Il Digital Fairness Act rappresenta la nuova frontiera della regolamentazione europea per la protezione dei consumatori nell’ambiente digitale.
Mentre l’Unione Europea si impegna a ridurre la burocrazia e semplificare il quadro normativo, questa iniziativa solleva interrogativi sulla reale necessità di ulteriori strumenti legislativi.
Il contesto europeo di semplificazione normativa
Al divario di produttività dell’UE rispetto ai concorrenti globali contribuiscono diversi fattori, ora messi a fuoco dalle istituzioni europee, tra i quali:
- la frammentazione normativa,
- la farraginosità delle procedure (c.d. “red tape”) e
- la proliferazione di atti legislativi insieme all’applicazione troppo rigida del principio di precauzione.
Per invertire la marcia, l’Europa ha adottato, tra l’altro, la Dichiarazione di Budapest sul nuovo patto per la competitività europea (novembre 2024) e la Bussola per la competitività (gennaio 2025), proprio al fine di ridurre gli oneri di comunicazione del 25% per tutte le imprese e del 35% per le PMI, con un risparmio stimato di 37,5 miliardi di euro l’anno.
Anche la nuova Strategia per il Mercato Unico (maggio 2025) punta ad incidere la burocrazia, e al contempo ad incentivare gli investimenti e valorizzare uno spazio condiviso da 450 milioni di persone e 26 milioni di imprese. È in questo stesso quadro che si inserisce il Pacchetto Omnibus, teso a semplificare quattro direttive chiave sui consumatori.
Di recente, in senso apparentemente diacronico, la Commissione ha annunciato l’intenzione di avanzare un nuovo strumento, il Digital Fairness Act, per intervenire di nuovo sulle condotte online, a suo giudizio, non adeguatamente “coperte”dall’Artificial Intelligence Act (AI Act), dal Digital Services Act (DSA), dal Digital Markets Act (DMA) e dal Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR).
La consultazione pubblica e gli ambiti di intervento
Il 27 luglio 2025, la Commissione ha avviato una consultazione pubblica sul futuro Digital Fairness Act, aperta fino al 24 ottobre 2025.
L’iniziativa si inserisce nel contesto dell’European Digital Fairness Fitness Check (2024), dal quale sono emersi taluni ambiti “grigi” di comportamenti che allo stato rischiano di sfuggire ad uno scrutinio di legalità, quali i percorsi oscuri (dark patterns), le interfacce e i design che creano dipendenza, le funzionalità specifiche dei prodotti digitali (come loot box, valute virtuali e acquisti in-app), le pratiche sleali di personalizzazione, i comportamenti dannosi degli influencer, le forme di marketing ingannevole sulla determinazione del prezzo, le forme di gestione dei contratti digitali. La consultazione affronta inoltre questioni orizzontali per la tutela dei consumatori nell’ambiente digitale, tra cui la verifica dell’età per i minori e la revisione della definizione di “consumatore” per adattarla al nuovo contesto digitale.
L’obiettivo della Commissione è sfaccettato: verificare se sia utile introdurre nuove norme vincolanti per affrontare in modo più efficace le pratiche considerate particolarmente dannose per i consumatori, valutare in che misura favorire la più stringente armonizzazione delle regole e chiarire quali siano gli ulteriori spazi di semplificazione normativa in grado di ridurre in modo significativo gli oneri amministrativi per le imprese, senza sacrificare gli standard di tutela dei consumatori.
L’attuale arsenale normativo europeo
Ebbene, l’UE dispone già di uno dei sistemi di protezione dei consumatori più completi al mondo, applicabile orizzontalmente. In particolare:
- I dark patterns sono vietati dalla Direttiva UCPD, che proibisce le pratiche ingannevoli e aggressive (artt. 5–9), e impone oneri di trasparenza rafforzata nei marketplace online (art. 7 e 7(4a)). Il DSA introduce un divieto espresso di design ingannevole (art. 25) e obblighi di trasparenza sulla pubblicità (art. 26), sui sistemi di raccomandazione (art. 27) e sulle tutele per i minori (art. 28). Il GDPR interviene con obblighi di trasparenza (artt. 12–14), consenso valido e revocabile (art. 7) e diritto di opposizione al marketing diretto (art. 21), includendo anche la profilazione (art. 22).
- Il design che crea dipendenza è affrontato indirettamente dall’AI Act (art. 5), che vieta i sistemi di intelligenza artificiale basati su tecniche subliminali o manipolative e sullo sfruttamento di vulnerabilità legate all’età, alla disabilità o alla condizione socioeconomica, e dal DSA, che disciplina la trasparenza nelle raccomandazioni (art. 27) e vieta la pubblicità basata sulla profilazione verso minori (art. 28).
- Per le caratteristiche specifiche dei prodotti digitali, come le loot box e le valute virtuali nei videogiochi, la Direttiva UCPD (artt. 6–7 e Allegato I) vieta le pratiche ingannevoli o le omissioni rilevanti sulle probabilità di vincita e sui prezzi reali, mentre il DSA impone obblighi di valutazione e mitigazione dei rischi sistemici per le piattaforme di grandi dimensioni (art. 34) e regola la pubblicità e i sistemi di raccomandazione (artt. 26–27–38–39).
- Le pratiche di personalizzazione sono disciplinate dal GDPR (artt. 6, 7, 12–14, 21, 22) e dalla Direttiva CRD (art. 6(1)(ea)), che obbliga a informare chiaramente quando il prezzo è personalizzato mediante processi decisionali automatizzati. Il DSA, inoltre, impone oneri di trasparenza per ogni annuncio (art. 26), vieta l’uso di categorie particolari di dati e la profilazione verso minori (artt. 26 e 28) e, per le piattaforme di grandi dimensioni, prevede almeno un sistema di raccomandazione non basato sulla profilazione (art. 38).
- Le pratiche sleali degli influencer sono già vietate dalla Direttiva UCPD (Allegato I, punti 11 e 22) e il DSA rafforza gli obblighi di etichettatura e trasparenza degli annunci (art. 26).
- In materia di marketing dei prezzi, la Direttiva UCPD (artt. 6–7) vieta le presentazioni ingannevoli e le omissioni di costi inevitabili, mentre la Direttiva 98/6/CE sull’indicazione dei prezzi disciplina le riduzioni di prezzo (art. 6a) per prevenire riferimenti vaghi e pratiche fuorvianti.
- Per i contratti digitali, la Direttiva CRD (artt. 6, 8(2), 9–16) stabilisce obblighi informativi, diritto di recesso e requisiti per ordini con obbligo di pagamento, mentre il DSA vieta i dark patterns che ostacolano la gestione degli account e la cancellazione dei servizi (art. 25).
Poche regole chiare per un mercato trasparente
A fronte di una cornice così analitica, si rinnova il dubbio, già espresso altrove, se valga la pena insistere su una regolazione verticale e di dettaglio che, come dimostra la stessa Consultazione, è incapace di intercettare le strategie commerciali “abilitate” dalle più recenti tecnologie.
L’antidoto appare di metodo e passa per poche regole chiare, da interpretare in consonanza con il paradigma della trasparenza e della correttezza, che sono e rimangono i cardini per costruire un ecosistema digitale sicuro, affidabile e rispettoso dei diritti dei consumatori. Occorre cioè rafforzare l’effettività dei principi generali dell’ordinamento europeo, garantirne un’applicazione coerente e per questa via incidere i modelli di business dello spazio digitale, rendendoli compliant by design.
Rischi di sovrapposizioni e prospettive future
In questa prospettiva, si tratta di valorizzare l’impianto esistente, seguendo la logica del Pacchetto Omnibus: semplificare, rendere più efficace l’attuazione delle leggi fondamentali e ridurre duplicazioni e oneri superflui.
Inoltre, appare opportuno accompagnare il Digital Fairness Act alla riforma del Regolamento sulla cooperazione in materia di tutela dei consumatori (2017), così da assicurare un enforcement efficace e da rispondere alle criticità segnalate dalla Commissione in merito alla disparità di risorse e capacità tra le autorità nazionali.
E’ da evitare insomma che il Digital Fairness Act si traduca in un “labirinto normativo” difficile da gestire e tale da vanificare gli obiettivi di semplificazione che lo ispirano.
Il Commissario europeo alla Tutela dei consumatori, Michael McGrath, ha promesso che la proposta legislativa sarà “di sostanza, non di velocità”, e non arriverà prima del terzo trimestre del 2026, inserendosi dunque nell’Agenda dei consumatori 2025-2030.
Vedere per credere.
Fonti
− Commissione europea, Digital Fairness Act, https://ec.europa.eu/info/law/better-regulation/have-your-say/initiatives/14622-Digital-Fairness-Act_en
− Digital Europe, Digital Fairness Act: do we need new laws or simply better enforcement?, https://cdn.digitaleurope.org/uploads/2025/05/Digital-Fairness-Act-paper-May-2025.pdf, 8 maggio 2025
− Falce, Firpo, Urgente semplificare le regole sulla profilazione. Se non ora quando, in Il Sole24 Ore, 21 maggio 2025
− Falce, Fairness e innovazione nel Mercato Unico Digitale, Giappichelli ed. 2020
− Falce, Strategia dei dati e intelligenza artificiale. Verso un nuovo ordine giuridico del mercato, Giappichelli Ed., 2023.
− Flint, Will the upcoming Digital Fairness Act rewrite the rules of online commerce?, Will the upcoming Digital Fairness Act rewrite the rules of online commerce? – Flint Global, 21 agosto 2025
− Il Mulino, Il Rapporto Draghi sulla competitività europea,https://www.rivistailmulino.it/a/il-rapporto-draghi-sulla-competitivit-europea, 24 settembre 2024
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