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Carburanti, Unimpresa: “Cartello su componente bio costato oltre 700 milioni l’anno a pmi”



(Teleborsa) – L’intesa anticoncorrenziale accertata dall’Antitrust sulla componente bio dei carburanti avrebbe avuto un impatto diretto stimato in oltre 700 milioni di euro l’anno di extracosti per le piccole e medie imprese italiane. È quanto emerge da una simulazione del Centro studi di Unimpresa sugli effetti del rialzo, che ha fatto passare il valore della componente bio da 20 a 60 euro al metro cubo tra il 2019 e il 2023, con un aggravio di circa 3-4 centesimi al litro sui prezzi alla pompa.

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Il settore più colpito – spiega Unimpresa – è quello dell’autotrasporto pesante, dove per un TIR da 80mila chilometri l’anno l’extra costo si aggira intorno ai 900-1.200 euro per veicolo, con impatti da decine di migliaia di euro per flotte aziendali da 15-20 mezzi. Pesanti conseguenze anche sulla distribuzione alimentare e logistica urbana, dove furgoni e mezzi refrigerati hanno registrato rincari di 100-150 euro l’anno ciascuno, che, moltiplicati per flotte di decine di veicoli, hanno inciso in modo significativo sui bilanci. L’aumento della componente bio ha colpito inoltre l’e-commerce e l’ultimo miglio, con extra costi diffusi tra i corrieri, e ha avuto ricadute anche in edilizia e agricoltura, dove macchine operatrici e trattori hanno generato costi aggiuntivi di alcune centinaia di euro per mezzo. Il rincaro non si è limitato ai serbatoi delle imprese, ma si è scaricato sull’intera filiera dei costi di trasporto e distribuzione, contribuendo a spingere verso l’alto i listini di molti comparti, dal commercio al dettaglio alla ristorazione. Un “effetto cascata” che ha eroso la competitività delle Pmi italiane, costringendole a ridurre i margini o a trasferire almeno in parte gli aumenti sui prezzi finali. Il cartello non solo ha violato le regole di mercato, ma ha determinato un peso ulteriore su un tessuto produttivo già messo alla prova dai rincari energetici e dalle difficoltà di accesso al credito.

“La maxi-sanzione dell’Antitrust – commenta il vicepresidente di Unimpresa, Cosimo Callisto – certifica ciò che le nostre piccole e medie imprese hanno percepito sulla propria pelle negli ultimi anni: un aggravio silenzioso, ma costante, dei costi di trasporto e approvvigionamento. La manipolazione della componente bio dei carburanti non ha solo alterato la concorrenza, ma ha scaricato sulle pmi un onere stimato in centinaia di milioni di euro l’anno. Si è trattato di un cartello che ha colpito il cuore produttivo del Paese, quello fatto di autotrasportatori, artigiani, agricoltori e piccole realtà della distribuzione. Il risultato è stato un incremento diffuso dei prezzi, un’erosione dei margini e una riduzione della competitività delle nostre imprese sui mercati. Chiediamo che il overno non si limiti a prendere atto della decisione dell’Autorità, ma intervenga con misure di ristoro e con un rafforzamento dei controlli, per impedire che dinamiche simili si ripetano. Le pmi non possono continuare a essere il bancomat su cui si scaricano inefficienze e pratiche scorrette: occorre un patto vero per l’equità e la trasparenza, a tutela del lavoro e della crescita del nostro Paese”.

Secondo il Centro studi di Unimpresa, gli aumenti “più alti” si localizzano dove girano più litri (autotrasporto pesante, freddo, lunga percorrenza), ma l’effetto competitivo peggiore è quello a cascata: piccoli rincari logistici reiterati che corrodono la redditività dell’intera filiera. Per molte PMI il risultato è un trade-off: assorbire il costo (margini giù) o ritoccare i prezzi (competitività e domanda a rischio). Una dinamica silenziosa, ma capace di incidere sulla tenuta della ripresa e sui piani d’investimento minori che fanno la differenza nel medio periodo.Partiamo dove l’aumento pesa di più: sui consumi intensivi di gasolio e sui chilometraggi lunghi. Qui i 4 centesimi/litro derivanti dal rialzo della componente bio (da ~20 a ~60 euro/mc) diventano un drenaggio costante di liquidità.

Autotrasporto pesante e lunga percorrenza (il picco dell’impatto)

TIR da 38–44 tonnellate, 70–90 mila km/anno, rendimenti intorno a 3–3,8 km/l: l’extra costo unitario si colloca tra 900 e 1.200 euro per mezzo/anno. Una piccola impresa con 20 mezzi misti sta tra 18 e 24 mila euro l’anno. Se la flotta è più pesante (cisterna, pianali con carichi gravosi) e i rendimenti scendono verso 3 km/l, si può salire oltre 30 mila euro complessivi. Laddove c’è catena del freddo (gruppi frigo accesi, soste prolungate, tragitti notturni) l’incidenza cresce ulteriormente: il gasolio in più bruciato per la refrigerazione spinge l’extra costo di qualche centinaio di euro per veicolo.

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Distribuzione alimentare, GDO e horeca (impatto alto e capillare)

Furgoni frigo e medi tonnellaggi, 30–40 mila km/anno, 9–12 km/l: l’extra costo tipico è 120–160 euro a mezzo/anno. Ma il punto non è il singolo veicolo: è la densità di tratte urbane e l’alta frequenza delle consegne. Una piccola piattaforma con 10–12 mezzi spende 1.200–2mila euro in più l’anno solo su questa voce, che si riflette su margini già compressi e sui listini verso bar, ristoranti e negozi di prossimità.

E-commerce, corrieri e ultimo miglio (impatto cumulativo)

Tanti chilometri, guida stop&go cittadina, rendimenti penalizzati: per furgoni fra 25–35 mila km/anno a 10–12 km/l l’extra costo è 100–140 euro per mezzo. Con flotte di decine di veicoli l’effetto scala rapidamente; sui piccoli operatori in subappalto, che vivono di tariffe a consegna, anche poche centinaia di euro a mezzo incidono sul conto economico.

Cantieri, edilizia, movimento terra (impatto “a ore”)

Macchine operatrici consumano “a motore acceso”: un escavatore da 10 l/ora per 1.000 ore/anno genera 400 euro di costi extra; un sollevatore da 6 l/ora per 800 ore sta sui ~190 euro. L’impatto unitario è minore rispetto ai camion, ma i parchi macchine numerosi (impresa edile media con 8–10 mezzi) sommano facilmente 1.000–2mila euro l’anno.

Agricoltura e stagionalità (impatto variabile)

Trattori e mietitrebbie hanno consumi concentrati in finestre di picco. Un trattore da 8 l/ora per 800 ore/anno comporta ~256 euro in più. Durante campagne intense (raccolta, trebbiatura) l’esborso si sente proprio quando la cassa aziendale è più tesa (anticipi di manodopera, contoterzisti, carburante).

Artigiani, servizi e micro-PMI (impatto basso ma diffuso)

Furgone “tuttofare” 30mila km/anno a 12 km/l: 100 euro in più. Singolarmente è poco; su migliaia di micro imprese è un costo diffuso che erode liquidità e può far slittare piccoli investimenti (attrezzi, manutenzioni).

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L’effetto filiera (il vero moltiplicatore)

Il rincaro non si ferma al serbatoio: si trasferisce nei noli e nelle tariffe di consegna, riappare nei listini delle forniture e, alla fine, nel prezzo al dettaglio. Nei comparti ad alta logistica (alimentare fresco, e-commerce, distribuzione cittadina) il pass-through anche parziale genera micro-ritocchi frequenti: qualche decimale percentuale sul venduto che, sommato ad altre voci energetiche, schiaccia i margini delle PMI commerciali e della ristorazione.

Effetti anche su economia reale

L’intesa accertata dall’Antitrust sulle compagnie petrolifere non è soltanto un tema di concorrenza e di regole di mercato: ha avuto ricadute concrete sull’economia reale e, in particolare, sul tessuto delle piccole e medie imprese italiane. La decisione di coordinarsi sul prezzo della componente bio del carburante, passata da circa 20 euro al metro cubo nel 2019 a circa 60 euro nel 2023, ha prodotto un effetto diretto sui listini alla pompa. Tradotto in termini pratici, significa un aggravio di 3-4 centesimi per ogni litro di benzina o gasolio acquistato, un costo che può sembrare minimo se considerato su un singolo rifornimento, ma che diventa pesante se moltiplicato per milioni di litri consumati ogni giorno da aziende e famiglie. Per le piccole imprese che operano nella logistica, nel commercio o nella distribuzione alimentare, l’impatto è stato tutt’altro che marginale. Una flotta composta da pochi furgoni per le consegne ha potuto registrare extra costi annui di diverse migliaia di euro, mentre per una piccola azienda di autotrasporto con una ventina di mezzi pesanti l’aggravio si è tradotto in centinaia di migliaia di euro in più all’anno. Per realtà che spesso operano con margini ridotti, ogni incremento di costo fisso si riflette direttamente sulla redditività. Ma il fenomeno non si è limitato al trasporto. Anche imprese che non utilizzano direttamente grandi quantità di carburante hanno subìto il contraccolpo attraverso l’aumento dei costi di filiera. Un laboratorio artigiano, un ristorante o una piccola catena di negozi hanno visto crescere le spese di approvvigionamento e distribuzione.

“È così che l’aumento del prezzo del carburante, originato dal cartello, – conclude Unimpresa – si è trasformato in un costo diffuso, che ha eroso la competitività e ridotto i margini di moltissime aziende. Sul piano macroeconomico, se si considera che circa il 40% dei carburanti per usi produttivi è consumato dalle PMI, l’aumento dei 3-4 centesimi al litro ha comportato un esborso supplementare stimabile in oltre 600-700 milioni di euro l’anno, moltiplicato per tre anni di durata del cartello. Una cifra che, sommata agli effetti di altri rincari energetici, ha contribuito a rallentare la ripresa post-pandemica e a comprimere ulteriormente i margini di investimento delle imprese minori”.

(Teleborsa) 26-09-2025 14:47



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