A gennaio di quest’anno avevamo segnalato il fatto che il “bando per la sperimentazione di servizi di connettività satellitare complementari alla fibra da utilizzare nelle aree remote della regione Lombardia” celava a nostro avviso la volontà di “forzare” le attuali regole e gli affidamenti legati ai progetti di infrastrutturazione digitale finanziati dal PNRR, in favore dell’introduzione della tecnologia satellitare.
Come avevamo sostenuto allora, il sopracitato bando rappresentava di fatto un’azione “apripista” che, una volta attuata, avrebbe dato sostanza al rischio che parte delle risorse del Piano Italia 1 Giga potessero venire successivamente deviate per l’utilizzo dei satelliti anche nelle altre aree del Paese in cui ad oggi si registrano ritardi nell’esecuzione dei lavori (come nel caso di Open Fiber, che non riesce a coprire oltre 700 mila civici, dei complessivi 2,2 mln assegnati, secondo le tempistiche previste).
Spiace constatare che avevamo ragione.
La proposta di revisione del PNRR in attuazione della comunicazione della Commissione europea del 4 giugno 2025, approvata dalla Cabina di Regia del 26 settembre 2025, lo indica con chiarezza.
Il piano del governo prevede infatti l’impiego di circa 100 milioni per lo sviluppo di connessioni ibride satellite-terrestre, oltre allo slittamento dei tempi per il raggiungimento degli obiettivi di copertura (dal 2026 al 2030).
Soluzioni, queste, che da una parte certificano i gravi ritardi del Piano, e dall’altra mostrano ancora una volta l’incapacità dell’esecutivo di trovare soluzioni in linea con le reali esigenze del paese.
Più nel dettaglio, si prevede di riparametrare circa 700 milioni di risorse del PNRR, derivanti dal Piano “Italia a 1 Giga” e altri Piani gestiti dal Dipartimento per la Trasformazione Digitale (DTD), con due nuovi piani di copertura.
1. Col primo, si punta a coprire circa 580mila civici originariamente previsti per il Piano “Italia a 1 Giga”, legando questo nuovo piano non più alla scadenza del 30 giugno 2026, bensì agli obiettivi europei del Digital Compass 2030. Ciò prevede la necessità di predisporre un nuovo bando di gara (un altro!), che sarà preceduto dall’ennesima consultazione pubblica per comprendere nello specifico quanto non previsto dai piani dei privati;
2. Con i 145 milioni per i restanti 120mila civici rimasti scoperti, si punterà su una soluzione ibrida che prevede, appunto, la tecnologia satellitare (95 milioni per collegare le 80mila utenze più remote utilizzando il satellite come backhauling e le tecnologie terrestri disponibili per il collegamento finale; 50 milioni per coprire fino a 40mila ulteriori civici, da erogare sotto forma di voucher per incentivare gli utenti a usufruire della connettività satellitare).
Va evidenziato il fatto che questa pianificazione arriva a valle di una serie di proposte vagliate ma scartate: Fibercop aveva proposto di subentrare in alcuni lotti in capo a Open Fiber, mentre Open Fiber aveva puntato sulla tecnologia FWA (fixed wireless access) per portare la connettività a 1 giga nelle aree più in ritardo per poi migrare verso alla fibra entro il 2027.
A giugno il governo sembrava orientato verso quest’ultima soluzione, che aveva oltretutto maggiori probabilità di incontrare il benestare della Commissione europea, ovvero una copertura provvisoria in Fwa e il recupero in fibra ottica entro un anno. Per altro questa opzione avrebbe potuto avvalersi della strategica infrastruttura di RayWay. Infrastruttura per la quale invece si sta lavorando al progetto di fusione con Ei Towers (è di ieri la notizia del differimento di ulteriori sei mesi del Memorandum of understanding non vincolante relativo alla possibile integrazione). Progetto di cui da mesi denunciamo la “fumosa” finalità tecnologica da momento che nel 2031 è previsto che la banda sub700 resti a disposizione dei broadcaster per il digitale terrestre: cosa farà allora questo nuovo eventuale soggetto tutto focalizzato sul core business della trasmissione del segnale televisivo\radiofonico?
Si è scelto invece di ridurre le unità da coprire con la fibra, “con un taglio proporzionale del contributo pubblico erogato, al netto di un ricalcolo degli extracosti attualmente stimati all’equivalente di 120.000 indirizzi, che verranno corrisposti a Open Fiber a titolo di ristoro” e di aprire le porte all’utilizzo del satellite, cosa che non garantisce prestazioni né sovranità digitale.
Inoltre, posto che queste 40.000 abitazioni siano così isolate da non poter essere in alcun modo raggiunte dalla fibra ottica o da connessioni Fwa terrestri (decisamente più performanti di un servizio satellitare), è incomprensibile pensare che per quelle altre 80.000 abitazioni sia pensato ad una soluzione in cui la rete di accesso vanificherà qualsiasi vantaggio delle connessioni fisse a banda ultralarga perché “strozzata” da un rilegamento satellitare che introduce una latenza non trascurabile e numerose altre criticità.
A tal proposito val la pena ricordare che, sebbene l’Italia mostri risultati positivi (con una copertura del 98,8% a fronte di una media europea del 94,1%) per quanto riguarda le reti fisse NGA (Next Generation Access, quelle cioè capaci di offrire almeno 30 Mbps in download), decisamente più complesso è lo scenario relativo alle connessioni VHCN (Very High Capacity Network), quelle cioè abilitanti per lo sviluppo di imprese, PA ed in generale del paese tutto.
Riguardo a queste, il dato del 70,7% di copertura nazionale ci inserisce al quartultimo posto delle classifiche europee.
Un gap, questo, impossibile da colmare con tecnologie con livelli prestazionali così bassi come quelli che il governo si accinge a promuovere, tradendo lo spirito originario della Strategia italiana per la Banda Ultralarga “Verso la Gigabit Society”.
Quello che si sta definendo è infatti un modello che punta su una finta copertura, i cui limiti, in termini prestazionali condanneranno l’Italia a perdere la partita della competitività aggravando, se ancora ce ne fosse bisogno, il divario socio-economico fra le varie zone del paese, condannando le aree interne all’irrilevanza tecnologica e, quindi, ad un arretramento drammatico in termini di coesione e sviluppo.
Noi lo diciamo da tempo, ma lo dicono, purtroppo, anche i dati.
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