I capitalI nascosti rappresentano oggi la vera leva di trasformazione per le imprese.
In un’economia segnata da intelligenza artificiale, digitalizzazione e iperconnessione, la loro valorizzazione diventa cruciale per affrontare la crisi dei capitali convenzionali e aprire nuove prospettive strategiche.
Dal vecchio modello delle 3M alla teoria di Coase
Men, Money, Machines: questa famosa sintesi descrive i componenti essenziali di un’azienda classica.
Queste 3M erano perfettamente in linea con una visione dell’impresa e dei suoi processi coerente col modo in cui le macchine funzionano: “controllare” le risorse, “prevedere” gli output e soprattutto “scambiare” oggetti; questi oggetti sono in genere prodotti, ma anche entità meno tangibili: servizi, marchi, brevetti, titoli, ecc.
Gli eventi chiave in questo modello sono le transazioni di scambio, e gli sviluppi con cui le aziende si sono organizzate nel tempo sono state guidate dalla ricerca dell’efficienza di queste transazioni: concetto chiarito e formalizzato dalla ben nota “Theory of Firm” di Ronald Coase, che già nel 1937 in “The Nature of Firm” si chiedeva perché le imprese svolgessero attività economiche nelle aziende anziché con transazioni sul mercato. La risposta che si diede era che così si riducevano drasticamente i costi connessi a scambi sul mercato, classificandoli in tre gruppi principali:
(1) costi per ricercare i partner giusti e informarsi su di essi;
(2) costi di negoziazione e contrattualistica:
(3) costi per assicurare l’esecuzione dei contratti e la risoluzione delle dispute.
L’obsolescenza del potere di scala
Basterebbe questo a far capire che l’ottimizzazione dell’organizzazione di un’impresa oggi risulterebbe profondamente diversa; ma fondamentalmente la maggior parte delle aziende attuali, pur con tutti i cambiamenti intercorsi, ha nel DNA la concezione riduzionista / deterministica del Men, Money, Machine. Nel tempo avrà inoltre sedimentato conseguenze di scelte che erano logiche implicazioni in quel modello, ma controproducenti in una diversa realtà: per esempio saranno state internalizzate attività per gestirle più direttamente, provocandone però la rapida obsolescenza in tempi di più rapida innovazione globale.
La nuova dimensione strategica della conoscenza
Il “potere di scala” da tempo sta diminuendo: l’obsolescenza è molto rapida e genera passività pesanti e pericolose nelle imprese con asset che si trasformano rapidamente in liability.
La nuova dimensione strategica si basa sull’ampiezza e sulla qualità della rete della conoscenza. Possiamo condividere enormi quantità di informazioni provenienti da qualsiasi fonte, collegate a qualsiasi processo, e questo apre prospettive rivoluzionarie, che cambiano e ampliano il senso dell’esperienza. Le interazioni oggi sono ovunque. L’imprenditore spesso non ha bisogno di raccogliere risorse “proprie” per realizzare il suo scopo, ma è in una rete sempre più accessibile in cui queste risorse sono già operative. Una struttura proprietaria può diventare un ostacolo, in un’economia basata sulla creazione, piuttosto che sulla produzione.
Dall’investire al disinvestire
Per questo oggi fare strategia vuole dire non tanto investire, ma soprattutto disinvestire. Ma come, con quali criteri?
La premessa: il valore si crea sempre più in modo non-deterministico, in contesti segnati dalla digitalizzazione, dall’intelligenza artificiale e soprattutto dall’iperconnessione, a scapito dei sistemi chiusi basati su modelli deterministici.
Un processo non deterministico è il contrario di un processo in cui si vuole garantire il più possibile il raggiungimento di un risultato predeterminato: anziché ridurre le possibilità di deviazione dal percorso prefissato, occorre aprire al massimo tali possibilità, perché non si conosce in anticipo quale sia il percorso che ci porterà al risultato più interessante: il valore si crea non tanto nel controllo del prevedibile, ma nella capacità di orientare l’imprevedibile.
I sistemi che generano i loro risultati come emergenze da sistemi complessi, e non come risultati di sequenze deterministiche, indicano quindi un nuovo possibile modello di impresa, il quale, continuando a seguire Coase, dovrebbe basarsi su una sostanziale riduzione dei costi di “emersione” (emergence), più che dei costi di “transazione”. Ridurre questi ultimi porta a definire delle organizzazioni gerarchiche funzionanti su processi pianificati e procedurati per tradurre conoscenze esplicite e condivise in merci o servizi.
Ridurre i costi di emersione porta a creare delle polarità nelle reti capaci di attrarre ed elicitare le conoscenze, per convertirle in flussi digitali in grado di attivare infiniti agenti in rete e metterli in grado di governare qualsiasi tipo di processo operativo.
Le polarità intelligenti come strutture cognitive
Queste polarità intelligenti sono strutture cognitive complesse che non si creano solo con una grande concentrazione di informazioni, ma si costruiscono lungo storie uniche attraverso la convergenza e la fusione armonica di conoscenze multiple e diverse tra loro, certamente non tutte disponibili all’interno di un’organizzazione gerarchica.
Occorre capire un punto chiave: se è la storia cognitiva del sistema che ne crea il valore distintivo, questo di conseguenza non è scomponibile in parti; non è un sistema composito, ma un nodo collegato a un’infinita e sfaccettata realtà interna ed esterna, da cui si irradiano significati e direzioni operative.
I capitali nascosti nelle organizzazioni
In ogni organizzazione polarità cognitive del genere quindi esistono già, e sono alla base della vitalità di ogni impresa. Tuttavia sono “capitali nascosti”, perché non evidenziati dai sistemi di rappresentazione dell’impresa che stanno alla base dei processi di pianificazione e controllo. Spesso non sono neppure direttamente finalizzati alla monetarizzazione, tuttavia sono vitali per l’impresa. Sono questi nodi vitali che dovrebbe essere al centro di ogni criterio di valorizzazione; ma la mancanza della loro piena consapevolezza porta a sostituirlo con criteri facilmente conformabili alla misurabilità economica e finanziaria, ma inadeguati a rappresentare il valore vero dell’impresa. La metafora della vita non è casuale: come si può affermare che sono viventi quei sistemi fisici che dissipano energia per creare ordine, così si può definire che sono vitali quei sistemi organici che dissipano informazione per creare conoscenza.
Individuare gli organi vitali
Diventa quindi prioritario individuare quegli “organi” in cui avviene questa trasformazione e focalizzarli per capirne le fonti, i punti di ascolto, le chiavi interpretative, le forme di rappresentazione e i canali di comunicazione.
Questo modo di vedere, più attento alle fonti che informano e plasmano le piattaforme culturali a ogni livello, più focalizzato sulla trasformazione delle idee che su quella operativa, rivela un contesto complesso e tuttavia in genere dato per scontato. Una visualizzazione di questo contesto reticolare, in cui distinguere i nodi vitali per l’ecosistema, si presta a una lettura innovativa del modo in cui un’organizzazione, specie un’organizzazione d’impresa, si colloca nell’economia e nella finanza.
La dinamica dei flussi H vs K
I flussi di capitale assorbito da questi nodi vitali, che chiameremo qui convenzionalmente capitali H (“hidden”), per distinguerli dagli altri, investiti negli asset che permettono il funzionamento ordinario della vecchia economia, chiamati K, avevano storicamente la caratteristica di non essere cospicui (ora le cose stanno cambiando), ma hanno sempre costituito un fattore di leva enorme nello spostare i K. La sfera degli H offre spazi di intervento molto vasti, proprio perché è scarsamente focalizzata, un tempo confinata all’interno di una zona di libertà discrezionale dei decisori, che tuttavia in genere, e per consuetudine, si sentivano moralmente più obbligati a gestire l’amministrazione corrente, cioè i K, che oggi al contrario offrono ritorni sempre più scarsi.
Il potenziale degli occhi ciclonici
Capire la dinamica dei flussi H diventa il punto di partenza per avere consapevolezza del potenziale di poli in grado di svilupparsi, fino a diventare occhi ciclonici, secondo la legge di potenza che vige nelle reti della conoscenza: la capacità di aggregare in un sistema di senso gli input provenienti dalla Crowd, dai Big Data, dalle Community valoriali, dalle visioni individuali, permette l’emersione di trame in grado di conferire nuovi significati alla realtà, così da contaminare e fertilizzare le stesse reti, potenziandone la generatività e creando una crescita esponenziale.
Il ruolo dell’intelligenza artificiale
L’intelligenza artificiale (modelli generativi, deep learning) a sua volta non segue regole fisse, ma apprende da dati eterogenei e contesti mutevoli. Oltre il 70% del valore previsto dell’AI generativa deriverà da capacità emergenti e non codificate, non da automazione standard di processi. In questo contesto, il ruolo dell’Intelligenza Artificiale diventa cruciale: essa non si limita ad automatizzare, ma amplifica la capacità delle imprese di costruire proprio quelle polarità intelligenti di cui sopra. Come dire che farà esplodere il valore di H, esautorando invece quello di K.
L’apertura come condizione di sviluppo
L’economia della conoscenza infatti si espande nelle reti a condizione di essere aperta, non solo “in entrata”, ma anche “in uscita”: può generare innovazioni sviluppabili efficacemente altrove, o riversarle quali esternalità positive nella società e nei territori, creando innovazione sociale e rendendoli fattori ulteriori di forza. L’apertura induce anche un’altra condizione fondamentale per lo sviluppo nelle reti, che è la ricchezza di connessione. La forza e la ricchezza dei flussi H sono date anche e soprattutto dalle riserve di conoscenza implicita di cui si dispone. Come la carica di una batteria in un sistema elettrico autonomo, la riserva cognitiva dovrebbe essere oggetto di monitoraggio. Se viene a mancare, il circuito dei flussi H va in crisi e con esso la vita di tutto il sistema.
Oggi siamo d’altra parte in un’epoca in cui i capitali K, finanziati spesso sulla base di patrimoni ormai svalutati, offrono performance sempre più scarse e si muovono in un’economia sempre più debole e fragile.
L’analisi dei percorsi di trasformazione
L’analisi della trasformazione della conoscenza in un sistema d’impresa (che come abbiamo visto non coincide necessariamente col sistema azienda) permette quindi diversi percorsi:
- isola il sistema H dal sistema K e focalizza la parte vitale e identitaria dell’impresa (la sua mente e il suo sistema immunitario), quella che consente il suo adattamento e sviluppo in un contesto a sua volta meglio compreso;
- migliora la conoscenza del legame critico tra H e K;
- focalizza le fonti di conoscenza da cui possano arrivare informazioni strategiche per riconfigurare il sistema d’impresa (business e organizzazione) e orienta la costruzione di reti in grado di generarle;
- evidenzia componenti e fattori non strategici o fungibili, permettendo di capire quali motivi, oggi o nel passato, ne hanno suggerito l’introduzione e la scelta; la loro conoscenza è fondamentale per individuare velocemente la possibilità di abbandonare vincoli e schemi non più necessari e definire strategie di disinvestimento.
- permette quindi un alleggerimento e una semplificazione del sistema delle risorse interne, diminuendo drasticamente costi e rischi.
La forza generativa dei capitali nascosti
La ricchezza dei capitali nascosti H è data soprattutto da quanto la sua forza innovativa innesca nella società onde di nuove attività e di nuovi comportamenti; forza moltiplicata dalle forme avanzate di intelligenza artificiale e, come quest’ultima, generativa: la contaminazione genera non solo nuove idee, ma anche nuove prassi, nuove competenze, nuovi ambiti di “trust”. E segna in un certo modo la fine di una società classificabile per ruoli, settori, discipline.
In un’epoca in cui i capitali convenzionali perdono efficacia, la capacità di attivare e valorizzare i capitali nascosti H sarà il vero vantaggio competitivo per imprese e territori.
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