Nella riforma dell’edilizia un ‘salva bonus’ per chi sana le difformità. Una norma che sa di condono e premia il passato illegale del mattone.
Un salvagente che assomiglia terribilmente a un condono. Nascosto tra le pieghe della bozza di riforma del Testo Unico Edilizia, allo studio al Ministero delle Infrastrutture, spunta un meccanismo che promette di “blindare” i bonus casa anche in presenza di abusi edilizi. La proposta, presentata come una norma di semplificazione per risolvere le incertezze burocratiche, nasconde in realtà una logica ben più controversa: sanare una piccola irregolarità edilizia permetterà di salvare le laute agevolazioni fiscali ottenute per lavori su quell’immobile. Un colpo di spugna retroattivo che, di fatto, premia chi ha costruito in difformità, legalizzando non solo l’abuso ma anche il beneficio fiscale che ne deriva. Una mossa che sa di amnistia e che rischia di creare un pericoloso precedente nel già fragile rapporto tra legalità e costruzione nel nostro Paese.
Cos’è il ‘salva bonus’ e perché sa di condono?
La proposta di legge delega per la riforma dell’edilizia intende riscrivere le regole fondamentali del settore, normate oggi dal Dpr 380/2001. All’interno di questo ambizioso progetto, si inserisce una norma apparentemente tecnica ma dall’impatto politico ed economico deflagrante. Il meccanismo è semplice: se un immobile presenta delle difformità sanabili – ovvero delle irregolarità che possono essere regolarizzate pagando una sanzione tramite una sanatoria – i bonus casa ottenuti per i lavori su di esso non potranno più essere contestati. La logica ufficiale è quella di fare chiarezza su un’area grigia. La lettura critica, però, è un’altra: si tratta di un condono fiscale mascherato. Si sta dicendo ai proprietari di immobili con abusi “minori” che non solo possono mettersi in regola, ma che, facendolo, salveranno anche decine di migliaia di euro di detrazioni fiscali. È una sanatoria su due livelli: uno edilizio e uno, ben più pesante, fiscale.
Qual è la differenza tra abusi sanabili e non sanabili?
La bozza di riforma del Testo Unico Edilizia traccia una linea di demarcazione che, nelle intenzioni del legislatore, dovrebbe servire da alibi contro le accuse di un “liberi tutti”. La norma, infatti, conferma con fermezza che gli interventi realizzati su abusi edilizi gravi e non sanabili – come un edificio costruito senza alcun permesso o con volumetrie completamente diverse da quelle approvate – restano tassativamente esclusi da qualsiasi tipo di agevolazione fiscale. Questa è la facciata di rigore. Il cuore del provvedimento, però, riguarda la vasta e indefinita prateria delle “difformità sanabili”. Si parla di quelle che vengono definite le “tipiche” irregolarità del patrimonio edilizio italiano: una finestra spostata, un balcone non del tutto conforme al progetto originale, piccole modifiche interne mai dichiarate. Il testo apre a queste situazioni, subordinando il salvataggio dei bonus casa all’ottenimento del titolo in sanatoria. La distinzione è netta sulla carta, ma nella realtà incentiva a far rientrare quante più irregolarità possibili nella categoria “sanabile” per accedere al doppio vantaggio: regolarizzazione dell’immobile e blindatura dei bonus.
Chi beneficia realmente di questa nuova sanatoria fiscale?
Sebbene la norma sia presentata come un aiuto indistinto a tutti i contribuenti per garantire la certezza del diritto, i veri beneficiari di questo “salvagente” sono una platea ben definita. Non si tratta del cittadino che ha sempre seguito pedissequamente ogni procedura e richiesto ogni autorizzazione. I principali avvantaggiati sono i proprietari di immobili che presentano una storia di irregolarità, spesso stratificate nel tempo, che costituiscono una fetta enorme del patrimonio edilizio nazionale. Si tratta di un regalo a chi, per scelta o per eredità, si trova con un immobile non perfettamente a norma. Inoltre, la norma rappresenta un enorme sollievo per imprese edili e professionisti, che vedono ridotto il rischio di contenziosi futuri legati a lavori eseguiti su edifici con difformità non rilevate in fase di analisi. È una mossa che va incontro a una vasta base elettorale e a potenti lobby di settore, mascherata da intervento tecnico.
Qual è la logica ufficiale e perché non convince?
Il Governo giustifica questa scelta con due argomenti principali: l’economicità dei controlli e la riduzione del contenzioso tributario. Secondo questa visione, per l’Agenzia delle Entrate sarebbe troppo complesso e oneroso effettuare verifiche edilizie di merito per contestare un bonus. Meglio, quindi, fissare una regola chiara a monte: se l’abuso è sanato, il bonus è salvo. Questa logica, tuttavia, è una palese ammissione di debolezza da parte dello Stato. Invece di potenziare gli strumenti di controllo per far rispettare le leggi esistenti, si preferisce modificare le leggi per adeguarle alla diffusa illegalità. È una resa. L’obiettivo di deflazionare il contenzioso è altrettanto problematico: si evitano le cause future semplicemente dando ragione a chi, secondo la legge attuale, avrebbe torto. È la definizione stessa di un’amnistia, che risolve un problema sacrificando il principio di legalità e di equità gegenüber a chi le regole le ha sempre rispettate.
Quali sono i rischi di un ‘liberi tutti’ mascherato da riforma?
L’introduzione di questo “salva bonus” all’interno della riforma edilizia rischia di innescare un pericoloso effetto a catena culturale e giuridico. Il messaggio che viene inviato ai cittadini e agli operatori del settore è devastante: violare le norme edilizie, commettere piccoli abusi, non è poi così grave, perché prima o poi arriverà una legge a sanare la situazione, consentendo persino di accedere a cospicue agevolazioni fiscali. Si crea un enorme azzardo morale, che incentiva un approccio lassista e mina alla base l’autorità delle normative urbanistiche comunali. Si promuove una cultura della “furbizia” e della sanatoria a posteriori, a discapito della pianificazione e della legalità preventiva. Una soluzione che potrebbe portare un beneficio politico nel breve termine, ma che rischia di infliggere una ferita profonda e duratura al principio di legalità nel settore edilizio, il vero pilastro su cui dovrebbe reggersi ogni seria politica di riqualificazione del patrimonio immobiliare del Paese.
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