di essi, con una violazione dell’art. 97 Cost. per ciò che riguarda il principio del buon andamento.

La giurisprudenza costituzionale pregressa indica che «il subentro di un ente nella gestione di un altro ente soppresso (o sostituito) deve avvenire in modo tale che l’ente subentrante sia salvaguardato nella sua posizione finanziaria, necessitando al riguardo una disciplina che regoli gli aspetti finanziari dei relativi rapporti attivi e passivi e, dunque, anche il finanziamento della spesa necessaria per l’estinzione delle passività pregresse» (tra le altre, sentenza n. 364 del 2010). In tal senso si esprime la sentenza 8/2016, richiamata dalla decisione in commento.

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Con la sentenza 135/2020 la Corte costituzionale, conformemente a questo indirizzo, dichiara l’illegittimità costituzionale delle delibere regionali che dispongono l’accollo di debiti e personale delle IPAB in capo ai Comuni del territorio, in via automatica e totalitaria, senza altra regolamentazione. Non si prevedono norme sui pregressi rapporti di debito e credito né criteri per l’assorbimento del personale dell’ente estinto.

Ex IPAB come enti pubblici economici: autonomia e vincoli gestionali

Le aziende pubbliche di servizi alla persona, nate dalla trasformazione delle Ipab, secondo quanto previsto dalla legge 328/2000 e dal Dlgs 207/2001, sono qualificabili come enti pubblici economici, alla stregua delle aziende speciali e, come tali, non sono assoggettate ai vincoli assunzionali e di spesa degli enti locali.

Questi enti non sono soggetti ai limiti e vincoli normativi alla spesa di personale, dovendo semplicemente attenersi a un principio di riduzione dei costi, attraverso il contenimento degli oneri contrattuali e delle assunzioni, la cui concreta declinazione è rimessa all’attività di indirizzo dell’ente controllante e, nel caso di istituzioni che gestiscono servizi socio-assistenziali ed educativi, scolastici e per l’infanzia, culturali e alla persona, nonché le farmacie, all’obbligo di mantenere un livello dei costi del personale coerente rispetto alla quantità dei servizi erogati.

Un riordino incompleto: applicazioni regionali disomogenee

Sulla scia del riordino operato dalle leggi precedenti e coerentemente a quanto previsto dall’art. 10 della Legge 328/2000, le IPAB vengono ricondotte a due diverse tipologie: quelle che mantengono la personalità giuridica di diritto pubblico (aziende pubbliche di servizio alla persona) e quelle che accedono alla cosiddetta “depubblicizzazione” e diventano fondazioni, associazioni di diritto privato. Queste ultime sono considerate «persone giuridiche di diritto privato senza fine di lucro, dotate di piena autonomia statutaria e gestionale e perseguono scopi di utilità sociale, utilizzando tutte le modalità consentite dalla loro natura giuridica» (art. 16 comma 3). Il controllo e la vigilanza sono esercitati dalla Regione (art. 16 comma 4), ai sensi degli articoli 26 e 27 del Codice Civile.

Le IPAB che mantengono la personalità giuridica di diritto pubblico (art. 5 comma 1) sono quelle che svolgono direttamente attività di erogazione di servizi assistenziali, sono tenute a trasformarsi in aziende pubbliche di servizi alla persona e ad adeguare i propri statuti alle previ- sioni del presente capo entro due anni dall’entrata in vigore del presente decreto legislativo. Esse non hanno fini di lucro, hanno personalità giuridica, sono dotate di autonomia statutaria, patrimoniale, contabile, gestionale e tecnica, operano con criteri imprenditoriali e uniformano la propria attività di gestione con criteri di efficienza, efficacia, ed economicità nel rispetto del pareggio di bilancio da perseguire attraverso l’equilibrio dei costi e dei ricavi, in questi compresi i trasferimenti. In esse opera la separazione delle funzioni di indirizzo e di programmazione da quelle di gestione.

Possono estendere la loro attività anche in ambiti diversi da quello regionale o infra–regionale di appartenenza, godono dei benefici fiscali previsti per la organizzazione non lucrative di utilità sociale (ONLUS) in materia di erogazione liberali (ex art. 13 D. Lgs. no 460/97). Esse sono sottoposte alla vigilanza da parte delle Regioni mediante approvazione delle modifiche statutarie e del regolamento di organizzazione dell’azienda, disciplinando le procedure per la fusione, soppressione e la messa in liquidazione dell’azienda.

L’art. 5 comma 1 dispone l’obbligo di trasformazione in ASP per quelle IPAB che svolgono direttamente attività di erogazione di servizi assistenziali, mentre esclude da tale obbligo quelle istituzioni nei confronti delle quali siano accertate le caratteristiche di cui al Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 16 Febbraio 1990 (istituzione a carattere associativo, istituzioni promosse e amministrate da privati, istituzioni di ispirazione religiosa). Nel comma 2 esclude la trasformazione:

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  1. nel caso in cui le dimensioni non giustifichino il mantenimento della personalità giuridica;
  2. nel caso in cui l’entità del patrimonio siano insufficienti per la realizzazione delle finalità e dei servizi previsti dallo statuto;
  3. nel caso di verificata inattività sociale da almeno due anni, nel caso risultino esaurite o non siano più conseguibili le finalità previste nelle tavole di fondazioni.

Nei casi previsti dal comma 2, lettere b) e c), è ammessa la trasformazione in ASP se l’istituzione presenta alla Regione un piano di risanamento, anche mediante fusione con altre istituzioni, tale da consentire la ripresa nel campo sociale e il mantenimento della personalità giuridica di diritto pubblico nel termine di due anni dall’entrata in vigore del Decreto legislativo (art. 5 comma 4).

L’art. 15 prevede la trasformazione in ASP anche per quelle IPAB che svolgono indirettamente attività socio–assistenziali mediante l’erogazione ad enti ed organismi pubblici e privati operanti nel settore delle rendite derivanti dall’attività di amministrazione del proprio patrimonio e delle liberalità ricevute a tal fine, ed hanno natura originariamente pubblica, qualora l’erogazione diretta di servizi e qualora le loro dimensioni consentano il mantenimento della personalità giuridica di diritto pubblico.

Il decreto, trattandosi di materia concorrente tra Stato e regioni, doveva essere recepito a livello regionale attraverso l’emanazione di una specifica legge di riordino. Successivamente, a seguito della riforma del Titolo V della Costituzione (legge costituzionale no 3 del 2001), e con la nuova formulazione degli artt. 117 e 118, la materia diventa di competenza esclusiva della potestà legislativa regionale.

Le singole regioni hanno quindi valutato in modo diverso le disposizioni del citato D. Lgs. no 207, nel senso che mentre alcune si sono attenute scrupolosamente al suo dettato, altre hanno considerato tali disposizioni come meri orientamenti.

Pertanto, a seguito della suddetta riforma si è avuta una applicazione piuttosto disomogenea. Alcune regioni hanno optato per un regime pubblico delle istituzioni, altre hanno optato per la libera scelta tra natura pubblica o privata ed infine altre, invece, hanno optato per una via intermedia.

La Regione Siciliana, ad oggi, non ha ancora emanato nessun atto di riforma delle IPAB.

Casi di sprechi e cattiva gestione: un patrimonio a rischio

Numerosi sono i casi finiti di fronte ai giudici, vuoi per le perdite accumulate da ex Ipab, vuoi per affitti a prezzi non di mercato per immobili ad uso abitativo o commerciale, vuoi per depauperamento del patrimonio (vendite sottostimate, mancate manutenzioni, etc.).

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Verso una riforma possibile: digitalizzazione e razionalizzazione

Le ex Ipab, oggi quasi tutte trasformate in ASP, offrono una quantità di servizi alla persona (fragile?) che è difficile quantificare e qualificare.

Il patrimonio delle ex Ipab è immenso (107-120 mld ultima rilevazione del Senato della Repubblica del 2014) e potrebbe essere sia valorizzato che razionalizzato sui servizi considerati essenziali.

La prima azione da realizzare è quella di un grande progetto di digitalizzazione per le ex IPAB per censire a livello nazionale sia gli immobili che i servizi con la categorizzare per tipologia di servizio.

Il patrimonio immobiliare con finalità abitative potrebbe successivamente confluire negli ex IACP, mantenendo così la sua funzione di aiuto ai “poveri”.

Il patrimonio immobiliare con finalità sanitarie o sociosanitarie, ed i relativi servizi, potrebbe successivamente confluire nelle ASL.

I patrimoni residui, attività sportive, case-famiglia, etc.., potrebbero rimanere come sono nell’ambito delle ONLUS o ETS.



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