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Accertamento con adesione: l’alternatività delle ipotesi di ulteriore esercizio dell’azione accertatrice


Nel corso di questi anni continua a tenere banco la questione oggi decisa con l’ordinanza della Corte di Cassazione n. 788/2025, in ordine ai rapporti tra accertamento parziale e intervenuta adesione. Per gli Ermellini, la presenza di un accertamento parziale definito con adesione, non inibisce l’esercizio dell’ulteriore potestà accertativa, entro i termini previsti dall’articolo 43, D.P.R. 600/1973 e dall’articolo 57, D.P.R. 633/1972. E la Corte, inoltre, con chiarezza, precisa che le ipotesi, contemplate dal comma 4 dell’articolo 2, D.Lgs. 218/1997, in cui l’intervenuta definizione non esclude l’esercizio dell’ulteriore azione accertatrice, sono da considerare fra loro alternative.

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La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 788/2025, ha confermato che, in presenza di un accertamento parziale definito con adesione, l’Amministrazione finanziaria può legittimamente rinnovare l’esercizio della potestà accertativa, purché anteriormente al decorso dei termini all’uopo stabiliti dall’articolo 43, D.P.R. 600/1973, in tema di imposte dirette e dall’articolo 57, D.P.R. 633/1972, in materia di Iva, anche in difetto di sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi. E in tema di accertamento con adesione, le ipotesi, contemplate dal comma 4, dell’articolo 2, D.Lgs. 218/1997, in cui l’intervenuta definizione non esclude l’esercizio dell’ulteriore azione accertatrice, sono da considerare fra loro alternative.

Verifichiamo, quindi, il percorso giuridico seguito dai massimi giudici, per giungere a tali decisioni.

L’ordinanza della Cassazione n. 788/2025

Il fatto oggetto dell’ordinanza della Corte di Cassazione n. 788/2025 trae origine da un avviso di accertamento parziale, con il quale l’ufficio disconosceva la deducibilità degli interessi passivi indicati dalla contribuente nella dichiarazione dei redditi presentata ai fini delle imposte dirette e dell’Iva per l’anno 2010, riprendendo a tassazione il corrispondente importo di 144.315,90 euro.

In precedenza, con riferimento al medesimo anno d’imposta, lo stesso ufficio aveva notificato alla società altro atto avviso di accertamento, definito con adesione, e relativo al recupero di interessi attivi c.d. “di dilazione”, erroneamente riportati nella dichiarazione dei redditi fra le variazioni fiscali in diminuzione.

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La contribuente impugnava l’avviso di accertamento dinanzi alla allora CTP che, in parziale accoglimento del suo ricorso, rideterminava in 47.212,31 euro l’ammontare degli interessi passivi indeducibili.

Decisione successivamente riformata in appello, che in accoglimento della richiesta della parte privata, annullava l’atto impositivo in questione. A fondamento della pronuncia resa il collegio regionale osservava che, avendo l’Amministrazione finanziaria emesso un precedente avviso di accertamento definito con adesione, l’esercizio dell’ulteriore azione accertatrice sarebbe stato possibile, ai sensi dell’articolo 2, comma 4, lettera a), D.Lgs. 218/1997, nel solo caso di sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi, situazione non ricorrente nel caso di specie, atteso che già in occasione del precedente accertamento l’ufficio era in condizione di contestare l’indeducibilità degli interessi passivi indicati dalla contribuente.

Da qui il ricorso erariale in Cassazione, denunciando la violazione e la falsa applicazione degli articoli 2, comma 4, e 15, D.Lgs. 218/1997, nonché degli articoli 41-bis e 43, D.P.R. 600/1973. Si sostiene che avrebbe errato la CTR nell’affermare che, a fronte di un precedente atto impositivo oggetto di accertamento con adesione, l’esperimento dell’ulteriore azione accertatrice sarebbe stato possibile soltanto in caso di “sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi”. I giudici regionali avrebbero, infatti, trascurato che l’accertamento contenuto nel primo avviso era solo parziale, onde la sua definizione con adesione non impediva il rinnovato esercizio della potestà accertativa da parte dell’Amministrazione finanziaria, alla luce del disposto dell’articolo 2, comma 4, lettera b), D.Lgs. 218/1997.

Per gli Ermellini, il motivo addotto è fondato. I giudici di vertice ricordano, infatti, che nel caso di specie il primo accertamento aveva natura parziale e a tenore dell’articolo 2, comma 4, lettera b), D.Lgs. 218/1997, la definizione con adesione non esclude l’esercizio dell’ulteriore azione accertatrice, nell’osservanza dei termini di legge, “se la definizione riguarda accertamenti parziali“.

Precisano i massimi giudici che trattasi di ipotesi chiaramente alternativa a quella contemplata dalla precedente lettera a), dell’articolo 2, comma 4, D.Lgs. 218/1997, alla quale hanno fatto esclusivo riferimento i giudici di II grado[1].

Pertanto, deve ritenersi che: “in presenza di un accertamento parziale definito con adesione, l’Amministrazione finanziaria possa legittimamente rinnovare l’esercizio della potestà accertativa, purché anteriormente al decorso dei termini all’uopo stabiliti dagli articoli 43 del D.P.R. 600 del 1973 in tema di imposte dirette e dall’articolo 57 del D.P.R. 633 del 1972 in materia di Iva, anche in difetto di sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi”.

Del resto, diversamente opinando, non avrebbe alcun senso la distinta previsione delle ipotesi di cui alle lettere a) e b), dell’articolo 2, comma 4, D.Lgs. 218/1997, qualora entrambe fossero assoggettate al medesimo presupposto applicativo.

I giudici di piazza Cavour, inoltre, rammentano che l’accertamento parziale “costituisce uno strumento diretto a perseguire finalità di sollecita emersione della materia imponibile e non rappresenta un metodo di accertamento autonomo rispetto alle previsioni di cui agli articoli 38 e 39 del D.P.R. 600 del 1973 e agli articoli 54 e 55 del D.P.R. 633 del 1972, bensì una modalità procedurale che ne segue le stesse regole”.

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Invero, la differenza qualitativa di tale tipo di accertamento in confronto a quello ordinario non discende dalla particolare semplicità della segnalazione, potendo basarsi anche su una verifica generale[2].

Fatte queste puntualizzazioni, si osserva che la CTR, pur avendo appurato che nei confronti della Srl era stato effettuato un primo accertamento parziale definito con adesione, non ha tenuto conto di detta circostanza nel momento in cui ha affermato che l’esercizio dell’ulteriore azione accertatrice sarebbe stato possibile soltanto in caso di sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi.

Dalle esposte considerazioni si ricava che il collegio regionale è effettivamente incorso nel denunciato “error in iudicando“, avendo, “per un verso, trascurato la disposizione di cui alla lettera b), dell’articolo 2, comma 4, del D.Lgs. 218/1997, per altro verso, sussunto la fattispecie concreta, come ricostruita in sentenza alla stregua delle allegazioni delle parti, in una previsione (quella recata dalla precedente lettera a) che non le si addice”.

Per completezza espositiva, viene chiarito che “non si attaglia alle peculiarità della vicenda esaminata l’orientamento nomofilattico secondo cui, dopo l’emissione di un avviso di accertamento parziale ex articolo 41-bis del D.P.R. 600 del 1973 o 54, comma 5, del D.P.R. 633 del 1972, è possibile procedere ad un ulteriore accertamento per il medesimo periodo di imposta, purché entro i termini di decadenza previsti dalla legge, soltanto ove questo sia fondato su fonti diverse o comunque su dati la cui conoscenza da parte dell’ente impositore sia sopravvenuta. Il suaccennato indirizzo giurisprudenziale è stato, infatti, enunciato con riferimento a ipotesi in cui un primo accertamento parziale, non oggetto di definizione agevolata, era stato seguìto da un accertamento integrativo riguardante lo stesso periodo di imposta di quello precedente. Si era, dunque, in presenza di casi nei quali non veniva in rilievo la disposizione contenuta nell’articolo 2, comma 4, lettera b), del D.Lgs. 218 del 1997”.

D’altronde, proprio l’esistenza di una specifica previsione normativa sul punto vale ad avvertire il destinatario di un avviso di accertamento parziale che l’eventuale definizione con adesione non impedisce l’esercizio dell’ulteriore azione accertatrice, nell’osservanza dei termini all’uopo stabiliti dalla legge, indipendentemente dalla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi da parte dell’ufficio.

Viene, quindi, conclusivamente, affermato il seguente principio di diritto: “In tema di accertamento con adesione, le ipotesi, contemplate dal comma 4 dell’articolo 2 del D.Lgs. 218 del 1997, in cui l’intervenuta definizione non esclude l’esercizio dell’ulteriore azione accertatrice entro i termini previsti dall’articolo 43 del D.P.R. 600 del 1973 e dall’articolo 57 del D.P.R. 633 del 1972, sono da considerare fra loro alternative. Conseguentemente, nel caso in cui un avviso di accertamento parziale ex articolo 41-bis del D.P.R. 600 del 1973 o ex articolo 54, comma 5, del D.P.R. 633 del 1972 sia stato definito con adesione, l’esercizio dell’ulteriore azione accertatrice nell’osservanza dei termini predetti deve ritenersi consentito, ai sensi della lettera b) del comma 4 innanzi citato, indipendentemente dalla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi da parte dell’Ufficio, come invece richiesto nella diversa ipotesi prevista dalla precedente lettera a)“.

 

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L’esercizio dell’ulteriore attività accertatrice: regole e limiti

L’accertamento con adesione del contribuente, di cui al D.Lgs. 218/1997, è lo strumento che permette di giungere a una definizione concordata della pretesa fiscale[3].

Le diverse regole per l’avvio del procedimento di adesione sono sostanzialmente contenute nei novellati articoli 5[4] e 6[5], D.Lgs. 218/1997, ai fini reddituali e Iva, dove comunque il contraddittorio costituisce il punto nevralgico attorno al quale ruota l’intero procedimento, durante il quale viene posta in discussione la sostenibilità della pretesa fiscale, analizzati gli eventuali elementi che possano condurre alla sua riduzione o modificazione, ponderata la convenienza a definire eventualmente l’accertamento in rapporto alla prosecuzione della controversia in sede contenziosa.

L’utilizzo del termine definizione – nell’ambito del titolo dell’articolo 1, D.Lgs. 218/1997 – evidenzia l’intangibilità del nuovo imponibile determinato in contraddittorio fra le parti e l’esito dell’accordo (rectius, atto di adesione) non potrà essere modificato e/o integrato dall’ufficio, né impugnato dal contribuente, ferma restando la riserva dell’Amministrazione finanziaria di poter svolgere una ulteriore azione accertatrice in presenza di particolari circostanze, in forza di quanto statuito nell’articolo 2, comma 4, D.Lgs. 218/1997. Infatti, detta ultima norma contiene delle disposizioni volte a contemperare, da un lato, la legittima esigenza dei contribuenti di avere certezze in ordine alla possibilità di chiudere definitivamente la propria posizione fiscale per un determinato periodo d’imposta e, dall’altro, l’interesse pubblico a recuperare a tassazione rilevanti evasioni d’imposta, non emerse al momento della redazione dell’atto di adesione[6].

Il Legislatore delegato – articolo 2, comma 4, D.Lgs. 218/1997 – ha quindi riservato all’Amministrazione finanziaria la possibilità di effettuare ulteriori accertamenti, anche dopo l’intervenuta definizione dell’annualità, nel caso in cui ricorrano una serie di condizioni.

Le condizioni
Se sopravviene la conoscenza di nuovi elementi che consentano di accertare un maggior reddito imponibile superiore al 50 % di quello definito e comunque non inferiore a 77.468,53 euro.
Se la definizione ha riguardato un accertamento parziale.
Se la definizione ha riguardato i redditi derivanti da partecipazione nelle società o nelle associazioni indicate nell’articolo 5, Tuir, ovvero in aziende coniugali non gestite in forma societaria.
Se l’azione accertatrice è esercitata nei confronti delle società o associazioni o dell’azienda coniugale non gestita in forma societaria, alle quali partecipa il contribuente nei cui riguardi è intervenuta la definizione.

Analizziamo, in dettaglio le diverse condizioni previste.

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La sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi

Per l’applicazione di detta condizione devono sussistere congiuntamente entrambi i presupposti: la sopravvenuta conoscenza degli elementi utili all’accertamento e gli esiti dell’attività accertatrice devono essere superiori alle soglie stabilite dalla norma. In ordine al secondo presupposto, le istruzioni ministeriali contenute nella circolare n. 235/1997 chiariscono che “… il limite del 50% va commisurato al “reddito definito” e non al “maggior reddito definito”, con la conseguenza che, una volta effettuata la prima rettifica, anche l’ammontare dichiarato concorre a determinare la soglia oltre la quale è possibile effettuare accertamenti integrativi”.

La stessa circolare n. 235/1997, nel ricordare che gli elementi devono essere nuovi perché venuti a conoscenza dell’ufficio solo successivamente all’emanazione del precedente atto impositivo, richiama, espressamente, le precedenti istruzioni di servizio n. 7/1496 del 30 aprile 1997, a proposito della necessità di specificare nell’ulteriore atto di accertamento gli elementi sopravvenuti e il modo in cui l’ufficio né è venuto a conoscenza, curando di porre in rilievo non soltanto che trattasi di fatti sconosciuti alla data del precedente accertamento ma anche che non era possibile rilevarli né dal contenuto della dichiarazione né dagli atti in possesso dell’ufficio alla data medesima.

 

Accertamenti parziali

Gli accertamenti parziali di cui agli articoli 41-bis, D.P.R. 600/1973 e 54, comma 5, D.P.R. 633/1972, non costituiscono un metodo di accertamento che deroga alle previsioni di cui agli articoli 38 e 39, D.P.R. 600/1973, ai fini reddituali, e articoli 54 e 55, D.P.R.633/1972, ai fini Iva, quanto piuttosto una modalità procedurale cui si applicano le stesse regole previste per gli accertamenti ordinari (acquiescenza, definizione delle sole sanzioni, autotutela, accertamento con adesione, mediazione, impugnazione dell’avviso, conciliazione giudiziale, iscrizione a ruolo)[7].

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La L. 311/2004 ha apportato sensibili modifiche all’impianto normativo degli accertamenti parziali, disponendo l’utilizzabilità degli elementi che provengono dall’attività di controllo esterna (accessi, ispezioni e verifiche) nonché dalle segnalazioni effettuate dalla Direzione centrale accertamento, da una Direzione regionale ovvero da un ufficio della medesima Agenzia ovvero di altre Agenzie fiscali ed estendendo lo strumento alle ipotesi in cui dalle segnalazioni emerga comunque, ai fini delle imposte sui redditi, l’esistenza di imposte o di maggiori imposte non versate.

L’ampliamento del raggio d’azione si è concluso con la c.d. Legge di Stabilità 2011 – articolo 1, comma 17, della L. 220/2010 – che ha integrato il solo richiamo all’attività di controllo esterna con il riferimento alle attività istruttorie di cui all’articolo 32, comma 1, numeri da 1 a 4, D.P.R. 600/1973. Ne deriva che, fermo quanto già previsto per i dati e gli elementi acquisiti per effetto degli accessi, ispezioni e verifiche (nonché dalle altre fonti già indicate nella norma), è ora possibile utilizzare tale strumento anche in presenza di altre attività istruttorie prima non specificatamente previste (invito ai contribuenti per fornire dati e notizie rilevanti anche relativamente ai rapporti e alle operazioni, i cui dati, notizie e documenti siano stati acquisiti per effetto delle indagini finanziarie o su segnalazione dei pubblici dipendenti; invito ai contribuenti a esibire o trasmettere atti e documenti rilevanti ai fini dell’accertamento nei loro confronti; invio ai contribuenti di questionari relativi a dati e notizie di carattere specifico rilevanti ai fini dell’accertamento nei loro confronti nonché nei confronti di altri contribuenti con i quali abbiano intrattenuto rapporti).

La peculiarità dell’accertamento parziale consiste proprio nel procedere, con immediatezza, all’accertamento quando siano pervenuti elementi che consentono di determinare autonome irregolarità tributarie, con una modalità di notifica semplificata, atteso che basta il semplice invio di una raccomandata con avviso di ricevimento (la notifica si dà per avvenuta alla data indicata in detto avviso di ritorno, sottoscritto dal destinatario ovvero da persona di famiglia o addetto alla casa)[8].

Pertanto, lo strumento è stato e continua a essere utilizzato anche per gli elementi fiscalmente rilevanti evidenziati nei pvc conseguenti a verifiche generali della G. di F., facendo salva, naturalmente, la possibilità e l’opportunità di ricorrere agli ordinari strumenti di accertamento generale nei casi in cui risulti evidente la necessità per l’ufficio di svolgere un’ulteriore, autonoma, attività istruttoria.

 

Definizione dei redditi da partecipazione nelle società, associazioni indicate ovvero in aziende coniugali non gestite in forma societaria

L’ulteriore azione accertatrice, in forza di quanto disposto dall’articolo 2, comma 4, lettera c), D.Lgs. 218/1997, è possibile nei casi in cui la definizione riguarda i redditi derivanti da partecipazione nelle società o nelle associazioni indicate nell’articolo 5, Tuir, ovvero in aziende coniugali non gestite in forma societaria. In queste ipotesi, “l’ulteriore azione accertatrice potrà riguardare i redditi diversi da quelli derivanti dalla partecipazione oggetto della definizione” (cfr. circolare n. 235/1997), senza le condizioni poste dalla lettera a), dell’articolo 2, comma 4, del D.Lgs.n.218/1997.

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Definizione nei confronti delle società o associazioni o dell’azienda coniugale non gestita in forma societaria, alle quali partecipa il contribuente nei cui riguardi è intervenuta la definizione

L’ulteriore azione accertatrice è consentita quando, successivamente alla definizione della posizione personale del socio, associato o coniuge sia stato accertato un maggior reddito nei confronti della società di persone, dell’associazione professionale o dell’azienda coniugale non gestita in forma societaria (articolo 2, comma 4, lettera d), D.Lgs. 218/1997).

Secondo tale  disposizione, in altre parole, qualora uno dei soci o associati o  l’altro coniuge abbia definito i propri redditi con adesione all’accertamento per un periodo di imposta – senza che oggetto della definizione sia stato anche il reddito di partecipazione – l’ufficio può procedere all’ulteriore azione accertatrice, limitatamente al reddito di partecipazione, se viene esercitata l’azione di accertamento nei confronti dell’ente collettivo, associazione o del titolare dell’azienda coniugale. Anche in questo caso, per l’esperibilità dell’ulteriore azione accertatrice nei confronti del contribuente  che ha precedentemente definito i propri redditi, non operano i presupposti e i limiti previsti alla lettera a), del comma 4, dell’articolo 2, D.Lgs. 218/1997.

 

Conclusioni

L’interessante, articolata e puntuale pronuncia della Cassazione sgombra il campo da una serie di confusioni interpretative: in tema di accertamento con adesione, le ipotesi, contemplate dal comma 4, dell’articolo 2, D.Lgs. 218/1997, in cui l’intervenuta definizione non esclude l’esercizio dell’ulteriore azione accertatrice, sono da considerare fra loro alternative.

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E con chiarezza la Corte esclude altresì che la questione trattata investa i rapporti fra accertamento parziale e rimessione di un nuovo atto (peraltro, a seguito del recente pronunciamento della Corte di Cassazione a SS.UU.[9], a margine della querelle relativa alla legittimità o meno dell’autotutela sostitutiva anche per vizi sostanziali oltre che formali[10], gli Ermellini, nel precisare che la possibilità di un accertamento frazionato è consentita da un’ampia ulteriore varietà di disposizioni, quali, in particolare, quelle relative agli accertamenti parziali, hanno riconosciuto che in queste ipotesi, invero, “non è esplicitamente prevista la necessità della sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi”, pur se i giudici chiudono l’inciso, osservando che la particolare tipologia di accertamenti, obbiettivamente limitati, “conduce a ritenere fisiologica la maggiore ampiezza, anche fattuale, dell’ulteriore “azione accertativa”). E la sola maggiore ampiezza induce a ritenere legittimi anche quegli accertamenti che recuperano, per esempio, redditi diversi non dichiarati, dopo un primo accertamento con cui erano stati contestati i redditi di fabbricati, pur se entrambi tali elementi erano già a disposizione dell’ufficio. Così ridando un senso alla norma[11]. Ciò che non può essere operato con un secondo parziale è la diversa valutazione degli stessi fatti. Ma a ciò supplisce l’autotutela sostitutiva (Cassazione SS.UU. n. 30051/2024). Ricordiamo, altresì, per completezza di analisi, che non è risultata decisiva l’introduzione dell’articolo 9-bis, L. 212/2000, a opera del D.Lgs. 219/2023, atteso che il Legislatore delegato, nel normare il c.d. divieto di bis in idem nel procedimento tributario, ha comunque fatto salve le specifiche disposizioni che prevedano diversamente[12].

[1] Cfr. sull’argomento, Cassazione n. 10817/2023.

[2] Cfr. Cassazione n. 21992/2015, n. 14756/2020, n. 25805/2021 e n. 771/2022.

[3] Per un esame completo dell’istituto sia consentito il rinvio a G. Antico, “Guida agli strumenti deflattivi”, Verona, 2024.

[4] Ai sensi del nuovo articolo 5, D.Lgs. 218/1997, l’ufficio di iniziativa, nei casi in cui non sussiste l’obbligo di contraddittorio preventivo, contestualmente alla notifica dell’avviso di accertamento o di rettifica ovvero dell’atto di recupero, ovvero su istanza del contribuente, ai sensi dell’articolo 6, D.Lgs. 218/1997, gli comunica un invito a comparire nel quale sono indicati: a) i periodi di imposta suscettibili di accertamento; b) il giorno e il luogo della comparizione per definire l’accertamento con adesione; c) le maggiori imposte, ritenute, contributi, sanzioni ed interessi dovuti; d) i motivi che determinano maggiori imposte, ritenute e contributi di cui sopra.

[5] In forza dell’articolo 6, comma 1, D.Lgs. 218/1997, al termine delle operazioni di accesso, ispezioni o verifiche, eseguite dalla G. di F. o dagli uffici dell’Amministrazione finanziaria, è data facoltà al contribuente di inoltrare istanza all’ufficio competente, chiedendo la formulazione di una proposta di accertamento ai fini dell’eventuale definizione in adesione della controversia. Inoltre, il novellato comma 2, dell’articolo 6, D.Lgs. 218/1997, prevede che il contribuente nei cui confronti sia stato notificato avviso di accertamento o di rettifica, ovvero atti di recupero, per i quali non si applica il contraddittorio preventivo, possa formulare anteriormente all’impugnazione dell’atto innanzi alla CGT di I grado, istanza di accertamento con adesione, pur in assenza dell’invio dell’invito a comparire di cui all’articolo 5 comma 1, del medesimo D.Lgs. 218/1997. Nel caso di avviso di accertamento o di rettifica, ovvero di atto di recupero, per i quali si applica il contraddittorio preventivo, il contribuente può formulare, istanza di accertamento con adesione, entro 30 giorni dalla comunicazione dello schema di atto di cui all’articolo 6-bis, comma 3, L. 212/2000. Il contribuente può presentare istanza di accertamento con adesione anche nei 15 giorni successivi alla notifica dell’avviso di accertamento o di rettifica, che sia stato preceduto dalla comunicazione dello schema di atto. In tale ultimo caso, il termine per l’impugnazione dell’atto è sospeso per un periodo di trenta giorni. È fatta sempre salva la possibilità per le parti di dare corso, di comune accordo, al procedimento di adesione. Resta fermo che il termine per l’impugnazione e quello per il pagamento dell’Iva accertata sono sospesi per un periodo di 90 giorni dalla data di presentazione dell’istanza del contribuente, salvo quanto previsto dal comma 2-bis, ultimo periodo dell’articolo 6, D.Lgs. 218/1997 (per i quali si applica il contraddittorio preventivo, dove la sospensione è di 30 giorni). L’impugnazione dell’atto comporta rinuncia all’istanza.

[6] In merito, cfr. G. Antico, “Accertamento con adesione: l’ulteriore azione accertatrice nei casi di accertamenti parziali”, in Il fisco, n. 7/2002, I, pag.966 e G. Antico, “Accertamento con adesione: la sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi”, in Il fisco, n. 19/2002, I, pag. 2968; G. Antico, “L’accertamento integrativo preceduto da atto impositivo o di adesione”, in La circolare tributaria n. 37/2023.

[7] La procedura di controllo è stata inizialmente utilizzata dagli uffici finanziari per accertare l’omessa o parziale indicazione di redditi fondiari (canoni di locazione non dichiarati), di redditi di capitale (utili distribuiti e non dichiarati), di redditi di lavoro autonomo (compensi soggetti a ritenuta), di redditi soggetti a tassazione separata (trattamento di fine rapporto, emolumenti arretrati), di redditi diversi (compensi corrisposti e assoggettati a ritenuta alla fonte a titolo di acconto e non dichiarati dal percettore). Successivamente, sono stati inseriti nuovi criteri e fonti.

[8] Articolo 3, comma 4, D.L. 261/1990, convertito con modificazioni in L. 331/1990.

[9] Cassazione SS.UU. n. 30051/2024.

[10] La sentenza n. 30051/2024 ha indicato i seguenti principi: “… l’Amministrazione finanziaria, ove non sia decorso il termine di decadenza per l’accertamento….e sull’atto non sia stata pronunciata sentenza passata in giudicato, può legittimamente annullare, per vizi sia formali che sostanziali, l’atto impositivo viziato ed emettere, in sostituzione, un nuovo atto anche per una maggiore pretesa”; “… l’autotutela sostitutiva in malam partem, con adozione di un nuovo atto per una maggiore pretesa in sostituzione di quello annullato, si differenzia, strutturalmente e funzionalmente, dall’accertamento integrativo…”;In caso di autotutela tributaria sostitutiva in malam partem, …. il legittimo affidamento del contribuente non è integrato dalla mera esistenza del precedente atto viziato ovvero dall’errata valutazione delle circostanze poste a suo fondamento …; può, per contro, assumere rilievo, … l’esistenza di specifiche indicazioni erronee o di condotte intrinsecamente contraddittorie da parte dell’agenzia fiscale anteriormente all’adozione dell’atto illegittimo qualora le somme pretese siano state compiutamente versate e ricorrano ragioni di certezza e stabilità”.

[11] Anche perché, diversamente, non si capirebbero e rimarrebbero vani gli sforzi del legislatore, tesi ad ampliare il dettato normativo dei parziali, che derogano alla disciplina ordinaria, pur fissando dei paletti normativi, avallando e ampliando le iniziali indicazioni di prassi, contenute nella circolare n. 235/1997.

[12] Si legge nella relazione illustrativa che l’introduzione di tale norma recepisce le esigenze di bilanciamento tra tutela dell’interesse erariale e dei diritti fondamentali del contribuente, nel rispetto del principio di proporzionalità, rafforzando la protezione di tali diritti e, nel contempo, la certezza del diritto. E “l’essenza del c.d. ne bis vexari afferma che, per ogni possibile violazione, la persona ha diritto a essere gravata da una sola procedura e quindi a doversi difendere una sola volta”.

 

Si segnala che l’articolo è tratto da “Accertamento e contenzioso”.



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