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Il grande gap – Economy Magazine


È proprio vero che le buone notizie non fanno notizia. Tanto che, quando si parla di empowerment femminile, la cronaca economica italiana oscilla tra il déjà-vu e il “non ci siamo ancora”.

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Ma attenzione: questa volta, i dati non sono solo numeri, sono una sveglia. E la sveglia la suonano UN Women Italy, Deloitte e Winning Women Institute, che nel report “Empowerment femminile come leva strategica per la crescita aziendale e l’innovazione” ci mettono davanti a uno specchio… e, diciamolo, il riflesso non è sempre lusinghiero. Ma restiamo ottimisti, e soprattutto costruttivi.

Partiamo dal dato che fa più rumore: in Italia, solo il 52,5% delle donne tra i 15 e i 64 anni lavora, contro un 70,4% degli uomini. No, non è l’ennesima lamentela da “quote rosa”, è la fotografia di un Paese che, quando si tratta di talento femminile, preferisce lasciarlo in panchina.

E non è solo una questione di equità sociale o, come si diceva una volta, di “principi etici”: «Il tema del divario di genere rappresenta non solo un tema di equità sociale e anche di ovviamente un principio etico, ma rappresenta un driver strategico per garantire la sostenibilità e la competitività della nostra economia», incalza Silvana Perfetti, Chair di Deloitte Central Mediterranean.

«Pensiamo anche solo da un punto di vista occupazionale, il divario di genere contrae e ferma la crescita. Se dovessimo colmare anche solo parzialmente il divario nei paesi emergenti e in via di sviluppo, probabilmente avremmo, come il report ha dimostrato, un aumento del Pil dell’8%. Dovessimo riuscire a colmare completamente il divario di genere, il Pil avrebbe un balzo addirittura del 23%».

E qui, lasciatecelo dire: altro che fanalini di coda. Se la metà delle donne in Italia non lavora, è l’intero Paese a perdere. In soldoni: meno occupazione femminile, meno crescita, meno innovazione. E meno futuro. Ma chi sono le donne che restano fuori dal mercato del lavoro?

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Non solo quelle che “non ce la fanno”, ma anche – e soprattutto – quelle che si trovano a gestire carichi familiari sproporzionati: il 33,9% delle donne inattive indica le responsabilità familiari come principale ostacolo al lavoro, contro un misero 2,8% degli uomini. No: non è che le donne siano meno ambiziose. È che, tra le righe, l’Italia assegna ancora alle donne il ruolo di cura dei figli, e la società si adegua.

Nel frattempo, le donne si stanno facendo strada anche dove la strada è più accidentata: l’imprenditoria. Ma qui la notizia buona è che la notizia buona ancora non c’è: solo il 13,7% delle startup innovative in Italia è guidato da donne.

«Ci sono ancora ostacoli persistenti che frenano il progresso delle donne a livello globale, tanto sul piano culturale – pregiudizi e stereotipi di genere – quanto su quello economico, come politiche di welfare inadeguate e accesso al credito limitato», sottolinea Perfetti.

E non è tutto: il gender gap si fa doppio quando si parla di Stem e intelligenza artificiale. Le studentesse sono il 55,1% degli iscritti universitari nell’UE, ma scendono al 32,2% nei corsi Stem, al 27,5% in Ingegneria e al 20,6% in Ict. E qui il rischio è che le tecnologie del futuro – AI in testa – vengano progettate da un club esclusivo, dove il rosa è solo un dettaglio di design.

Eppure, la parità conviene: «La parità di genere è una leva fondamentale per innovazione e crescita sostenibile. In Italia, solo il 27,9% dei ruoli manageriali è occupato da donne, e appena il 13,7% delle startup innovative è guidato da una leadership femminile, sono dati che segnalano quanto potenziale resti ancora inespresso», commenta ancora Perfetti.

«Al tempo stesso, la presenza di almeno tre donne nei board aziendali è correlata a migliori performance finanziarie e a risultati Esg significativamente più elevati. Sono numeri che parlano chiaro: colmare il gender gap non è solo un obiettivo di equità, ma una priorità economica». 

E qui entra in scena Deloitte, non solo come osservatore ma come protagonista: «Attraverso il nostro centro Public Policy & Stakeholder Relations vogliamo contribuire a creare ecosistemi inclusivi, capaci di trasformare la parità di genere in infrastruttura strategica per lo sviluppo del Paese», dice la Chair di Deloitte Central Mediterranean. 

«L’empowerment femminile è un tema su cui siamo particolarmente sensibili», conferma Fabio Pompei, Ceo Deloitte Central Mediterranean. «È quasi spiacevole che, ancora oggi, si debba parlare di questi temi. Forse il termine ‘ancora’ sottolinea il ritardo in cui ci troviamo, un ritardo, dal mio punto di vista, indifendibile. Abbiamo fatto passi in avanti, ma c’è ancora molta strada da fare.

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Per me è una strada obbligata, dovuta dal punto di vista etico e da quello di una società civile: è imprescindibile garantire equità di genere. Sono convinto che le generazioni future – la Gen Z – non vivranno più questo tema come un problema, ma non possiamo aspettare che siano loro a raggiungere posizioni di leadership per ottenere cambiamenti radicali.

L’inerzia non porta cambiamenti: servono azioni, iniziative, connessioni tra tutti gli attori coinvolti. Le imprese devono fare la loro parte, le istituzioni devono collaborare, e ciascun individuo deve tradurre in comportamenti concreti quanto dichiarato. Ripeto: non è soltanto una questione etica o di civiltà, è anche una questione di competitività e produttività».

Ma torniamo ai numeri, perché qui il rischio è di farsi prendere dall’entusiasmo e dimenticare che la strada è lunga. In Europa, le donne rappresentano il 35% dei manager, ma l’Italia si ferma al 28%, con la parità nei Cda attesa – se va bene – nel 2038.

Nel frattempo, la Direttiva UE 2022/2381 impone alle società quotate di raggiungere entro il 2026 almeno il 40% di consiglieri non esecutivi o, in alternativa, il 33% di tutti i posti in board per il genere meno rappresentato. Sì, avete letto bene: serve una legge per ricordare che il talento non ha genere.

E se pensate che sia solo una questione di “quote”, vi sbagliate di grosso. Uno studio dell’Institute of Labor Economics mostra che una “massa critica” di almeno tre donne in Cda fa registrare un miglioramento significativo degli score Esg, in particolare nelle dimensioni ambientale e sociale. Tradotto: più donne nei board, più sostenibilità e più risultati.

Ma la domanda resta: come si passa dai principi alla pratica quotidiana? Il report insiste sul passaggio da “compliance” a “core strategy”: non basta “adeguarsi”, bisogna integrare la parità di genere nel Dna aziendale.

E qui le direttrici operative sono tre: formazione sui bias inconsci e recruitment inclusivo; flessibilità oraria, telelavoro e programmi di rientro post-congedo; allineamento dei percorsi di carriera a criteri gender-sensitive. Sembra facile, ma non lo è. Eppure, chi ci prova vince: le aziende che adottano queste pratiche trattengono più talenti, innovano di più e performano meglio.

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E se vi state chiedendo se le certificazioni servono davvero, la risposta è sì. «Le certificazioni come Uni/PdR 125:2022 e i Women’s Empowerment Principles offrono un set di Kpi verificabili che consentono di misurare i progressi e fungono da ‘segnale di mercato’.

Chi ottiene la certificazione comunica che i processi di governance sono stati rivisti alla luce di standard condivisi, riducendo l’asimmetria informativa fra impresa, mercato dei capitali e stakeholder», conferma Perfetti. Non solo: le aziende certificate attraggono investitori Esg e migliorano la propria reputazione.

Ma il vero salto arriva quando la parità diventa questione di cultura, non solo di regolamento. «Se la metà delle donne in Italia non lavora, è l’intero Paese a perdere. Serve un cambio di rotta già a scuola: tecnologie e intelligenza artificiale stanno ridisegnando le competenze e i mestieri del futuro», rimarca Darya Majidi, presidente di UN Women Italy.

«Se ben guidate e orientate, le ragazze hanno tutto il potenziale per guidare da protagoniste il cambiamento e conquistare la propria autonomia economica. È il momento di coltivare una mentalità digitale nelle giovani donne. Le imprese, dal canto loro, devono attivare politiche inclusive per valorizzare il merito e le competenze distintive delle donne e i Weps vanno esattamente in questa direzione». 

Nel frattempo, la partita si gioca anche sul terreno delle policy pubbliche: dalla riforma dei congedi parentali (nove mesi, di cui tre al 100% e sei al 30% dello stipendio, con appena dieci giorni obbligatori per i padri), ai programmi di finanziamento come il Gender Finance Lab di InvestEU, che mette sul piatto 700 miliardi di euro per colmare il divario finanziario di genere. E se vi sembra poco, pensate che la presenza femminile nei ruoli manageriali in Italia è cresciuta solo del 3,4% negli ultimi dieci anni. Altro che rivoluzione.

E Deloitte? Non sta a guardare. Il Public Policy & Stakeholder Relations Centre, lanciato nell’ottobre 2024, è la prova che le grandi aziende possono – e devono – essere motore di cambiamento.

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Il Centro produce Thought Leadership e Position Papers sui temi di grande interesse pubblico. Ambisce inoltre ad informare le discussioni nei contesti multilaterali più rinomati, rafforzando il posizionamento di Deloitte a livello nazionale e internazionale.

Ma chi l’ha detto che la parità è una battaglia persa? «Sostenere l’imprenditoria femminile è essenziale per promuovere l’innovazione inclusiva e sbloccare il potenziale economico non ancora sfruttato.

Oggi, solo il 13.7% delle startup innovative in Italia è guidato da donne, il che riflette le persistenti barriere strutturali – dall’accesso limitato ai capitali e alle reti, ai pregiudizi culturali profondamente radicati e al deficit di fiducia.

Per colmare queste lacune sono necessarie politiche mirate, una maggiore collaborazione tra pubblico e privato e un cambiamento culturale che consenta alle donne di partecipare pienamente all’imprenditoria e di espandere le loro società.

Attraverso la nostra partnership con UN Women Italia, continuiamo a impegnarci per creare ecosistemi favorevoli in cui il talento, la leadership e l’innovazione delle donne possano prosperare, a beneficio sia delle imprese che della società», dice Perfetti. E qui, davvero, chapeau.

Policy e strumenti

Certificazione UNI/PdR 125:2022: oltre 8.100 aziende certificate in 3 anni

Women’s Empowerment Principles (WEPs): standard ONU per la parità di genere in azienda

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Direttiva UE 2022/2381: almeno 40% di donne nei CdA delle società quotate entro il 2026

Gender Finance Lab (InvestEU): 700 miliardi di euro per PMI guidate da donne

Congedi parentali: 9 mesi di cui 3 al 100% e 6 al 30%, 10 giorni obbligatori per i padri



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