Da qui al 2050, la transizione ecologica cambierà il mondo del lavoro, con professioni specializzate. Ma bisogna investire nella formazione.
Come tutte le transizioni, anche quella energetica sta rivoluzionando in maniera radicale molti processi. Soprattutto nel comparto dell’automotive, si è più volte paventato il rischio che l’elettrificazione possa mettere a rischio migliaia di posti di lavoro. “E invece il numero di lavoratori nel settore energetico è in continua crescita, a livello globale come in Italia”, spiega Emanuele Bompan, giornalista ambientale e geografo che si occupa di economia circolare, cambiamenti climatici, innovazione, energia, mobilità sostenibile, green-economy. Bompan è direttore responsabile della rivista Materia Rinnovabile, scrive su diverse testate nazionali e collabora con ministeri, fondazioni e think-tank. “La richiesta di competenze specifiche – aggiunge – continua ad aumentare, competenze che spesso mancano, il che rende centrale il tema della formazione nel medio/lungo periodo”.
Il lavoro cambierà con la transizione ecologica
Di certo negli ultimi anni la transizione ecologica ha contribuito a cambiare in maniera radicale la richiesta di nuove figure lavorative, il che ha reso sempre più centrali i temi della formazione e dell’aggiornamento professionale. Per Bompan “abbiamo assistito negli ultimi dieci anni a un salto paradigmatico in vari settori, a partire da quello della digitalizzazione per proseguire con quello delle reti e con il boom delle energie rinnovabili; e ancora grazie alle nuove tecnologie emergenti, pensiamo alla produzione di energia dal moto ondoso, per non parlare di tutto il tema dell’efficientamento”.
Tutto ciò ha avuto un duplice effetto sul mondo del lavoro. Da un lato la crescente domanda di figure da formarsi ex novo come “esperti di intelligenza artificiale per la gestione delle reti e per il monitoraggio, o lavoratori profilati sui temi della sicurezza degli impianti o per l’eolico offshore”, e dall’altro lato un importante lavoro di formazione per il personale già in servizio. Negli ultimi anni il processo di elettrificazione ha favorito la collocazione – e in molti casi la ricollocazione – di molte figure lavorative tipiche del settore energetico: dai ricambi agli installatori, fino ai gestori di reti, spesso appaltati ad aziende terze. Ad esempio, le installazioni dei nuovi smart meter, i contatori intelligenti che misurano il consumo di energia elettrica, gas e acqua corrente, “hanno favorito un’importante collocazione di elettricisti che sono stati formati ad hoc a fronte di un importante aumento della domanda per la sostituzione dei vecchi contatori con quelli nuovi”. Una tendenza destinata ad aumentare nel prossimo futuro quando “vedremo un numero sempre maggiore di nuove figure lavorative come gli energy manager, i gestori delle comunità energetiche o gli esperti nella gestione dei consumi: tante nuove opportunità occupazionali che hanno però un collo di bottiglia, quello della qualità della formazione”.
La richiesta lavorativa cresce ma c’è il nodo delle competenze
Nel febbraio del 2024 il report “Building competitive advantage with a people-first green business transformation” di ManpowerGroup ha evidenziato come, a livello globale, la transizione ambientale creerà 30 milioni di posti di lavoro entro il 2030, a livello globale. Ma a fronte di una domanda in crescita le competenze necessarie scarseggiano, al punto che il 94 per cento dei datori di lavoro riconosce di non avere in azienda i professionisti necessari e il 75 per cento ammette di avere difficoltà a trovare i talenti con le competenze ricercate. Per Bompan “quando si parla di transizione energetica non ci si riferisce in senso stretto al solo settore energetico ma anche ai trasporti, oppure ai settori industriali hard-to-abate”; parliamo di cementifici, acciaierie, cartiere, vetrerie, imprese siderurgiche e chimiche, dove il processo produttivo richiede grandi quantità di energia termica, difficile da produrre rinunciando completamente alla combustione di fonti fossili. Quindi “senza dubbio ci saranno figure professionali che, lentamente e progressivamente, andranno a scomparire in tanti settori”, da quello dell’oil & gas all’upstream, l’insieme dei processi operativi da cui ha origine l’attività di produzione di gas naturale, olio combustibile e petrolio. Da qui al 2050 “sicuramente il numero di lavoratori impiegati in questi comparti scenderà in maniera consistente e la stessa cosa potrà avvenire nel settore dell’automotive, ma solo per quelle realtà che non saranno in grado di passare sul medio-lungo termine dalle competenze del motore endotermico a quelle del propulsore elettrico”.
Ciò detto, “inevitabilmente la transizione ecologica avrà un impatto positivo sull’occupazione. In generale, come sempre accade nelle fasi di cambiamento, avremo chi sarà capace di gestire questo processo e chi no: chi riuscirà a dotarsi delle giuste competenze non solo sarà in grado di sopravvivere, ma sicuramente potrà anche incrementare i propri guadagni. I dati dimostrano che per le competenze più elevate le aziende sono disposte a pagare di più: pensiamo ai chimici o agli ingegneri gestionali, perché per le imprese la transizione e l’efficientamento energetico, se fatti bene, diventano anche un plus economico”. Ovviamente bisogna poi capire come tutto ciò s’inserisce nelle dinamiche globali, se si ha la capacità di attrarre le giuste competenze e di essere competitivi sul mercato del lavoro. Insomma “le variabili in gioco sono tante, legate non solo alla transizione ecologica in senso stretto e alle tecnologie ad essa correlate ma anche ad altre dinamiche in corso. Di certo, da qui al 2050, saranno strati creati molti più posti di lavoro e meglio remunerati, a patto che i governi si mostrino capaci di introdurre politiche sane e moderne sul lavoro”.
Come fare la transizione ecologica senza lasciare nessuno indietro
Già, quali misure sono necessarie per favorire questo processo senza lasciare nessuno indietro, a partire proprio dal tema occupazionale? Bompan è convinto che “se fino a qualche anno fa tutto il mondo industriale parlava di fondi, legislazione e regolamentazione per gestire la transizione, oggi risulta evidente la centralità della formazione delle competenze: bisogna investire tantissimo nel mondo della ricerca e dell’università per formare le figure necessarie e per aggiornare quelle già esistenti, lavoratori tra i 50 e i 60 anni che fanno più fatica di altri ad acquisire nuove competenze anche perché hanno conoscenze ormai consolidate”. Insomma, i singoli Stati così come l’Europa devono “investire molto nel retraining, in una riqualificazione ben sostenuta e soprattutto di qualità. Bisogna poi andare a intercettare nuove figure professionali anche all’estero, di conseguenza servono politiche di attrattività anche internazionali”.
Quali opportunità per l’automotive
Focalizzandosi sull’automotive, il comparto è uno fra quelli maggiormente interessati a queste dinamiche. Negli ultimi anni il dibattito si è animato tra chi vede nell’elettrificazione della mobilità un grande rischio, soprattutto per le aziende italiane della componentistica, e chi invece è convinto che si tratti di un’enorme opportunità. Per Bompan “se pensiamo alla motor valley, innanzitutto dobbiamo dire che l’Emilia-Romagna è una regione ad altissimo tasso di innovazione. Da un lato è giusto che ci siano piccole e medie aziende che cercano di prendersi più tempo possibile per affrontare al meglio una transizione che non è semplice, ma la realtà è che ci sono tante imprese che hanno già intrapreso questa strada con decisione. Per diversi anni le vetture endotermiche continueranno comunque a viaggiare sulle nostre strade, anzi a mio avviso ci sarà un grande boom del retrofit (una serie di modifiche elettromeccaniche apportate ad un veicolo tradizionale volte a trasformarlo in un mezzo elettrico o ibrido), alcune filiere delle auto e delle moto da corsa resteranno in vita anche con nuovi motori, non necessariamente elettrici, o comunque continueranno a fornire componenti”. Ciò detto si dovranno fare dei grossi cambiamenti per essere al passo con la transizione, anche perché ci saranno delle forze di mercato, “come i grandi marchi europei ma le stesse case costruttrici cinesi che usano componentistica italiana per le auto elettriche, che chiederanno a queste imprese di cambiare”.
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