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Legge sull’intelligenza artificiale: “Ecco cosa ne pensa Chat GPT e perché non bisogna temerla”


La legge sull’intelligenza artificiale approvata dal Senato entrerà in vigore il 10 ottobre e assegna al governo il compito di regolamentare l’uso dell’IA o AI. La norma promuove l’uso “corretto, trasparente e responsabile” dell’intelligenza artificiale, secondo una visione antropocentrica. Ma il dibattito su intelligenza artificiale e pensiero critico resta. Nella frenetica corsa globale allo sviluppo di IA sempre più potenti, la questione sembra ridursi al timore, fondato o meno, che questa tecnologia possa annullare la nostra capacità di ragionare e valutare. 

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Semplificazione estrema di un tema che in realtà apre scenari molto più interessanti quando se ne discute in termini di opportunità e non solo di rischi o svantaggi. Perché si ha paura dell’intelligenza artificiale? Chi sta ingabbiando chi? Partitaiva.it ne parla con Giovanna Panucci, avvocata esperta in privacy e protezione dei dati personali.

L’avvocata Giovanna Panucci

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Intelligenza artificiale e pensiero critico, chi vince la partita?

“Il pensiero critico è un compito squisitamente umano – esordisce l’avvocata Panucci -. L’intelligenza artificiale elabora dati, ma non pensa. Non ha vissuto esperienze, non comprende il peso delle scelte, né risponde delle conseguenze. Può analizzare migliaia di documenti in un istante, ma non sa distinguere quali informazioni siano davvero rilevanti in specifici contesti sociali, etici o politici”.

Ma è lecito il timore che l’intelligenza artificiale possa “sostituire” il pensiero critico umano? Solo in parte – risponde l’esperta -. Capisco la preoccupazione diffusa, ma preferisco vedere il bicchiere mezzo pieno. Paradossalmente, l’intelligenza artificiale ben utilizzata ci obbliga a riattivare proprio quel pensiero critico che rischiavamo di perdere. Ci spinge a chiederci: ‘Perché dovrei fidarmi di questa risposta? Quali sono le fonti? Ha senso nella mia situazione specifica?’”

Nei corsi che tiene, Panucci vede una dinamica molto chiara: quando si lavora sui modelli generativi, la discussione non si ferma al “giusto o sbagliato”, ma diventa un laboratorio di metodo, fonti e conseguenze pratiche. “È come se l’IA facesse da specchio – spiega – obbligandoci a tornare al nocciolo del ragionamento critico. Non è la tecnologia a minacciare il pensiero umano, ma la tentazione di spegnerlo e delegare tutto. Se invece la usiamo con consapevolezza, può diventare una scintilla che lo riaccende”. Ecco, dunque, come l’intelligenza artificiale aiuta l’uomo.

I rischi per l’uomo e la legge sull’intelligenza artificiale: cosa ne pensa ChatGPT

Sette provvedimenti attuativi da approvare in dodici mesi per normare l’IA: ecco il grande lavoro che attende il legislatore italiano il cui compito sarà quello di concentrare in poche norme principi, confini e limiti di utilizzo di una tecnologia la cui evoluzione sta procedendo a passo spedito riservando sorprese di continuo.

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La legge delega sull’intelligenza artificiale appena varata dal Senato è nata dall’esigenza di scongiurare il timore che l’uomo non venga sostituito dalle macchine. Sorprendenti, a tal proposito, sono i risvolti dell’esperimento, chiamiamolo così, condotto dall’avvocata Panucci che ha interpellato ChatGPT a proposito del nuovo provvedimento legislativo.

Chi sta ingabbiando chi?

A Panucci abbiamo chiesto quali sono le sue considerazioni sulle risposte ricevute.Ciò che mi ha colpito – chiarisce – non è stata tanto la correttezza tecnica delle risposte, visto che era prevedibile che l’IA offrisse un riassunto critico della normativa, quanto il fatto che, quasi tra le righe, mi ha posto un quesito stimolante: chi sta ingabbiando chi?”

“Quando normiamo l’IA, stiamo davvero imponendo limiti alla tecnologia o rischiamo di costruire una gabbia per noi stessi, riducendo la nostra capacità di sperimentare e immaginare scenari migliori?”, si chiede l’avvocata, secondo cui questa prospettiva ribalta il tema: non si tratta solo di “controllare” l’algoritmo, ma di decidere quale società vogliamo costruire attorno ad esso. È un invito scomodo ma necessario a chiederci quando preferiamo il controllo alla comprensione, quando scegliamo la paura invece dell’immaginazione. “Per me, l’essenza è questa: utilizzare l’IA come opportunità per elevare il nostro pensiero critico e promuovere regole che responsabilizzino senza paralizzare (trasparenza, accountability, sperimentazione vigilata), così da liberarci dalla paura e diventare capaci di governare l’innovazione”, conclude Panucci.

Panucci: “Mancano sandbox regolatorie e formazione”

Secondo Panucci, la vera sfida non è scrivere regole, ma formularle in modo che non diventino un recinto limitante. “In Italia e in Europa – chiosa l’esperta – abbiamo una tendenza culturale precisa: partiamo quasi sempre dal rischio, raramente dall’opportunità. Questa posizione ha certamente il suo valore perché ci protegge, ma rischia di trasformarsi in paura paralizzante anziché in prudenza costruttiva”.

Sulla legge sull’intelligenza artificiale, si poteva fare di più dando più spazio agli “spazi controllati”, cioè sandbox regolatorie, laboratori dove enti pubblici e imprese possono sperimentare soluzioni di IA sotto la supervisione di autorità indipendenti. “Non si tratta di utilizzare la tecnologia senza regole – chiarisce l’avvocata – ma di identificare rischi concreti anziché limitarsi a quelli teorizzati nei documenti. Le norme migliori, infatti, non nascono dalla teoria ma dall’esperienza diretta”.

C’è però un aspetto ancora più decisivo: la cultura digitale. “Regolare senza formare è come scrivere il codice della strada senza offrire scuole guida. Le regole esisterebbero, ma nessuno saprebbe applicarle efficacemente. L’IA non va ingabbiata, ma incanalata, resa trasparente e comprensibile. Solo così possiamo tutelare i cittadini senza ostacolare l’innovazione”, continua. Non un percorso semplice, sicuramente, ma che ci porterebbe finalmente a cambiare prospettiva: non più osservatori diffidenti ma utilizzatori consapevoli.

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Intelligenza artificiale, i vantaggi e le applicazioni che funzionano

Panucci è convinta che più che sopravvalutare l’IA, stiamo fraintendendo il suo ruolo. “L’IA – sottolinea – eccelle in compiti specifici: analizza in pochi secondi enormi quantità di dati, individua schemi invisibili all’occhio umano e automatizza processi che richiederebbero giornate intere. Ma c’è qualcosa che non può fare: comprendere davvero. Non sa cosa significhi assumersi una responsabilità, non percepisce l’impatto di una decisione su una comunità, non conosce l’empatia o la creatività come atto libero e non predeterminato”.

Così descritta, l’IA si configura essenzialmente quale amplificatore. “Non genera intelligenza nuova – insiste Panucci – ma intensifica ciò che già portiamo dentro. Usata correttamente, ci libera dai compiti meccanici restituendoci tempo ed energie per ciò che sappiamo fare meglio: pensare creativamente, costruire relazioni e innovare con coraggio”. Dunque non un sostituto, ma un partner che ci permette di alzare lo sguardo oltre la routine quotidiana.

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Perché, allora, si ha paura dell’intelligenza artificiale? “Il problema nasce quando, affascinati dalla sua velocità e precisione, ci convinciamo che possa rimpiazzarci completamente. È una scorciatoia seducente ma pericolosa. Seguendo questa strada, rischiamo di ridurci a meri esecutori, mentre il vero valore umano risiede nell’opposto: nel dubbio, nell’intuizione, nella capacità di immaginare percorsi che nessun algoritmo potrebbe mai prevedere”, conclude.



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