Mentre si avvicina la messa a punto della Legge di bilancio, le prospettive per l’economia italiana non sono delle più rosee
Le prospettive per l’economia mondiale restano molto incerte, mantenendo sottotono il trend della crescita in Eurozona e frenando l’export. Nel secondo trimestre 2025, il Pil dell’Eurozona segna un aumento dello 0,1% sul trimestre precedente, in rallentamento rispetto al +0,5% del primo trimestre e registrando un segno negativo per le due maggiori economie della manifattura europea, Germania e Italia.
Sulla bassa crescita pesa una crisi della manifattura che, pur manifestando in estate qualche segnale di attenuazione, sarà penalizzata dall’impatto dei dazi statunitensi. Le esportazioni del Made in Italy nei primi sette mesi del 2025, al netto delle vendite del farmaceutico condizionate dalle politiche protezionistiche statunitensi, ristagnano (-0,4%).
La produzione manifatturiera a luglio sale dell’1,4% rispetto a giugno, ma nei primi sette mesi del 2025 segna una flessione dell’1,5% su base annua, con un calo più pesante per moda (-7,1%) e meccanica (-2,5%). In positivo l’attività delle costruzioni, anche grazie al sostegno del Pnrr, con la produzione del settore che cresce del 4,7% nei primi sette mesi del 2025.
Si registrano ancora incertezze per i consumi delle famiglie e i flussi turistici, che crescono meno del previsto, mentre il fatturato dei servizi in volume ristagna (+0,4% nei primi sei mesi del 2025). I consumi salgono dello 0,6% a fronte di un tasso previsto da Banca d’Italia dell’1,0%. Il buon andamento di giugno ha portato le presenze turistiche sempre nei primi sei mesi dell’anno a salire dell’1,9%.
Nel primo semestre 2025 l’occupazione in Italia sale dell’1,4%, con il traino dato della crescita del 2,2% del Mezzogiorno, doppia rispetto all’1,1% del Centro-Nord, con Campania (+3,1%) e Sicilia (+2,9%) a fare da locomotive. Peggiorano le previsioni di assunzione, che per il trimestre settembre-novembre 2025 sono in calo del 2,1%.
Il mancato taglio dei tassi di interesse nelle sedute del Consiglio della Bce di luglio e settembre penalizza la ripresa in corso degli investimenti in macchinari. Con il décalage dei tassi, tornano in positivo i prestiti alle imprese che a luglio segnano un +0,8% su base annua.
Le incertezze e le tensioni geopolitiche mantengono elevata la pressione dei prezzi dell’energia. Per le micro e piccole imprese persiste uno spread sui prezzi dell’elettricità del 22,5% della media dell’Ue a 27, su cui grava lo squilibrio del prelievo fiscale e parafiscale che è più che doppio (+117,4%) della media europea, mentre i grandi consumatori italiani hanno un significativo vantaggio (-20,5%) rispetto ai competitor europei.
La crisi dei motori europei – La debole fase ciclica dell’Unione Europea riflette la simultanea bassa performance di Germania e Francia. L’economia tedesca rischia il terzo anno consecutivo di recessione: tra il 2021 e il 2024 il Pil pro capite reale in Germania è sceso dell’1,4% mentre è salito del 3,5% nell’Ue a 27 e del 6,9% in Italia. Gli investimenti pubblici tedeschi si fermano al 2,9% del Pil a fronte del 3,6% della media Ue.
La Francia mostra fragilità legate alla debole crescita, un elevato debito pubblico e un’alta pressione fiscale. Nell’arco delle due Presidenze di Emmanuel Macron, la Francia ha visto peggiorare alcuni indicatori chiave. Nel 2022 il debito pubblico ha superato quello italiano, diventando il più alto dell’Ue. Dal 2016 al 2024 il rapporto debito/Pil in Francia è salito di 14,9 punti percentuali a fronte della stabilità (+1,1 p.p.) in Italia. Lo spread francese si è allineato a quello italiano, mentre nel 2017 era mediamente più basso di 130 punti.
Sul fronte della crescita, tra il 2016 e il 2024 il Pil pro capite della Francia è aumentato del 7,2%, oltre tre punti in meno del +10,7% dell’Italia. Famiglie e imprese francesi sono gravate dalla più alta pressione fiscale nell’Ue (45,2% del Pil), destinata a finanziare la seconda maggiore spesa pubblica primaria europea (55,1% del Pil), a fronte però di una bassa qualità dei servizi pubblici, un indicatore che colloca la Francia al 23esimo posto nell’Unione a 27.
In arrivo la manovra di bilancio – Nelle prossime settimane si delineano le date chiave per la politica fiscale. Entro il 2 ottobre sarà varato l’aggiornamento del quadro di finanza pubblica nel Documento programmatico di finanza pubblica (Dpfp), mentre entro il 15 ottobre va inviato alla Commissione europea il Documento programmatico di Bilancio e per il 20 ottobre deve essere presentato al Parlamento il disegno di legge di Bilancio.
Le luci del quadro di finanza pubblica – Dopo la revisione al rialzo della crescita del Pil da parte dell’Istat, il buon andamento delle entrate tributarie e la riduzione della spesa per interessi potrebbero far rientrare il rapporto deficit/Pil sotto al 3% già nel 2025, delineando una possibile uscita anticipata dalla procedura per deficit eccessivo.
Il parametro chiave delle nuove regole di bilancio europee è il tasso di crescita della spesa primaria netta che è stato concordato con la Commissione europea pari all’1,5% medio annuo fino al 2029. Una recente analisi dell’Ufficio parlamentare di bilancio evidenzia che l’Italia nel 2025 non presenta scostamenti dal trend programmato della spesa primaria netta.
I nodi da sciogliere – Tra gli interventi è ipotizzata una riduzione sull’Irpef finalizzata a ridurre il carico fiscale che in Italia rimane elevato, risultando nel 2024 di 2,2 punti percentuali superiore alla media europea.
La politica fiscale dovrà definire il sentiero di spesa per la difesa, alla luce del nuovo target del 5% del Pil per i Paesi Nato. Le ultime stime fornite dalla Nato indicano che la spesa in Italia nel 2025 è salita al 2,04% del Pil (era 1,5% nel 2024). Le valutazioni dell’Ufficio parlamentare di bilancio indicano che un eventuale pieno utilizzo della flessibilità di bilancio offerta dalla Commissione europea impatta per 25,2 punti sul rapporto debito/Pil al 2041.
Un’elevata quota di importazioni di armamenti e di spesa per il personale depotenzia l’effetto espansivo della spesa per la difesa. Il finanziamento della maggiore spesa per la difesa mette a rischio altre poste di spesa meno rigida, in particolare quelle per gli investimenti pubblici, gli interventi anti-ciclici, di politica industriale e di tutela del territorio. Vi potrebbero essere scarse risorse per fronteggiare l’impatto dei dazi sulle filiere del Made in Italy.
La sostenibilità della finanza pubblica italiana poggia su una traiettoria di riduzione del rapporto debito/Pil a partire dal 2027. Un freno dell’allentamento monetario potrebbe pesare sulla spesa per interessi. Con il riordino degli incentivi agli investimenti vanno messi in circolo nell’economia reale i 4,2 miliardi di euro di risorse non utilizzate di Transizione 5.0, privilegiando il modello di sviluppo sostenibile delle piccole imprese più diffuse in settori a bassa intensità di emissioni, evitando la concentrazione sulle grandi imprese energivore.
Sempre in chiave green, nella manovra dovranno essere rifinanziati i bonus edilizi, necessari per raggiungere gli ambiziosi obiettivi di risparmio energetico da conseguire con la direttiva europea sulla prestazione energetica nell’edilizia (Epbd): secondo il Piano nazionale integrato energia e clima (Pniec), il tasso di riqualificazione annuo del settore residenziale che nel presente decennio 2020-2030 è dell’1,9% dovrebbe salire al 2,7% nel decennio 2030-2040.
Infine, va ricordato che un significativo impulso fiscale sull’economia reale deriva dagli interventi del Pnrr, i quali, però, presentano un significativo ritardo di attuazione. L’analisi dei dati della Corte dei conti evidenzia che nel 2024 è stato realizzato solamente il 44% della spesa previsto nel cronoprogramma finanziario e, a meno di un anno dalla deadline di fine agosto 2026, rimangono da spendere 130,3 miliardi di euro, il 67,0% dei 194,4 miliardi di dotazione.
Nostre elaborazioni su dati Banca d’Italia, Bce, Commissione europea, Corte dei conti, Eurostat, Gme, Istat, Mase, Nato e Upb.
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