Dal 2005, l’“Aid for Trade” (Aiuti al commercio) è stato un pilastro fondamentale dell’assistenza allo sviluppo ufficiale (ODA), con l’obiettivo di aiutare i paesi in via di sviluppo a superare gli ostacoli legati al commercio: infrastrutture, capacità istituzionali, regolamentazioni.
Ma oggi quel modello è sotto pressione: l’epoca delle grandi promesse sta cedendo il passo a una realtà fatta di tensioni commerciali, limiti fiscali nei paesi donatori, debiti crescenti nei paesi beneficiari e l’urgenza di una transizione ecologica e digitale. Un nuovo studio dell’OCSE, intitolato Aid for Trade at a Crossroads, offre una fotografia aggiornata e alcune strade per agganciare meglio le sfide globali del 2025.
Flussi in crescita ma con segnali di rallentamento
Secondo il cruscotto dati dell’OCSE (OECD) da quando l’iniziativa è partita sono stati impegnati oltre 700 miliardi di dollari in impegni (commitments) per il “Aid for Trade”. Ma non tutto è in ascesa: mentre l’impegno complessivo è aumentato, la quota destinata a certe regioni o a certi settori chiave mostra segni di contrazione.
Parallelamente, l’ODA globale è rimasta su cifre elevate, ma in termini reali nel 2023 ha subito un calo. Secondo UNCTAD, dopo essere salita a 288 miliardi di dollari, si è ridotta a 275 miliardi (a prezzi costanti 2022). In altri termini: i margini di manovra per finanziare attività “extra” come l’Aid for Trade si stanno assottigliando.
Uno spostamento dagli aiuti puri ai prestiti
Un fenomeno rilevante è l’incremento del ricorso ai prestiti rispetto alle sovvenzioni pure. Sul cruscotto dell’OCSE, emerge che dal 2011 in poi gli strumenti basati su prestiti hanno superato quelli erogati come grant, in parte perché sono più adatti a grandi progetti infrastrutturali. Tuttavia, questa evoluzione solleva interrogativi sulla sostenibilità del debito per i Paesi destinatari, specie quelli già in condizioni fragili.
Disparità geografiche e di reddito
Nella ripartizione per regioni, Africa e Asia assorbono circa il 70% dei flussi cumulati dal 2006 ad oggi. Tuttavia, l’Europa sta aumentando la propria quota, in parte per supportare Paesi colpiti da conflitti (come l’Ucraina).
Un nodo critico è l’allocazione verso i paesi meno sviluppati (LDC). L’Unione europea, in un recente rapporto della Corte dei Conti europea, è stata criticata per non essere in grado di centrare l’obiettivo di destinare il 25 % degli Aiuti al Commercio agli LDC entro il 2030.
I vincoli di bilancio, insieme a priorità nuove (sovranità, sicurezza, migrazione) stanno comprimendo lo spazio per l’“Aid for Trade puro”.
Le sfide della “nuova normalità”
Tensioni commerciali e protezionismi. In uno scenario con dazi e contromisure sempre dietro l’angolo, l’effetto degli investimenti in capacità produttiva può essere smorzato. Le tariffe imposte da alcune potenze rischiano di erodere il vantaggio competitivo che alcuni paesi emergenti avevano faticosamente costruito.
Nuovi modelli di finanziamento. Con i budget nazionali in difficoltà, gli strumenti tradizionali dell’ODA sono sotto pressione. Si guarda sempre più verso modelli ibridi: partenariati pubblico-privati, mobilitazione di capitale privato, criteri ESG e investimenti “verdi” legati al clima. L’OCSE nel suo studio argomenta che l’Aid for Trade deve assumere un ruolo catalizzatore per attrarre altri flussi e cofinanziamenti.
Transizione energetica, resilienza climatica e digitalizzazione. Le economie del futuro dovranno essere più verdi, resilienti e digitali. Questo significa che l’Aid for Trade non può limitarsi a strade, porti e stoccaggio: deve investire in infrastrutture digitali, in capacità di adattamento climatico, in bandi per l’economia circolare e soluzioni per catene globali meno inquinanti. Il rapporto OCSE propone una ridefinizione dell’“ambito” (scope) dell’Aid for Trade, per includere nuove forme di supporto tecnico o regolatorio.
Measurement & valutazione: misurare non basta più. Un punto cruciale del nuovo studio è che l’attuale sistema di misurazione e reporting dell’Aid for Trade — basato sui codici CRS dell’OCSE — fatica a cogliere interventi “indiretti” o misure politiche di accompagnamento. Serve dunque una “mappa” più granulare, che prenda in considerazione effetti moltiplicatori, scalabilità privata, misure normative, assistenza tecnica invisibile e impatti climatici/sociali collegati.
Opportunità e vie di rilancio per i Paesi emergenti
Rafforzare il “trade-development nexus”. Più che “donatore e beneficiario”, l’idea è di promuovere partenariati e sinergie tra politiche commerciali e di sviluppo. Alcuni Paesi donatori come Svezia, Paesi Bassi e Finlandia stanno già sperimentando politiche integrate di coerenza tra commercio, sviluppo, clima e tecnologia. Questo approccio può aiutare i paesi emergenti a “allineare” le strategie nazionali con i flussi internazionali.
Incentivare l’ingaggio del settore privato. Un’efficace strategia di “de-risking” può trasformare l’Aid for Trade in leva di attrazione di investimenti privati: garanzie, fondi misti, strumenti congiunti, supporto alle startup export-oriented, catene regionali di subfornitura. L’effetto moltiplicatore è vitale, soprattutto in economie con capitale domestico scarso.
Scegliere progetti “trasformativi” e scalabili. Invece di tante iniziative piccole e isolate, la sfida è investire su grandi infrastrutture digitali, piattaforme logistiche integrate, nodi regionali che favoriscano scambi intraregionali. Questi progetti, se ben progettati, possono creare un “effetto rete” che supera le singole sovvenzioni.
Ridefinire metriche e trasparenza. I paesi donatori devono essere parte del processo di ridefinizione dei sistemi di misurazione: contribuendo a definire gli indicatori locali, i risultati attesi, i fattori climatici e sociali. Solo così l’Aid for Trade potrà essere uno strumento non solo di spesa, ma di governance collaborativa.
L’Aid for Trade non è un relitto del passato: può ancora essere un pilastro del commercio inclusivo nel XXI secolo. Ma la posta in gioco è alta. Se riuscirà a rinnoarsi, l’Aid for Trade potrà restare rilevante anche in un mondo caratterizzato da tensioni, fragilità e transizioni epocali. Rimane però il rischio che, se troppo ancorata al passato, perda efficacia.
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