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Riforma Testo Unico Edilizia: riordino o corto circuito istituzionale?


Può un Ministero redigere un disegno di legge che delega sé
stesso (cioè il Governo) a riscrivere l’intera disciplina edilizia,
mentre in Parlamento sono già all’esame due diverse proposte di
legge delega sullo stesso argomento? Quale valore assume il ruolo
delle Camere in un simile scenario? E, soprattutto, che effetti
potrebbe avere sul sistema delle fonti e sul lavoro quotidiano di
tecnici e amministrazioni?

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Riforma del Testo Unico Edilizia: il ddl delega

Partiamo come sempre da alcuni interrogativi che impongono una
serie riflessione su cosa è diventata l’attività normativa
italiana. Sempre meno una forma di democrazia partecipata e sempre
più un affare di pochi eletti che, spesso privi delle necessarie
competenze, decidono su temi cruciali per lo sviluppo del
Paese.

Dopo mesi di discussioni, audizioni e comunicati stampa dalle
forze parlamentari della Camera dei Deputati, ecco che arriva la
notizia che, in realtà, tutti ci aspettavamo: se la riforma del
d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) si farà, arriverà
certamente da una legge delega messa a punto dallo stesso Governo
(e all’esame del Senato).

Non sarà il Parlamento a decidere sul riordino della disciplina
edilizia, tramite una legge ordinaria, e neanche a scegliere il
quadro entro cui il Governo dovrà muoversi per la redazione del
futuro Decreto Legislativo di riforma (o lo farà solo
“formalmente”). Farà tutto il Governo!

Parallelamente all’attività parlamentare, il Ministero delle
Infrastrutture e dei Trasporti (MIT) è in dirittura d’arrivo
proprio sul testo di legge delega (che partirà il suo percorso di
approvazione dal Senato), che avrebbe l’effetto di concentrare
nelle mani del Governo la riscrittura della disciplina.

Un testo che attualmente si compone di 6 articoli:

  • art. 1 (Delega al Governo)
  • art. 2 (Principi e criteri direttivi)
  • art. 3 (Procedimento di adozione dei decreti delegati)
  • art. 4 (Clausola finanziaria)
  • art. 5 (Clausola di salvaguardia)
  • art. 6 (Entrata in vigore)

Il disegno di legge del MIT, così come strutturato, si propone
di adottare entro 18 mesi dalla entrata in vigore della delega, uno
o più Decreti Legislativi recanti disposizioni intese a rivedere e
semplificare la disciplina in materia di edilizia e
costruzioni.

Principi e criteri direttivi

Il cuore della delega è rappresentato dall’art. 2 che contiene i
classici principi e criteri direttivi che dovranno ispirare il
Governo nella redazione del/dei Decreto/i Legislativo/i, che nel
testo del disegno di legge sono stati suddivisi in:

  1. Principi generali
  2. Competenza stato regioni
  3. LEP
  4. Stato legittimo
  5. Categorie intervento edilizio
  6. Titoli abilitativi
  7. Procedure
  8. Illeciti e forme di sanatoria
  9. Specifici criteri di delega
  10. Rigenerazione urbana
  11. Costruzioni

Ognuno con un colore differente per semplificarne la
lettura.

Nel dettaglio, l’art. 2 individua tre direttrici
fondamentali:

  • riordino e semplificazione: unificare in un testo omogeneo
    tutte le disposizioni vigenti in materia edilizia e tecnica delle
    costruzioni, coordinandole con le norme su sicurezza,
    accessibilità, sostenibilità ambientale e tutela
    idrogeologica;
  • coordinamento normativo: raccordare la disciplina edilizia con
    quella urbanistica, paesaggistica, culturale e fiscale, evitando
    conflitti e garantendo coerenza tra i diversi settori;
  • superamento della frammentazione: eliminare duplicazioni e
    incongruenze, inserendo le regole di dettaglio in allegati
    regolamentari aggiornabili, così da assicurare applicazione
    immediata e stabilità al nuovo testo unico.

Competenza Stato Regioni

Sul delicato tema delle competenze tra Stato, Regioni ed enti
locali, il disegno di legge delega stabilisce alcuni principi di
fondo.

Innanzitutto, vengono individuate le materie inderogabili
riservate alla legislazione statale, come giurisdizione,
ordinamento civile e penale, giustizia amministrativa,
coordinamento informativo, tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e
dei beni culturali, laddove incidono direttamente sull’edilizia e
sulle costruzioni.

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Accanto a ciò, i decreti delegati dovranno definire i principi
fondamentali del governo del territorio (art. 117, terzo comma,
Cost.), ponendo così cornici chiare entro le quali le Regioni
potranno esercitare la loro competenza legislativa concorrente.

Un altro passaggio significativo riguarda la standardizzazione
dei procedimenti, da promuovere attraverso accordi in Conferenza
unificata, con l’obiettivo di uniformare modelli, modulistica e
modalità di gestione delle pratiche edilizie.

Non manca la ricognizione del ruolo degli enti locali, chiamati
a mantenere funzioni essenziali in materia edilizia, nel rispetto
dell’autonomia comunale, provinciale e metropolitana.

La parte più innovativa riguarda la disciplina degli abusi
edilizi e delle difformità dai titoli abilitativi. L’obiettivo
dichiarato è costruire una classificazione nazionale delle
irregolarità, distinguendo tra:

  • difformità sanabili, con percorsi semplificati di
    regolarizzazione, anche rivedendo il principio della doppia
    conformità per gli abusi antecedenti al 1967;
  • difformità insanabili, per le quali dovranno essere attivati
    procedimenti di ripristino proporzionati e chiari,
    responsabilizzando i proprietari;
  • casi specifici, come gli abusi minori in zona sismica, che
    potrebbero essere regolarizzati se non incidono sulla stabilità
    strutturale.

In parallelo, il ddl prevede una revisione complessiva dei
regimi sanzionatori, da calibrare in base alla gravità dell’abuso,
e una chiara regolazione delle agevolazioni fiscali, da escludere
per opere insanabili e consentire, invece, solo laddove sia
conseguita una regolare sanatoria.

In sintesi, lo Stato definisce i principi generali e i criteri
uniformi, mentre Regioni ed enti locali restano chiamati a
declinarli, con l’intento di superare le attuali disomogeneità
territoriali e ridurre le zone grigie in cui si alimenta il
contenzioso.

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Livelli essenziali delle prestazioni (LEP)

Il disegno di legge delega dedica una parte centrale ai livelli
essenziali delle prestazioni in materia edilizia e di costruzioni,
da intendersi come lo “zoccolo duro” delle regole statali
inderogabili.

In particolare, si prevede:

  • un punto unico di accesso per il privato, in grado di
    raccogliere tutte le domande, segnalazioni e comunicazioni,
    garantendo il coordinamento tra le diverse amministrazioni
    coinvolte;
  • il diritto per cittadini e imprese a non dover ripresentare
    documenti già in possesso della PA, con tempi certi e massimi per
    la conclusione dei procedimenti e pieno rispetto delle regole di
    trasparenza e partecipazione;
  • la definizione di requisiti minimi di attività edilizia nei
    Comuni privi di strumenti urbanistici, o in assenza di piani
    attuativi approvati;
  • standard inderogabili per l’attestazione dello stato legittimo
    degli immobili, a presidio della certezza giuridica;
  • una chiara correlazione tra categorie di intervento e titoli
    abilitativi, evitando ambiguità o sovrapposizioni;
  • criteri uniformi per oneri e contributi edilizi, con
    l’obiettivo di semplificare e ridurre gli adempimenti a carico dei
    privati;
  • l’individuazione degli interventi minori esenti da titolo e di
    quelli assoggettati a semplice comunicazione di inizio lavori;
  • regole comuni per i mutamenti di destinazione d’uso, ammettendo
    la semplificazione in assenza di incremento significativo del
    carico urbanistico;
  • standard tecnici inderogabili in materia di sicurezza, igiene,
    salubrità, risparmio energetico, accessibilità e costruzioni in
    zona sismica;
  • definizione di criteri uniformi per la vigilanza sull’attività
    edilizia, per le tolleranze costruttive e per i titoli in
    sanatoria, garantendo proporzionalità e conformità
    urbanistica.

In sostanza, i LEP diventano il perno attorno al quale costruire
una disciplina unitaria e chiara: un insieme di regole minime e
inderogabili che dovranno valere su tutto il territorio nazionale,
lasciando alle Regioni solo lo spazio per scelte integrative o più
restrittive.

Stato legittimo

Nonostante il recente intervento (o forse sarebbe meglio dire
“Considerate le criticità applicative dovute al recente
intervento”) sull’art. 9-bis del TUE da parte del D.L. n.
69/2024
 (Salva Casa), convertito in Legge n.
105/2024
, il disegno di legge delega interviene anche su uno
dei temi più delicati e dibattuti degli ultimi anni: l’attestazione
dello stato legittimo dell’immobile o della singola unità
immobiliare.

L’obiettivo è una revisione e semplificazione della disciplina,
fissando criteri e procedure uniformi per dimostrarlo, indicando
con chiarezza quali titoli abilitativi e quali documenti possano
essere considerati validi.

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Particolare rilievo viene dato al principio di tutela
dell’affidamento del proprietario o avente titolo, riconoscendo
come riferimento prevalente il titolo abilitativo più recente,
anche se formatosi per silenzio-assenso.

L’obiettivo dichiarato (neanche a dirlo) è ridurre le incertezze
interpretative, garantire certezza giuridica nelle transazioni e
negli interventi edilizi, e limitare il contenzioso legato alla
dimostrazione della legittimità degli immobili.

Categorie di intervento edilizio

Prevista una razionalizzazione complessiva delle categorie di
intervento edilizio, con l’obiettivo di superare l’attuale
frammentazione definitoria e garantire una corrispondenza chiara
tra la natura dei lavori e il loro impatto urbanistico.

La nuova classificazione punta a distinguere cinque grandi
macro-aree:

  • interventi di trasformazione edilizia e urbanistica del
    territorio, che comprendono le nuove costruzioni e le
    ristrutturazioni urbanistiche, incidendo sul disegno dei lotti,
    della viabilità e della maglia insediativa;
  • interventi di trasformazione del patrimonio edilizio esistente,
    inclusi quelli di demolizione e ricostruzione con sostituzione
    edilizia, quando comportano modifiche rilevanti di sagoma,
    prospetti, sedime, caratteristiche planivolumetriche o mutamenti di
    destinazione d’uso;
  • interventi di adeguamento funzionale, che riguardano le parti
    strutturali o i prospetti, comprendendo lavori di ripristino,
    sostituzione o inserimento di elementi costitutivi e impianti: in
    sostanza, la manutenzione straordinaria strutturale, il restauro
    conservativo strutturale e la ristrutturazione edilizia
    leggera;
  • interventi non strutturali, una categoria residuale che
    raccoglie la manutenzione straordinaria e il restauro conservativo
    quando non incidono su strutture e prospetti;
  • interventi minori e di manutenzione ordinaria, compresi quelli
    rientranti nell’edilizia libera: opere leggere, stagionali o
    temporanee, installazione di manufatti semplici e tutti gli
    interventi consentiti per espressa previsione legislativa senza
    titolo abilitativo.

L’intento è quello di fornire definizioni univoche e formule
chiare, capaci di ridurre i margini di incertezza e le discrepanze
interpretative che oggi alimentano contenziosi e rallentano i
procedimenti.

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Titoli abilitativi

Ampio spazio alla razionalizzazione dei regimi amministrativi
edilizi e urbanistici, con l’intento di superare le incertezze
applicative che ancora oggi caratterizzano i procedimenti.

L’impianto si fonda su alcuni criteri chiave:

  • proporzionalità: il titolo richiesto deve essere calibrato
    sulla tipologia e sull’impatto dell’intervento;
  • semplificazione: ricorso a strumenti di autocertificazione,
    asseverazione e silenzio-assenso, debitamente attestato;
  • chiarezza e certezza dei tempi: ogni titolo deve avere
    condizioni e termini di rilascio ben definiti, anche quando vi
    siano più amministrazioni coinvolte.

In particolare, la delega prevede di:

  1. individuare in modo puntuale quali interventi siano soggetti a
    CILA, SCIA, SCIA alternativa al permesso di costruire o permesso di
    costruire, evitando zone grigie e sovrapposizioni;
  2. chiarire le procedure applicabili agli interventi su beni
    culturali, immobili vincolati, aree a rischio sismico o
    idrogeologico;
  3. aggiornare e ampliare il regime dell’edilizia libera,
    includendo tutte le opere prive di significativa rilevanza
    urbanistica;
  4. stabilire i casi in cui gli interventi possono essere
    realizzati anche senza piani attuativi, quando le urbanizzazioni
    risultino già adeguate;
  5. disciplinare in maniera organica il permesso di costruire in
    deroga, da utilizzare per interventi pubblici o di interesse
    generale, o per progetti di rigenerazione urbana e contenimento del
    consumo di suolo;
  6. definire regole inderogabili e standard procedimentali comuni a
    livello nazionale, così da garantire uniformità applicativa;
  7. precisare il regime delle responsabilità: distinguere
    chiaramente tra proprietario, committente, progettista, direttore
    dei lavori e costruttore;
  8. regolare i principi di perequazione, compensazione e
    incentivazione urbanistica, raccordandoli ai diversi regimi
    autorizzativi.

Anche in questo caso, l’obiettivo dichiarato è fornire un
sistema di titoli abilitativi più semplice, certo e coerente,
riducendo il contenzioso e favorendo la tempestività dei
procedimenti.

Procedure amministrative

Il ddl delega affronta in maniera organica anche il tema delle
procedure amministrative in edilizia, con l’obiettivo di ridurre
tempi, oneri e duplicazioni che oggi gravano su cittadini, imprese
e amministrazioni.

I criteri fissati vanno in diverse direzioni:

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  • sportello unico effettivo: il privato deve poter accedere a un
    unico punto per tutte le domande, segnalazioni e comunicazioni
    relative al titolo abilitativo e all’intervento edilizio;
  • distinzione chiara dei procedimenti: da un lato quelli ordinari
    per il rilascio dei titoli, dall’altro quelli in sanatoria,
    evitando sovrapposizioni;
  • coordinamento tra amministrazioni: rafforzare i meccanismi di
    collaborazione nei procedimenti complessi, anche in sanatoria;
  • tempi certi e garantiti: riduzione dei termini per il rilascio
    dei titoli e valorizzazione degli strumenti del silenzio-assenso e
    del silenzio-devolutivo in caso di inerzia della PA;
  • unica istanza plurifinalitaria: possibilità per il privato di
    ottenere con una sola domanda tutte le autorizzazioni connesse a un
    intervento edilizio, incluse quelle eventualmente in
    sanatoria;
  • digitalizzazione integrale: interoperabilità delle banche dati,
    istituzione del fascicolo digitale delle costruzioni e progressiva
    attuazione di un’anagrafe edilizia nazionale;
  • definizione dei condoni pendenti: fissazione di tempi e
    modalità per chiudere le pratiche ancora sospese dei tre condoni
    edilizi (1985, 1994, 2003), imponendo una data certa per la
    conclusione delle istruttorie e l’adozione dei provvedimenti.

Il filo conduttore è quello di trasformare la gestione del
procedimento edilizio da percorso frammentato a sistema integrato,
digitale e con tempi garantiti, riducendo drasticamente margini di
discrezionalità e ritardi.

Illeciti e forme di sanatoria

La delega affronta anche uno dei nodi più complessi del sistema
edilizio: la disciplina degli interventi realizzati senza titolo o
in difformità. L’obiettivo è costruire un quadro nazionale chiaro e
proporzionato, capace di superare l’attuale giungla
interpretativa.

I principi fissati sono molteplici:

  • classificazione unitaria delle difformità edilizie: individuare
    tipologie standard, comprensive anche delle tolleranze costruttive,
    con soglie quantitative e qualitative oggettive e misurabili;
  • distinzione tra abusi sanabili e insanabili: in base alla
    natura, all’entità e all’epoca di realizzazione, con la possibilità
    di regolarizzare alcune difformità attraverso titoli in
    sanatoria;
  • semplificazione delle procedure di sanatoria: prevedere
    modalità snelle, anche ridisegnando il principio della doppia
    conformità per gli abusi realizzati prima del 1967, con eventuale
    obbligo di interventi di messa in sicurezza o adeguamento
    tecnico;
  • regimi sanzionatori proporzionati: calibrati sulla gravità
    della violazione, sul valore delle opere e sulla tutela di beni
    culturali e paesaggistici;
  • ripristino per gli abusi insanabili: procedure chiare e
    responsabilizzanti per i proprietari, volte a ridurre gli oneri
    delle amministrazioni e a garantire l’effettività delle
    demolizioni;
  • agevolazioni fiscali: vietate per gli abusi insanabili, ammesse
    solo per quelli regolarizzabili e comunque subordinatamente al
    conseguimento del titolo in sanatoria;
  • abusi in zona sismica: previsione di procedure specifiche per
    regolarizzare difformità minori che non incidano sulla stabilità,
    anche con il supporto di strumenti come silenzio-assenso e
    silenzio-devolutivo;
  • acquisizione al patrimonio comunale: regolamentata in modo
    conforme alla giurisprudenza sovranazionale per i casi di
    inottemperanza agli ordini di demolizione;
  • lottizzazioni abusive: disciplina rivista con garanzia del
    contraddittorio e sanzioni proporzionate.

In sintesi, la delega punta a trasformare il sistema delle
sanzioni edilizie da un mosaico incerto e disomogeneo a un quadro
unitario, proporzionato e orientato alla regolarizzazione quando
possibile, ma al tempo stesso rigoroso verso gli abusi gravi e
insanabili.

Specifici criteri di delega

Il disegno di legge delega contiene anche una serie di principi
mirati, destinati a incidere su aspetti concreti della disciplina
edilizia.

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In primo luogo, viene affrontato il tema del mutamento di
destinazione d’uso: l’obiettivo è introdurre regole nazionali
uniformi, capaci di semplificare le procedure e garantire certezza
operativa. La logica è quella della proporzionalità: mutamenti
senza opere soggetti a regimi più snelli, mentre quelli con opere
edilizie o in sanatoria seguono percorsi più strutturati. Viene
inoltre valorizzato il principio di indifferenza funzionale tra usi
omogenei all’interno del tessuto urbanizzato, pur lasciando agli
enti locali la possibilità di fissare condizioni aggiuntive per
contrastare degrado e favorire uno sviluppo equilibrato.

Altro nodo centrale riguarda l’onerosità degli interventi
edilizi. La delega punta a ridefinire criteri e modalità di
determinazione dei contributi, inclusi i contributi straordinari,
in una logica più equa e incentivante. Obiettivo dichiarato:
favorire gli interventi di rigenerazione urbana e riduzione del
consumo di suolo, rendendo al tempo stesso più chiare le modalità
di versamento, riscossione ed eventuale esonero.

Il ddl interviene anche sulla disciplina dell’agibilità, da
tempo fonte di incertezze: si prevede un riordino delle regole
sulla segnalazione certificata, con chiarezza su termini, oggetto e
documentazione necessaria.

Non manca la revisione della normativa sui poteri di vigilanza,
da semplificare e rendere più chiara, soprattutto per le opere di
competenza statale o di interesse nazionale, senza trascurare il
coordinamento con la disciplina sui beni culturali.

Infine, è prevista una disciplina ad hoc per l’attività edilizia
delle pubbliche amministrazioni e per gli interventi da realizzarsi
su aree del demanio statale, riconoscendo la peculiarità di tali
operazioni e la necessità di regole differenziate.

Rigenerazione urbana

Un capitolo centrale della delega è dedicato alla rigenerazione
urbana, concepita come priorità per il futuro dell’attività
edilizia. L’idea di fondo è quella di spostare l’attenzione dalla
nuova edificazione al recupero del patrimonio esistente, favorendo
sicurezza, sostenibilità e qualità degli insediamenti.

Il ddl prevede:

  • la possibilità di introdurre soglie derogatorie rispetto ai
    limiti ordinari di altezza, distanza e densità edilizia, sempre nel
    rispetto delle distanze minime del Codice civile e della tutela dei
    beni storici e culturali;
  • premialità volumetriche e incentivi urbanistici legati alla
    demolizione di opere incongrue, all’eliminazione di elementi di
    degrado e alla realizzazione di interventi che migliorino la
    qualità urbana, paesaggistica, energetica e ambientale, con un
    ruolo attivo delle Regioni nel definirne le modalità;
  • semplificazioni procedurali per i mutamenti di destinazione
    d’uso funzionali al recupero edilizio, accompagnate da criteri
    proporzionati per la determinazione degli oneri e dalla
    possibilità, nei casi di preminente interesse pubblico, di
    utilizzare temporaneamente edifici o aree per usi diversi da quelli
    pianificati;
  • una serie di misure per favorire la riqualificazione e la
    sostituzione edilizia, con particolare attenzione a:

    • interventi di efficientamento energetico e installazione di
      impianti da fonti rinnovabili;
    • eliminazione delle barriere architettoniche;
    • manutenzione ordinaria e straordinaria con materiali di
      recupero e coperture a verde;
    • installazione di sistemi per il recupero delle acque
      meteoriche.

In questo modo, la rigenerazione urbana viene intesa non solo
come recupero edilizio, ma come leva per la trasformazione
sostenibile delle città, con strumenti di incentivazione e regole
più semplici per chi investe in qualità architettonica, ambientale
e sociale.

Costruzioni

Il disegno di legge delega prevede anche una revisione organica
della disciplina sulle costruzioni, con l’obiettivo di aggiornare
le regole tecniche e rafforzare i requisiti di sicurezza,
sostenibilità e accessibilità.

I principali punti riguardano:

  • armonizzazione normativa: riordino sistematico delle
    disposizioni esistenti, per garantire l’affidabilità delle opere in
    relazione ai diversi livelli di rischio;
  • zonazione sismica: definizione di criteri uniformi a livello
    nazionale, con disciplina applicativa regionale e integrazione
    obbligatoria nella pianificazione urbanistica, stabilendo tempi e
    modalità per il rilascio dei pareri;
  • classi di rischio: introduzione, anche in allegati
    regolamentari, di categorie riferite a specifiche sorgenti di
    pericolo, così da classificare in maniera chiara la vulnerabilità
    delle costruzioni;
  • ruoli e responsabilità: chiarificazione degli adempimenti
    tecnico-amministrativi di tutti i soggetti coinvolti (committenti,
    progettisti, direttori dei lavori, collaudatori, imprese);
  • vigilanza e collaudo: revisione degli strumenti di controllo e
    delle procedure di collaudo statico, con l’idea di rafforzare
    l’efficienza dei controlli anche attraverso forme di sussidiarietà
    che coinvolgano gli ordini professionali;
  • sostenibilità ambientale: riordino dei criteri di progettazione
    e costruzione in chiave green, includendo parametri come qualità
    acustica, gestione dei rifiuti da demolizione, utilizzo di
    materiali riciclati ed efficientamento energetico.

In sostanza, il ddl punta a creare un quadro aggiornato e
coerente per l’intero comparto delle costruzioni, capace di
integrare sicurezza strutturale e qualità ambientale con maggiore
chiarezza nei ruoli e nelle responsabilità.

Cosa manca (secondo me)

Benché l’art. 3 richiami il consueto iter per l’adozione dei
decreti legislativi (pareri del Consiglio Superiore dei Lavori
Pubblici, della Conferenza Unificata, del Consiglio di Stato, delle
Commissioni parlamentari), sappiamo bene che la prassi recente
insegna tutt’altro. L’esperienza del D.Lgs. n. 36/2023 (Codice dei
contratti) è lì a dimostrarlo: pareri richiesti, ascoltati e poi
completamente disattesi, senza alcuna reale incidenza sul testo
definitivo.

Ecco allora il vero punto debole di questa delega: il metodo di
lavoro. Non sappiamo chi materialmente scriverà il nuovo Testo
Unico, né se e come saranno coinvolti coloro che ogni giorno vivono
le difficoltà applicative della normativa edilizia. I
professionisti, i tecnici degli enti locali, le imprese: avranno un
ruolo vero in un tavolo di confronto, o si limiteranno alle solite
audizioni di facciata, buone solo a riempire i resoconti
parlamentari?

In più, il ddl tace completamente su un aspetto cruciale: il
periodo transitorio. Come si passerà dalle regole attuali a quelle
future? Come saranno gestiti i procedimenti pendenti, le pratiche
edilizie in corso, i condoni ancora aperti? Senza una disciplina
chiara del passaggio, il rischio è di paralizzare per mesi uffici
tecnici e cantieri.

Manca anche un vero impegno sul fronte della digitalizzazione:
si parla di fascicolo edilizio e anagrafe delle costruzioni, ma
senza standard tecnici vincolanti e senza garanzie di
interoperabilità reale tra catasto, sportelli unici, vincoli
ambientali e paesaggistici.

Infine, nessuna parola sulle Regioni e sulla necessità di un
allineamento progressivo dei regolamenti edilizi comunali: senza
una clausola di cedevolezza chiara, il risultato sarà l’ennesimo
mosaico di norme disomogenee, con la conseguenza che la
semplificazione rimarrà solo sulla carta.

Conclusioni

Sulla carta, questa delega sembra voler mettere ordine a decenni
di stratificazioni e contraddizioni normative. Ma se guardiamo al
metodo, il rischio è di assistere al remake di un film già visto:
il D.Lgs. n. 36/2023 (Codice dei contratti). Pareri acquisiti e
ignorati, professionisti e amministrazioni locali lasciati ai
margini, norme scritte nei ministeri e calate dall’alto senza reale
confronto.

Il Parlamento resta ridotto a un passaggio formale. I tecnici,
le imprese, i comuni non avranno alcuna voce effettiva, se non
nelle solite audizioni di facciata. E mentre si parla di
semplificazione, si lascia irrisolto il nodo più concreto: come si
passerà dalle regole di oggi a quelle di domani? Senza un
transitorio chiaro, gli uffici rischiano la paralisi e i cantieri
il caos.

Si annunciano fascicoli digitali e anagrafi delle costruzioni,
ma senza standard tecnici vincolanti resteranno slogan. Si parla di
livelli essenziali delle prestazioni, ma senza clausole di
cedevolezza le Regioni continueranno a produrre venti discipline
diverse.

La verità è semplice: così non si semplifica, si accentra. Non
si ordina, si confonde. Non si riforma, si costruisce l’ennesimo
corto circuito istituzionale, destinato a generare instabilità e
continue correzioni.

Perché non basta scrivere un nuovo Testo Unico: serve un metodo
democratico, partecipato, condiviso. E se questo metodo manca, la
riforma non nasce forte. Nasce già fragile.





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