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Credito d’imposta non spettante o inesistente: le differenze


Le nuove regole distinguono i crediti non spettanti da quelli inesistenti, con scadenze e sanzioni diverse. Scopri come cambia l’accertamento e cosa significa per i bonus come quello per R&S.

L’utilizzo dei crediti d’imposta è diventato una prassi consolidata per le imprese italiane, uno strumento essenziale per sostenere investimenti e liquidità. Tuttavia, dietro l’apparente semplicità della compensazione si cela un mondo di regole complesse, la cui violazione può portare a conseguenze molto diverse. La recente riforma fiscale è intervenuta in modo netto su questo tema, tracciando una linea di demarcazione più chiara tra le diverse tipologie di irregolarità. Comprendere se, in caso di errore, si configuri un credito d’imposta non spettante o inesistente non è più un mero esercizio teorico, ma un fattore determinante che impatta sui tempi di accertamento, sull’entità delle sanzioni e persino sui risvolti penali. Ecco perché è importante stabilire quali sono le differenze tra credito d’imposta non spettante e credito d’imposta inesistente. Le nuove disposizioni mirano a colpire con più forza le frodi, distinguendole dagli errori formali o dalle violazioni di minore gravità.

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Entro quando il Fisco può contestare un credito d’imposta?

La prima e più rilevante conseguenza della distinzione tra crediti non spettanti e inesistenti riguarda i termini di decadenza per l’azione di recupero da parte dell’Amministrazione finanziaria. Il nuovo articolo 38-bis del D.P.R. 600/73 stabilisce una doppia tempistica per la notifica dell’atto di recupero. Se un’azienda utilizza un credito d’imposta, l’atto di recupero dovrà essere notificato, a pena di decadenza:

  • entro il 31 dicembre del quinto anno successivo se il credito è classificato come non spettante;
  • entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo se il credito è considerato inesistente.

Questa differenza di tre anni è sostanziale e offre un quadro di maggiore certezza al contribuente. Una volta ricevuto l’atto, l’impresa ha diverse opzioni: può prestare acquiescenza, ottenendo una riduzione delle sanzioni a un terzo, a condizione di pagare l’intero importo senza poterlo compensare, oppure può avviare un contenzioso tributario. In quest’ultima ipotesi, è importante notare che le nuove norme estendono espressamente agli atti di recupero tutte le garanzie e gli strumenti del processo tributario, inclusa la possibilità di una conciliazione giudiziale (D.Lgs. 546/1992).

Quando un credito d’imposta è considerato inesistente?

La qualifica di credito inesistente è la più grave e scatta in due scenari ben definiti, che presuppongono un vizio genetico del credito stesso, ossia la mancanza dei suoi presupposti costitutivi fin dall’origine. La nuova normativa, che ha riflessi sia in ambito penale (D.Lgs. 74/2000) sia sanzionatorio tributario, considera inesistente un credito quando:

  1. i suoi requisiti sono oggetto di rappresentazioni fraudolente, realizzate tramite documenti materialmente o ideologicamente falsi, simulazioni o altri artifici. Un esempio pratico è quello di un’impresa che, per accedere al credito d’imposta per la formazione, crea falsi registri di presenza e fatture per corsi mai tenuti;
  2. mancano, in tutto o in parte, i requisiti oggettivi o soggettivi richiesti dalla specifica norma istitutiva del credito. Si pensi a un’impresa che richiede il credito d’imposta per investimenti in beni strumentali nuovi senza aver mai acquistato alcun macchinario.

Un aspetto dibattuto di questa nuova definizione è che la “normativa di riferimento” per individuare tali requisiti include anche fonti di rango secondario, come decreti ministeriali o regolamenti. Sebbene questo chiarisca l’ambito applicativo ai fini tributari, solleva dubbi di costituzionalità in materia penale, per possibile violazione del principio di riserva di legge.

E quando un credito è solo non spettante?

La categoria del credito non spettante ha carattere residuale e si applica a tutte le violazioni che non rientrano nella più grave ipotesi di inesistenza. Si tratta di situazioni in cui il credito ha una sua base di legittimità, ma il suo utilizzo è avvenuto in modo scorretto. I casi principali sono tre:

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  • il credito è stato fruito in violazione delle modalità di utilizzo previste dalla legge o in misura superiore a quella consentita. Un classico esempio è l’utilizzo in compensazione di un credito in un’unica soluzione, mentre la norma ne imponeva una ripartizione in più quote annuali;
  • il credito si fonda su fatti che non rientrano pienamente nella disciplina, per difetto di ulteriori elementi o qualità richieste. Il caso più emblematico, come vedremo, è quello dei crediti R&S, dove l’attività è stata realmente svolta e i costi sostenuti, ma viene contestata la mancanza del requisito di “innovatività assoluta”;
  • il credito è stato utilizzato senza aver posto in essere gli adempimenti amministrativi previsti a pena di decadenza dalla normativa di riferimento, come la mancata presentazione di una comunicazione obbligatoria.

In sostanza, nel credito non spettante il presupposto costitutivo esiste, ma si verifica un’irregolarità nella sua quantificazione, nel suo utilizzo o nel rispetto delle procedure.

Queste nuove definizioni valgono anche per il passato?

La gestione del passaggio dal vecchio al nuovo regime è un punto delicato. Le nuove definizioni di credito inesistente e non spettante hanno una diversa entrata in vigore a seconda dell’ambito di applicazione. Per il diritto penale tributario, esse hanno valore retroattivo. Per le sanzioni puramente tributarie, invece, le nuove e più dettagliate definizioni si applicano solo alle violazioni commesse a partire dal 1° settembre 2024.

Per tutte le violazioni precedenti, che sono la quasi totalità di quelle oggi sotto controllo, si deve fare riferimento alla normativa passata (art. 13, commi 4 e 5, D.Lgs. 471/1997). Secondo quella disciplina, un credito era considerato inesistente solo se ricorrevano congiuntamente due condizioni: la mancanza del presupposto costitutivo e l’impossibilità di rilevare tale mancanza attraverso i controlli automatici e formalidelle dichiarazioni (art. 36-bis e 36-ter, D.P.R. 600/73). In tutti gli altri casi, il credito era considerato semplicemente non spettante. Questa distinzione è fondamentale per gestire correttamente i contenziosi ancora in corso.

Come cambiano le sanzioni per i crediti indebiti?

La riforma interviene in modo significativo anche sul fronte delle sanzioni amministrative, sempre per le violazioni commesse a partire dal 1° settembre 2024. Le nuove misure sono:

  • per l’indebita compensazione di crediti non spettanti, la sanzione è fissata al 25% del credito utilizzato;
  • per l’indebita compensazione di crediti inesistenti, la sanzione base, prima compresa tra il 100% e il 200%, scende al 70%. Tuttavia, se l’inesistenza deriva da condotte fraudolente (documenti falsi, simulazioni), la sanzione del 70% viene aumentata dalla metà al doppio, arrivando quindi in una forbice tra il 105% e il 140%;
  • è prevista una sanzione fissa di 250 euro per violazioni di adempimenti amministrativi puramente strumentali, a condizione che non siano previsti a pena di decadenza e che la violazione sia sanata entro il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi.

Cosa succede per i crediti Ricerca e Sviluppo contestati?

Il caso dei crediti d’imposta per Ricerca e Sviluppo è emblematico per capire la portata pratica della nuova distinzione. Per anni, il contenzioso più acceso ha riguardato il requisito della cosiddetta innovatività assoluta, che secondo l’Amministrazione finanziaria deve essere misurata rispetto al mercato di riferimento e non solo alla singola impresa (in base ai criteri del Manuale di Frascati). Un recente atto di indirizzo del Ministero dell’Economia ha chiarito che questo tipo di violazione (mancanza di un “particolare requisito”) rientra nella nuova definizione di credito non spettante.

Questa classificazione è estremamente importante, perché implica sanzioni più basse (25%) e termini di accertamento più brevi (5 anni). Tuttavia, il documento ministeriale non chiarisce se questa interpretazione possa avere valore retroattivo per i contenziosi già in essere. Inoltre, si sottolinea l’importanza della certificazione dei progetti di R&S (D.L. 73/2022) per prevenire future contestazioni, ma non viene specificata la sua efficacia “sanante” per le verifiche già avviate. Questa incertezza lascia le imprese in una posizione difficile, soprattutto considerando che spesso i verificatori fiscali, privi di competenze tecniche specifiche, tendono a disconoscere l’innovatività di progetti complessi, ignorando perizie tecniche, brevetti o persino riconoscimenti ottenuti da altri enti pubblici.



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