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150 aziende internazionali sono direttamente o indirettamente coinvolte con Israele


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Un database delle Nazioni Unite ha rivelato che più di 150 aziende internazionali sono direttamente o indirettamente legate agli insediamenti israeliani nei territori occupati

 

Ginevra/Ramallah – Un rapporto aggiornato dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani (OHCHR) ha portato alla luce un elenco di oltre 150 aziende  sia israeliane che internazionali – che mantengono legami diretti o indiretti con gli insediamenti israeliani nei territori palestinesi occupati, suscitando reazioni contrastanti nella comunità internazionale.

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Il documento, che aggiorna una prima versione pubblicata nel 2020, rappresenta il risultato di anni di monitoraggio da parte dell’ONU, e ha l’obiettivo di far luce sulle attività economiche che contribuiscono al consolidamento della presenza israeliana in Cisgiordania, Gerusalemme Est e sulle Alture del Golan siriane, aree considerate occupate secondo il diritto internazionale.


Attività economica e occupazione militare

Gli insediamenti israeliani nei territori palestinesi sono ritenuti illegali dal punto di vista del diritto internazionale, in particolare secondo la Quarta Convenzione di Ginevra, che vieta alla potenza occupante di trasferire la propria popolazione civile nei territori occupati. Tuttavia, a oggi, oltre 700.000 coloni israeliani vivono in più di 250 insediamenti e avamposti sparsi in Cisgiordania e Gerusalemme Est.

Il rapporto dell’ONU si concentra sul ruolo svolto dalle imprese – sia locali che multinazionali – che forniscono infrastrutture, servizi, materiali da costruzione, tecnologie di sorveglianza e mezzi logistici per il mantenimento e l’espansione degli insediamenti. Tra queste attività figurano:

  • Costruzione e manutenzione delle infrastrutture negli insediamenti;

  • Servizi di trasporto che collegano gli insediamenti con Israele;

  • Fornitura di attrezzature per la demolizione delle case palestinesi;

  • Attività turistiche nei territori occupati;

  • Sorveglianza e tecnologie di sicurezza usate nei checkpoint o lungo il Muro di separazione.


Le aziende coinvolte

Secondo il database, tra le oltre 150 aziende identificate ci sono compagnie internazionali di grande rilievo, tra cui alcune con sede in Stati Uniti, Europa e Asia. Anche se molte aziende sono israeliane  come banche, imprese edilizie o di trasporto  il rapporto elenca anche società straniere che operano in partnership con imprese israeliane o che traggono profitti diretti da attività economiche nei territori occupati.

Alcune delle aziende menzionate nel rapporto (tra cui nomi noti nel settore tecnologico, turistico e bancario) si sono difese sostenendo che le loro operazioni sono “neutrali” dal punto di vista politico e che non violano alcuna legge nazionale nei paesi in cui operano. Altre hanno annunciato revisioni interne delle proprie operazioni in Israele.


Reazioni contrastanti

Le reazioni al rapporto sono state fortemente divergenti. L’Autorità Palestinese ha accolto con favore la pubblicazione, definendola “una vittoria per il diritto internazionale e per la trasparenza”. Il ministro degli Esteri palestinese, Riyad al-Maliki, ha esortato la comunità internazionale a usare il database come base per adottare sanzioni economiche contro le imprese coinvolte.

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Israele, invece, ha respinto con fermezza l’iniziativa, accusando l’ONU di “parzialità cronica” e di promuovere una “lista nera” che danneggia l’economia israeliana. Il Ministero degli Esteri israeliano ha dichiarato che il rapporto “ignora il contesto storico, giuridico e politico della presenza israeliana in Cisgiordania”.

Anche alcune organizzazioni pro-Israele nei paesi occidentali hanno criticato il documento, sostenendo che equiparare attività economiche civili a crimini contro i diritti umani sia un abuso di mandato da parte dell’OHCHR.


Un precedente importante

Il rilascio del database si basa su una risoluzione del Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite del 2016, che chiedeva la creazione di una “base dati di tutte le imprese coinvolte in attività legate agli insediamenti”. La prima pubblicazione, nel 2020, elencava 112 aziende; l’elenco aggiornato del 2025 include ora oltre 150 nomi, segno che il fenomeno non solo non si è arrestato, ma si è intensificato.

L’Alto Commissario per i Diritti Umani, Volker Türk, ha sottolineato che il database non costituisce una sanzione, ma è uno strumento di trasparenza per informare governi, imprese e consumatori. “È fondamentale che i soggetti economici comprendano le implicazioni delle loro attività nei territori occupati,” ha dichiarato Türk. “I diritti umani devono essere un pilastro anche nel commercio internazionale.”


Possibili conseguenze legali ed economiche

La pubblicazione del database potrebbe avere ripercussioni significative sul piano legale ed economico. Diversi fondi pensione europei e istituzioni finanziarie internazionali hanno già adottato politiche di disinvestimento da aziende coinvolte in attività nei territori occupati.

In Norvegia, ad esempio, il fondo sovrano più grande del mondo ha escluso negli anni passati aziende attive negli insediamenti, sulla base di linee guida etiche. Anche alcune università e municipi in Europa stanno riesaminando le loro relazioni con imprese elencate nel nuovo database.


Verso una maggiore responsabilità aziendale

La questione evidenzia la crescente pressione sulla responsabilità delle imprese in scenari di conflitto e occupazione. Con l’avanzare delle normative sulla due diligence in materia di diritti umani – come la proposta direttiva dell’UE sulle imprese e la sostenibilità – le aziende potrebbero trovarsi legalmente obbligate a valutare e mitigare l’impatto delle loro attività in zone ad alto rischio.

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Il caso degli insediamenti israeliani rappresenta uno dei test più emblematici per questa nuova etica dell’impresa globale. Per le aziende coinvolte, il messaggio è chiaro: la neutralità non è più una giustificazione sufficiente quando si tratta di diritti fondamentali e diritto internazionale.


Una questione che divide, ma che non può essere ignorata

Il rapporto dell’ONU ha riacceso i riflettori su un tema spesso oscurato dalla complessità politica del conflitto israelo-palestinese. Mentre il processo di pace resta in stallo, l’espansione degli insediamenti continua a ridefinire i confini sul terreno, con un impatto profondo sulla vita quotidiana di milioni di palestinesi.

Il ruolo delle imprese e delle scelte economiche dei consumatori e dei governi  diventa sempre più centrale in un contesto in cui la diplomazia tradizionale sembra incapace di offrire soluzioni. L’elenco pubblicato dall’ONU, lungi dall’essere solo un documento tecnico, è un invito alla responsabilità e un segnale che la complicità, anche economica, non passerà più sotto silenzio.


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