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Dati, algoritmi e crisi d’impresa: la formula INPS e i suoi effetti


La crisi d’impresa non va più intesa come un crollo improvviso, ma come l’esito di un processo graduale che lascia segni ben riconoscibili nei dati economici e gestionali. In questo contesto l’intelligenza artificiale (IA) si propone come uno strumento capace di leggere questi segnali in anticipo, elaborando in modo integrato informazioni fiscali, contabili e contributive. La cosiddetta formula INPS, attualmente in fase di affinamento, nasce proprio con questo obiettivo: attribuire a ogni impresa uno score di rischio, costruito sulla base di variabili oggettive come la regolarità dei versamenti contributivi, l’andamento dei flussi IVA, le oscillazioni del fatturato e le variazioni nella struttura occupazionale. Non si tratta di un “giudizio” definitivo, ma di un sistema di segnalazione preventiva, utile sia per l’amministrazione pubblica sia per l’impresa stessa, che può così attivarsi prima che la situazione degeneri. Dal punto di vista operativo, questo significa che dati e adempimenti, spesso vissuti solo come obblighi burocratici, diventano ora parametri strategici. Una semplice omissione contributiva, un calo temporaneo delle vendite o un errore nella trasmissione dei flussi fiscali possono incidere sul profilo di rischio dell’impresa, con effetti immediati sulla sua reputazione finanziaria e sui rapporti con banche, fornitori e stakeholder. Per i professionisti (commercialisti, consulenti aziendali e responsabili finanziari) si apre quindi un terreno nuovo e delicato: non solo supportare l’impresa nel rispetto delle scadenze, ma aiutarla a governare i dati, interpretarli e contestualizzarli

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1) Opportunità e rischi pratici dell’uso degli algoritmi

L’introduzione dell’IA nella gestione della crisi d’impresa porta vantaggi immediati se usata correttamente. La prima opportunità è la prevenzione anticipata: grazie alla cosiddetta formula INPS, che incrocia dati fiscali e contributivi per attribuire uno score di rischio, è possibile intercettare per tempo segnali di difficoltà. Se, ad esempio, l’algoritmo evidenzia un peggioramento legato al calo di fatturato, l’impresa può valutare subito un piano di ristrutturazione o un accordo con i creditori, senza aspettare l’accumulo di debiti. Un secondo vantaggio è la trasparenza verso banche e fornitori: presentare un monitoraggio costante dei propri indicatori, corredato da spiegazioni documentate, aumenta la credibilità dell’impresa. In un mercato in cui l’accesso al credito è sempre più selettivo, dimostrare di avere i numeri sotto controllo può fare la differenza. Infine, gli score di rischio generati dalla formula INPS possono diventare un supporto concreto alla continuità aziendale: se interpretati in modo intelligente, permettono di giustificare scelte di ristrutturazione, sospensioni temporanee o rinegoziazioni, mostrando che le decisioni non nascono da improvvisazione ma da un’analisi basata su dati oggettivi.

1.1. Rischi da non sottovalutare

Accanto alle opportunità, ci sono criticità pratiche che professionisti e imprese non possono ignorare. Il primo rischio riguarda gli errori di interpretazione: un semplice ritardo contributivo o una stagionalità fisiologica potrebbero essere letti dall’algoritmo come segnale di crisi strutturale. Il secondo rischio è reputazionale: finire nella categoria “a rischio” non significa fallire, ma potrebbe spaventare fornitori e partner commerciali. Anche solo un’etichetta algoritmica può influenzare rapporti di fiducia costruiti in anni. Il terzo rischio è l’asimmetria informativa: se l’impresa non conosce le logiche che guidano l’algoritmo, rischia di subirne gli effetti senza poterli spiegare o correggere. È qui che diventa cruciale l’intervento dei professionisti, che devono tradurre il linguaggio “tecnico” dell’IA in strumenti comprensibili e gestibili.

1.2. Alfabetizzazione digitale ed explainability

Per trasformare i rischi in opportunità, servono due parole chiave: alfabetizzazione digitale ed explainability. L’alfabetizzazione digitale non significa diventare programmatori, ma saper leggere i dati fondamentali che alimentano l’algoritmo: fatturato, flussi IVA, contributi, indicatori di bilancio. Solo così l’impresa può governare il proprio profilo di rischio invece di subirlo. L’explainability, invece, riguarda la spiegabilità dei risultati: non basta sapere che si è “a rischio”, bisogna capire quali variabili hanno pesato di più e come correggerle. Per esempio, se lo score peggiora per un calo di personale, occorre dimostrare che si tratta di un turnover stagionale e non di licenziamenti per crisi. In pratica, il professionista deve diventare un “traduttore” dell’IA: spiegare ai clienti cosa significa un dato punteggio, costruire relazioni integrative che giustifichino eventuali anomalie e fornire strumenti pratici (report trimestrali, note esplicative, piani di rientro) per gestire la narrazione verso banche, fisco e stakeholder.

2) Il primo passo per non subire l’IA

Molte imprese, soprattutto PMI, faticano a leggere correttamente i propri dati contabili e fiscali. L’IA può accentuare questo divario se viene percepita come una “scatola nera” incomprensibile. Per questo si parla di alfabetizzazione digitale. Significa mettere gli amministratori e i responsabili aziendali in condizione di capire:

  • quali dati entrano nell’algoritmo;
  • come possono essere interpretati;
  • quali azioni correttive si possono adottare per migliorare lo score.

Esempio pratico

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Una società artigiana vede il proprio score peggiorare per cali ricorrenti nei versamenti IVA nel trimestre estivo. Con un minimo di alfabetizzazione, l’amministratore può documentare che si tratta di un fenomeno stagionale legato alla chiusura dei cantieri, allegando note esplicative ai bilanci trimestrali. In questo modo evita che un falso positivo diventi un problema reputazionale. Il ruolo dei professionisti è quindi duplice:

  1. Educare il cliente a leggere i propri dati.
  2. Costruire strumenti semplici (report trimestrali, dashboard intuitive) che traducano i numeri in segnali comprensibili.

3) La spiegabilità degli algoritmi come diritto dell’impresa

Un algoritmo che segnala “rischio alto” senza spiegare il perché non è utile né equo. L’explainability (spiegabilità) serve proprio a rendere trasparenti i criteri e a permettere alle imprese di contestare o integrare i risultati.

Perché è fondamentale

  • Tutela del contraddittorio: se un’impresa conosce i parametri che hanno influito sul suo score, può dimostrare che alcuni non sono significativi.
  • Correttezza verso gli stakeholder: banche e fornitori devono poter leggere non solo il risultato, ma anche le motivazioni.
  • Riduzione del rischio legale: un algoritmo opaco potrebbe essere contestato per violazione del principio di trasparenza previsto anche dal GDPR.

Esempio pratico

Un’azienda agricola segnalata come “a rischio” perché ha ridotto il personale in un trimestre. L’explainability dovrebbe permettere di evidenziare che la riduzione è fisiologica, legata al ciclo delle raccolte. Senza spiegabilità, lo score resta un’etichetta ingiusta. Il professionista deve quindi pretendere strumenti trasparenti e, nel frattempo, predisporre relazioni integrative che spieghino gli scostamenti apparenti.

4) Buone pratiche per commercialisti e imprese

Per utilizzare al meglio l’IA come supporto nella gestione della crisi servono regole operative chiare. Alcune raccomandazioni:

  • Costruire un sistema di monitoraggio interno: cruscotti mensili che raccolgano flussi IVA, versamenti contributivi e dati di bilancio.
  • Integrare dati qualitativi: contratti in corso, stagionalità, piani di investimento devono accompagnare i numeri per dare un quadro realistico.
  • Gestire la comunicazione con banche e fornitori: meglio spiegare subito un’anomalia che lasciare che emerga da un algoritmo.
  • Predisporre “piani B” documentati: rateazioni con l’erario, accordi con fornitori, strumenti di composizione negoziata, tutto deve essere messo nero su bianco.
  • Richiedere trasparenza sugli algoritmi: anche se il modello è proprietario, le imprese devono avere diritto a sapere almeno quali macro-variabili incidono.

 

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5) Conclusione: IA come leva, non come minaccia

L’intelligenza artificiale nella crisi d’impresa non va vista come una sentenza calata dall’alto, ma come un segnale utile da interpretare. In pratica, l’IA applicata alla crisi d’impresa non è un concetto astratto: significa software di analisi predittiva e algoritmi che elaborano i dati fiscali e contributivi già inviati a INPS, Agenzia delle Entrate e altri enti. Per i commercialisti questo vuol dire saper integrare nella propria attività dashboard di monitoraggio, score di rischio e indicatori automatici, trasformandoli in strumenti a supporto delle decisioni aziendali. Il riferimento all’AI Act dell’Unione Europea è decisivo: le soluzioni di IA usate in ambito finanziario e gestionale rientrano infatti nelle categorie “ad alto rischio”, e richiedono trasparenza, tracciabilità ed explainability. Questo comporta che ogni software adottato dovrà garantire la possibilità di comprendere come lo score viene calcolato e su quali dati si fonda. In concreto, per i consulenti si tratta di un nuovo livello di controllo digitale: non subire algoritmi opachi, ma presidiare il processo con relazioni integrative, note esplicative e documentazione solida. Così, l’IA diventa non solo un alleato per la continuità aziendale, ma anche un’occasione per valorizzare il ruolo del consulente, in linea con i principi di trasparenza e correttezza richiesti dal legislatore europeo.



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