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L’Europa divisa dall’IA: ecco dove le imprese la usano davvero


L’Unione Europea ha fissato obiettivi ambiziosi con il programma Digital Decade 2030: entro quella data, almeno il 75% delle imprese dovrà aver adottato servizi cloud, big data o intelligenza artificiale. Ma quanto siamo lontani da questo traguardo e, soprattutto, come si distribuisce l’uso dell’IA dentro i confini dell’Unione?

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Una recente ricerca pubblicata su Telecommunications Policy (Vicente, Álvarez-Rodríguez, Suárez-Álvarez, 2025) propone per la prima volta una mappatura regionale dell’adozione dell’intelligenza artificiale nelle imprese europee, basata su dati Eurostat 2024 e su un’elaborazione statistica avanzata.

Il valore aggiunto di questo studio è duplice: da un lato, permette di osservare le differenze non solo fra Paesi ma anche all’interno degli stessi; dall’altro, chiarisce che il vero discrimine oggi non è più l’accesso tecnologico, ma la capacità d’uso delle tecnologie digitali pregresse, quelle che costituiscono la base su cui si innesta l’IA.

Le performance regionali nell’adozione dell’intelligenza artificiale

I risultati sono netti. Le regioni danesi e belghe sono complessivamente le più avanzate nell’utilizzo dell’IA: Midtjylland (Danimarca) ottiene il punteggio più alto nell’indice sintetico calcolato dagli autori (3,38), seguita da Bruxelles-Capitale (2,94) e da altre regioni della Danimarca come Sjælland (2,25). Anche la città di Vienna e la Slovenia occidentale si collocano nelle prime dieci posizioni.

All’estremo opposto, quasi tutte le regioni rumene occupano il fondo della classifica, con punteggi inferiori a -1 (Sud-Est -1,39; Nord-Ovest -1,31; Sud-Ovest Oltenia -1,39), insieme a diverse aree bulgare e alla città autonoma di Melilla in Spagna (-1,27). È un quadro che mette in evidenza uno squilibrio non solo tra Est e Ovest, ma anche fra centri urbani avanzati e territori periferici.

Un dato meno intuitivo emerge se si guarda alle differenze interne: Danimarca e Belgio presentano le maggiori disparità regionali, con scarti notevoli fra le diverse aree, pur tutte sopra la media europea. Romania e Ungheria, al contrario, risultano più omogenee, ma perché tutte le regioni mostrano valori molto bassi di adozione.

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L’importanza delle competenze digitali pregresse

Uno degli elementi centrali dello studio riguarda la relazione fra digitalizzazione pregressa e adozione di IA. La ricerca dimostra che non esiste più una correlazione significativa con la disponibilità di accesso a internet o con gli esiti in termini di vendite online. Al contrario, ciò che pesa davvero è l’uso già diffuso di strumenti digitali come ERP, CRM, cloud computing e business intelligence. Dove queste pratiche erano già consolidate, l’adozione di IA è oggi sensibilmente più alta.

Per esempio, nelle regioni con valori elevati di utilizzo del cloud e di software gestionali, l’indice sintetico sull’IA raggiunge punte positive; laddove, invece, queste competenze erano deboli, l’IA non attecchisce, anche in presenza di infrastrutture di rete comparabili. È un dato che conferma come la cosiddetta “seconda dimensione del digital divide” – l’uso e le competenze – sia oggi più decisiva della prima, l’accesso.

Dinamiche territoriali: cooperazione e competizione

Un’altra osservazione interessante riguarda le dinamiche spaziali. I ricercatori hanno utilizzato modelli econometrici per studiare gli effetti dei territori confinanti, e hanno trovato due tendenze complementari. Da un lato, esistono spillover positivi: se le regioni vicine adottano l’IA, aumenta anche la probabilità che lo faccia la regione osservata.

Dall’altro, c’è un effetto di competizione: quando i vicini mostravano in passato un uso molto alto di strumenti digitali, oggi la regione tende a restare indietro nell’IA. La spiegazione plausibile è la competizione per risorse scarse come forza lavoro qualificata, infrastrutture avanzate e servizi specializzati.

Questo elemento suggerisce che la vicinanza geografica può essere tanto un vantaggio (circolazione di conoscenze e buone pratiche) quanto un rischio, se porta alla concentrazione dei benefici in pochi poli.

Il caso italiano e la mancanza di dati regionali

L’Italia, come altri grandi Stati membri, non fornisce ancora dati disaggregati a livello regionale nell’indagine Eurostat. Nel rapporto, il Paese compare solo come media nazionale, e si colloca sotto la media europea con un punteggio negativo (-0,37). È un valore che, pur non sorprendendo, conferma una situazione di ritardo complessivo nell’adozione dell’IA da parte delle imprese.

La mancanza di dati regionali impedisce di cogliere appieno le dinamiche interne, ma è plausibile ipotizzare, per analogia con altri Paesi, la presenza di forti squilibri territoriali. È difficile immaginare che la Lombardia o l’Emilia-Romagna abbiano lo stesso livello di adozione dell’IA della Calabria o del Molise. Inoltre, anche la differenza fra grandi città metropolitane – Milano, Roma, Torino – e aree interne o rurali è verosimilmente molto marcata.

L’assenza di indicatori puntuali è di per sé un problema politico, perché impedisce di orientare in modo mirato le politiche pubbliche, dal PNRR ai programmi di coesione. Senza misurazioni regionali precise, si rischia di concentrare risorse dove c’è già capacità di assorbimento, alimentando così le disparità.

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Implicazioni etiche e sfide per la coesione europea

Dietro le cifre si nasconde una questione che non è solo economica. Se l’IA si diffonde solo nelle regioni già forti, rischia di accentuare ulteriormente le disuguaglianze sociali ed economiche all’interno dell’Unione. È un rischio riconosciuto anche dal legislatore europeo: il Regolamento sull’IA (AI Act, 2024) sottolinea l’importanza di evitare “impatti territoriali asimmetrici” e di garantire che tutte le regioni possano beneficiare della trasformazione digitale.

Lo studio dimostra che senza interventi mirati le disuguaglianze tenderanno ad aumentare, perché l’IA non colma i divari esistenti ma si innesta sulle basi già solide. Da qui la necessità di politiche più attente alla dimensione territoriale: rafforzare l’uso digitale nelle PMI delle regioni in ritardo, sostenere reti di collaborazione interregionali, favorire la circolazione di competenze e capitali umani.

Per l’Italia, questo significa non limitarsi a favorire i distretti già avanzati, ma costruire condizioni di diffusione anche nelle aree meno digitalizzate, pena l’allargamento del divario interno.

Verso una strategia di riequilibrio territoriale

La ricerca di Vicente e colleghi conferma che l’“AI divide” non è un rischio futuro, ma una realtà già in corso. Non riguarda solo il confronto con Stati Uniti e Cina, ma attraversa l’Unione dall’interno, generando differenze fra regioni, città e aree periferiche.

Se l’innovazione segue percorsi già tracciati, il compito delle politiche europee e nazionali è di interrompere questa traiettoria, creando le condizioni perché l’IA diventi un fattore di coesione e non di ulteriore frammentazione.

Dunque, la posta in gioco non è soltanto la competitività economica, ma la capacità della stessa Europa di mantenere una coesione sociale che non lasci indietro interi territori.

Le regioni europee più e meno avanzate nell’uso dell’IA (2024)

Regioni con maggiore adozione Indice Regioni con minore adozione Indice
Midtjylland (DK04, Danimarca) +3,39 Sud-Est (RO22, Romania) −1,39
Bruxelles-Capitale (BE1) +2,94 Sud-Ovest Oltenia (RO41, Romania) −1,39
Sjælland (DK02, Danimarca) +2,26 Nord-Vest (RO11, Romania) −1,31
Vlaams Gewest (BE2, Belgio) +1,98 Melilla (ES64, Spagna) −1,28
Finlandia (FI, dato nazionale) +1,93 Severozapaden (BG31, Bulgaria) −1,00

Fonte: Vicente et al., 2025, elaborazione su dati Eurostat



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