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Lazio, crollano le nocciole e non si protegge il Lago di Vico (nonostante il Consiglio di Stato)


Che ne è stato della sentenza che, un anno e mezzo fa, stabiliva l’obbligo per la Regione Lazio di proteggere il Lago di Vico? A oggi, non se ne sa nulla. Contattati più volte, via e-mail e telefono, né l’ufficio stampa dell’assessorato all’Ambiente né alcun dirigente ha risposto. Sembra quasi che la questione non li riguardi. Eppure il Consiglio di Stato, a fine aprile 2024, dava sei mesi di tempo all’amministrazione per prendere i provvedimenti necessari a fermare il degrado ambientale dello specchio d’acqua, un’area protetta della rete Natura 2000.

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La principale fonte di inquinamento del lago deriva dalla coltivazione intensiva delle nocciole intorno alle sue sponde. Ma forse in questo momento la Regione è più impegnata a cercare i fondi a sostegno degli agricoltori, visto il crollo drammatico del raccolto, negli ultimi quattro anni. È la dimostrazione che insostenibilità ambientale ed economica sono sempre più legate, come sottolineano dal vicino Biodistretto della Via Amerina e delle Forre, sempre in provincia di Viterbo.

Una sentenza storica, ma ignorata

Francesco Maletto, avvocato della ong internazionale ClientEarth, ricorda che il Consiglio di Stato si è espresso con due sentenze sul Lago di Vico. I ricorsi sono stati portati avanti con Lipu. «Quella dell’ottobre 2023, sulle acque potabili, ordinava alla Regione di esercitare poteri sostitutivi elaborando un piano per prevenire il fenomeno di fioriture algali nel lago. L’ente ha adottato in effetti un provvedimento di esecuzione della sentenza, prevedendo però l’apertura di nuovi pozzi, aggirando quindi l’indicazione di intervenire sulla risorsa idrica. In sostanza sta evitando il problema».

La decisione della primavera 2024 sul degrado degli ecosistemi doveva produrre i suoi effetti già un anno fa. «Per quanto ne sappiamo, invece, non è stata intrapresa nessuna azione. Non sono state adottate misure adeguate. Parliamo di una sentenza passata in giudicato ed esecutiva. La Regione ha l’obbligo di ottemperare a quanto richiesto», continua Maletto. «Stiamo tenendo la situazione monitorata e, se sarà il caso, considereremo la possibilità di rivolgerci di nuovo al Consiglio di Stato. Il degrado evidente degli habitat, che si protrae da anni, dimostra l’inazione da parte dell’amministrazione».

L’importanza della sentenza sta anche nel fatto che si riferisce a misure ambientali di ampio respiro. Spiega l’avvocato: «L’azione legale che abbiamo portato avanti su questo fronte non è usuale: di solito viene utilizzata per atti molto più specifici, per esempio il mancato rilascio di un’autorizzazione. In questo caso, invece, si parla di misure per prevenire e contrastare il degrado di habitat protetti. Riconosce la presenza di un’attività agricola intensiva nell’area e l’obbligo di preservare il sito rispetto all’attività antropica che si sviluppa intorno al lago».

Il crollo della produzione

Già a fine luglio, tutte le organizzazioni di produttori di nocciole della provincia di Viterbo chiedevano misure straordinarie a sostegno del comparto. La gelata tardiva in primavera, l’ondata di calore di inizio estate, gli episodi di vento forte di agosto, l’attacco della cimice asiatica sono tra i fattori che hanno portato alla cascola precoce, cioè alla caduta in anticipo dei frutti, e all’elevata incidenza di nocciole vuote.

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Dall’analisi degli agronomi di Assofrutti, risulta che ad aver influito più di tutto è stato il caldo secco di giugno, che seguiva un maggio fresco e piovoso. Ora, a fine stagione, Assofrutti registra un crollo spaventoso: dai 450mila quintali del 2021, si è passati a 190mila quest’anno, con una perdita economica tra 50 e 60 milioni di euro. Si conferma l’andamento calante iniziato nel 2022, che finora è costato 150 milioni di euro. A farne le spese sono circa cinquemila aziende produttrici, che danno lavoro a diecimila persone, per 24mila ettari coltivati. La Regione Lazio sta lavorando per individuare i canali di sostegno economico per le aziende. Sono soprattutto gli impianti più vecchi a registrare i maggiori cali produttivi, dal 40 al 100%, sempre secondo Assofrutti. A penalizzarli, sono anni consecutivi di stress ambientali e fitosanitari.

Cercando una via d’uscita

Il Biodistretto della Via Amerina e delle Forre, che unisce un territorio rurale in cui l’agricoltura biologica rappresenta una scelta strategica condotta già da molti, esprime vicinanza e solidarietà ai produttori di nocciole. «Con loro, negli anni dell’abbondanza abbiamo discusso con energia sulla necessità della diversificazione, sulla sostenibilità dei sistemi di produzione e sulla trasformazione della materia prima», si legge in un comunicato stampa. «Oggi condividiamo le grandi preoccupazioni degli agricoltori e, con loro, ci interroghiamo sul che fare e sul come fronteggiare un’emergenza che rischia di essere letale». Descrivono la situazione della provincia viterbese come «drammatica e al pari tempo scandalosa», per l’assenza delle istituzioni ma, soprattutto, per la latitanza e il silenzio della Ferrero. «La Tuscia è il primo polo di produzione in Italia della nocciola, un’eccellenza della quale molti in passato si sono fatti vanto. Dove sono tutti costoro?». La via d’uscita, suggeriscono, sta nel «ragionare su una strategia capace di coniugare biodiversità, sostenibilità e qualità della produzione, proprio per riaffermare la vocazione agricola della nostra terra». 

In apertura, foto di Wolfgang Vrede su Unsplash

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