«Non esiste etica senza economia e non può esistere economia senza etica. I due valori devono necessariamente e obbligatoriamente andare insieme»: è perentorio Daniele Damele, manager di lungo corso, presidente del Fasi – il fondo di assistenza integrativa dei dirigenti industriali – e prolifico pubblicista e saggista.
Che ha da anni dedica un’apprezzata rubrica sul mensile della Camera di commercio Pordenone-Udine, Up!Economia, al tema della coabitazione di etica ed economia nello stesso “portafoglio” di valori che un uomo d’impresa deve portare con sé.
Questa rubrica è appena sfociata in una raccolta ragionata nel saggio “Etica ed economia”. In contemporanea Damele ha anche dato alle stampe un secondo volume, intitolato “Fair Play”. Due saggi su due temi complementari. Due saggi che attestano la riconosciuta convinta vocazione “formativa” dell’autore.
Presidente Damele, partiamo dall’etica dell’economia: come mai questo focus?
Non è una scelta di oggi, lavoro sul tema da parecchi anni. Io dico che, come una coppia che si tiene per mano riesce meglio a percorrere il suo cammino in maniera adeguata e idonea, talvolta trainando l’una talvolta l’altro, così l’economia ha bisogno di spinte e slanci di natura etica, e l’etica deve tener conto delle ragioni dell’economia, mantenendo sempre l’equilibrio tra i due aspetti. E allora il cammino sarà sempre illuminato e prezioso e sempre di gran utilità.
Ma non c’è conflitto tra l’etica d’impresa e la ricerca permanente di competitività?
Dipende dagli obiettivi. Il profitto non è parolaccia, anzi; ma dipende dai valori che ognuno si pone. Se il valore, l’obiettivo che ci ispira, è quello di fare profitti a tutti i costi e non tenere in minima considerazione quelli che sono altri aspetti importanti oltre il profitto; se in nome del profitto l’imprenditore sceglie, ad esempio, di andare su mercati e Paesi in cui il costo della manodopera è ridicolo, guadagnerà certamente un po’ di più che osservando le regole, ma non terrà in considerazione il rispetto per il valore del lavoratore, e ciò gli si ritorcerà contro.
Se invece l’obiettivo è condividere scelte e valori con la manodopera, corrispondendo stipendi adeguati, facendo crescere l’economia di tutto il sistema, anche a costo – magari – di rinunciare a un pezzetto di utile, continuando ad esempio a produrre in Italia nel rispetto dei contratti di lavoro italiani, ecco: questo significa garantire profitto e sostenibilità. Lo Stato, si sa, in fatto di welfare deve fare di più e meglio, ma ognuno di noi deve e può applicare i suoi valori etici, nella parte che gli spetta…
E il fair play? Sembra un sottinsieme dell’etica…
Anche quello del fair play è un valore. Significa giocare con lealtà, rispettando le regole. Bisogna avere delle regole e rispettarle. Certo, di volta in volta è lecito chiedersi se quelle regole sono giuste o meno. Per esempio, il rispetto dell’altro vuol dire riconoscerne la libertà come limite per la propria.
Un esempio?
Io non do giudizi su chi vive scelte e situazioni diverse e complesse, a tutti i livelli, compreso quello sessuale. Ciò che dico è però che non si può imporre una determinata cultura, lecita per chi la vive, come cultura dominante che affianca alla pari quella ispirata dal rispetto per la natura. Scelte diverse a livello privato vanno rispettate sotto tutti i punti di vista.
Ciò su cui ci si deve interrogare, e porre limiti, è quando questo rispetto tracima in forme di imposizione pubblica… Per esempio, secondo me, se la natura ha permesso che la procreazione avviene tra uomo e donna, è posto un limite naturale; andare verso altri modelli e imporli significa violarlo.
Come inserisce queste visioni nelle nuove forme di coinvolgimento dei lavoratori all’interno dell’impresa previste dalla legge appena approvata?
Sono forme importanti, direi fondamentali. Dobbiamo partire dal concetto che l’imprenditore senza lavoratori non esiste e viceversa. Quindi è evidente che bisogna avere un pieno coinvolgimento dei lavoratori anche nelle scelte che le aziende devono fare. Ho in mente persone che hanno acquisito esperienze straordinarie e non possono essere non considerate, e invece…
La meritocrazia, purtroppo, nel mondo non è ancora abbastanza tenuta in considerazione, è un convitato di pietra. Ci sono tanti lavoratori che hanno grandi meriti che restano senza un adeguato riconoscimento. Ci riempiamo la bocca di enunciati sterili, ripetiamo che dobbiamo andare a favorire giovani e donne, garantire i disabili, rispettare la meritocrazia, ma poi quasi nessuno va oltre e si chiede quanta strada ha effettivamente compiuto in questa direzione. È stato assunto, è stato promosso un disabile, è stata promossa una donna? E lo si è fatto solo per rispettare formalmente le quote di genere o anche perché quelle persone erano adatte e meritevoli in assoluto?
Questa correttezza sostanziale è qualcosa che dopo 40 anni di lavoro non ho mai visto applicare ed è un fallimento del sistema. Su questo fallimento bisognerebbe seriamente interrogarsi per riuscire a sanarlo, ma mi chiedo se ci sia la volontà di farlo. Per ora non l’ho ancora trovata. Ognuno, facendo il suo pezzetto di percorso vivrebbe una svolta epocale e bella, una svolta che porterebbe a un profitto generalizzato e a un operoso benessere collettivo.
Nel suo ruolo di presidente del Fasi come declina questi principi?
È semplice, perché sono gli stessi principi fissati dallo Statuto del Fasi, e applicati allo scopo statutario, che è garantire rimborsi sanitari ai propri assistiti. Abbiamo oltre 100 mila iscritti e oltre 300 mila assistiti, inclusi i familiari, ossia coniugi e figli fino a 26 anni.
La nostra mission è garantire che il Fasi possa erogare assistenza sanitaria integrativa oggi, domani e dopodomani. L’abbiamo fatto negli ultimi anni con oltre 400 milioni di rimborsi all’anno, intendiamo continuare, operando una revisione continua del tariffario, del nomenclatore migliorando tutte le voci che possono essere migliorate, continuamente, per venire incontro alle esigenze dei nostri assistiti, e puntando fortemente alla prevenzione, perché più garantiamo la prevenzione, più garantiamo l’invecchiamento in salute.
L’età media si sta allungando, ma spesso si invecchia in malattia: bisogna invertire questo trend e cercare di invecchiare in salute, la prevenzione è il metodo per riuscirci, e noi la promuoviamo e sosteniamo in tutti i modi, anche rivolgendoci al privato e rimborsandone i costi, purché sia una prevenzione di qualità.
Nel senso?
Nel senso che se uno screening viene attuato, come capita a volte, con macchinari obsoleti, che non siano di ultima o almeno penultima generazione, è uno screening che non serve a nulla, perché riesce, sì, a individuare l’insorgenza ad esempio di un tumore, ma non in uno stadio molto precoce da essere stroncato. Ecco, vorrei che questa esigenza di adeguatezza degli apparecchi e delle metodiche fosse al centro dell’attenzione della pubblica amministrazione sanitaria.
Etica nella pubblica amministrazione, etica dell’attività finanziaria: sono due dei temi che lei tratta.
Sì, sono convinto che per permettere alle imprese e ai lavoratori di essere etici e perseguire profitto e benessere, la finanza – intesa come mercato finanziario, del credito e dei finanziamenti – e la Pubblica Amministrazione debbano essere al servizio delle imprese e non viceversa. Eppure, dopo un’esperienza ultra trentennale nella Pubblica Amministrazione, ho pubblicamente ammesso, in interviste e convegni, che sento di aver fallito una parte della mia attività. Quale?
Quella in cui ho cercato senza riuscirci di convincere tutti i miei colleghi e collaboratori di un concetto per me fondamentale: i pubblici funzionari e la finanza e il credito devono sentirsi ed essere come dei “camerieri del mercato e dell’impresa”. Io ho fatto il cameriere da ragazzo, e so che cosa vuol dire, è un lavoro importante e nobile, il cameriere ti serve e ti permette di deliziarti a tavola. Allo stesso modo i dipendenti pubblici e la finanza debbono essere i camerieri del mondo privato.
Primo, perché il privato, pagando le tasse, paga gli stipendi dei dipendenti dello Stato; secondo, perché se il privato funziona, e bene, anche lo Stato funziona bene. Se questa mentalità si affermasse, si diffondesse, vivremmo una svolta epocale. Se dobbiamo pagare delle fatture per dei servizi resi dai privati e lo facciamo prima anzichè dopo, mettiamo in circolo danaro e agevoliamo un elemento propizio a una produzione competitiva, reale e corretta. Ecco: speriamo in questa svolta, non demoralizziamoci.
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