La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n 23296/2025 del 14 agosto 2025, si è pronunciata in ordine al diritto della detrazione IVA relativamente alla realizzazione di fabbricati a uso abitativo. La difesa erariale aveva impugnato la sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di II grado della Basilicata, che aveva accolto l’appello proposto dallo Studio Associato dei Notai A.A. e B.B., evidenziando, che l’IVA concernente l’autorimessa era detraibile, in quanto il fabbricato era pertinenza dei locali dove veniva svolta l’attività professionale, sebbene accatastati quale abitazione, e che la ristrutturazione dell’immobile adibito a studio professionale era vincolata alla realizzazione dell’autorimessa e del piazzale, come comprovato dai contribuenti.
Per il patrocinio erariale, invece, l’IVA in questione era da ritenere indetraibile, ai sensi dell’art. 19-bis.1, comma 1, lett. i), D.P.R. n. 633/1972, che fissa un principio di indetraibilità oggettiva dell’imposta relativa all’acquisto, locazione, manutenzione di fabbricati a destinazione abitativa e delle loro pertinenze. Gli unici soggetti legittimati a portarsi in detrazione tali spese sarebbero solo le imprese che hanno come oggetto esclusivo e principale dell’attività esercitata la costruzione dei predetti fabbricati. La Corte di Cassazione ha ritenuto infondato il motivo, non validando sul piano del diritto la prospettazione rappresentata dall’Agenzia delle Entrate, per la quale l’art. 19-bis.1, comma 1, lett. i), Decreto IVA, regolerebbe un’ipotesi di indetraibilità oggettiva degli immobili con destinazione abitativa, da cui deriverebbe che l’IVA corrisposta per le opere di realizzazione dell’autorimessa e del piazzale, costituenti pertinenze dell’immobile adibito a studio notarile, ma con destinazione abitativa, non sarebbe detraibile.
La Corte ha, invece, ritenuto corretto il diverso principio di diritto: «In tema di IVA, ai fini della detrazione nelle operazioni relative ad immobili a destinazione abitativa, la natura strumentale del bene acquistato deve essere valutata non solo in astratto, con riferimento all’oggetto dell’attività d’impresa, bensì in concreto, dovendosi verificare che lo stesso costituisce, anche in funzione programmatica, il mezzo per l’esercizio della suddetta attività» (va detto che, in tal senso, la Cassazione ha avuto modo di pronunciarsi anche con la sent. n. 3396/2020). Per il supremo giudice, quindi, la sentenza della CGT di II grado ha pienamente rispettato il superiore principio di diritto in quanto, con incensurabile accertamento di fatto, ha ritenuto, da un lato, che la realizzazione dell’autorimessa e del piazzale fossero necessarie alla ristrutturazione dell’immobile adibito a studio notarile, dall’altro, operando una valutazione in concreto, ha evidenziato che il bene principale, sebbene catastalmente a uso abitativo, fosse stato utilizzato dallo Studio A.A. come studio professionale. Ne consegue, sempre per la Cassazione, la legittima detrazione dell’IVA
Il riportato principio di diritto assume un grande rilievo, dal momento che dissocia del tutto l’inciso legislativo “a destinazione abitativa” dalle mere risultanze catastali, per valorizzare sul piano fattuale l’effettiva destinazione dell’immobile. Se, quindi, come nel caso in questione, l’immobile anche se catastalmente raccordabile alla destinazione abitativa, qualora nella concreta fattispecie d’uso assolva a un impiego strumentale, l’IVA è detraibile. Trattasi di un indirizzo interpretativo contrario a quanto già espresso dall’Agenzia delle Entrate con la circolare n. 182/E/1996, per la quale «la destinazione abitativa va individuata non in base all’utilizzazione effettiva del bene, ma va ritenuta sussistere nel caso in cui si tratti di unità immobiliari catastalmente classificate o classificabili nelle categorie da A1 a A11, escluse quelle classificate o classificabili in A10».
Il principio di diritto enunciato dal giudice di Cassazione appare corretto e supportato dal medesimo significato semantico di “destinazione” da intendere come “il fine, l’uso cui una cosa è finalizzata”. Destinare è, infatti, funzionale a identificare un uso prospettico, finalistico della cosa, in un’accezione dinamica basata su una proiezione temporale da maturare e non statica, fondata su circostanze temporali ormai storiche. La conformazione strutturale di un immobile è idonea solo in astratto a rivelarne la prospettiva d’uso, ma tale criterio classificatorio va inteso dimesso rispetto alla sua effettiva destinazione e, in tal senso, è tornata a pronunciarsi la Corte di cassazione in esame. In ordine, peraltro, alle fattispecie di indetraibilità oggettiva dell’IVA ex art 19-bis.1, si deve sottolineare come esse non appaiono coerenti con le Direttive IVA, in quanto l’Italia ha modificato il novero delle fattispecie a indetraibilità oggettiva il 27 luglio 1978 e quindi dopo l’entrata in vigore della VI Direttiva CEE, ancorché prima della scadenza del termine per il recepimento della medesima. Per la dottrina (M. Giorni, “Detrazione e soggettività passiva nel sistema dell’imposta sul valore aggiunto”, Cedam, 2005), anche se le Direttive non creano obblighi di risultato per gli Stati membri, prima della scadenza del termine per l’attuazione, si deve, tuttavia, evidenziare che nel caso di specie la Direttiva disponeva, con norme sufficientemente incondizionate e precise, che gli Stati membri non potevano introdurre nuove limitazioni al diritto alla detrazione e che l’adozione di nuove norme dopo l’entrata in vigore della stessa va effettuata in piena conformità con la Direttiva (allora VI Direttiva).
La Corte di Giustizia UE (sentenza 18 dicembre 1997, causa C-129/96, Inter-Environnement Wallonie) ebbe da affermare che, nel periodo intercorrente tra l’entrata in vigore della Direttiva e quello di scadenza del termine per il recepimento, gli Stati membri dovevano astenersi dall’introdurre, nei loro ordinamenti, norme che possono compromettere i risultati prescritti dalla Direttiva e ciò in applicazione del principio di buona fede. Le norme del D.P.R. n. 633/1972 limitative del diritto della detrazione IVA, cui far riferimento per valutarne la conformità alle prescrizioni comunitarie delle vigenti disposizioni che limitano la detrazione dell’imposta a monte, devono essere quindi individuate in quelle vigenti prima del 27 luglio 1978.
L’art. 27, par. 5, VI Direttiva, dispone, infatti, che gli Stati membri che al 1° gennaio 1977 applicavano misure particolari per prevenire frodi e abusi potevano mantenerle in vigore, purché le notificassero alla Commissione anteriormente al 1° gennaio 1978 (in tal senso, CGUE, sentenza 10 aprile 1984, causa 324/82). L’art. 19, D.P.R. n. 633/1972, nel testo vigente al momento dell’entrata in vigore della VI Direttiva, cioè il testo vigente dal 1° gennaio 1975 al 26 luglio 1978, disponeva, da un lato, che l’imposta relativa all’acquisto o alla importazione dei beni indicati ai n. 14), 22), 23). 24), 25), 26) della Tabella B, D.P.R. n. 633/1972, era ammessa in detrazione, soltanto se tali beni erano destinati a essere utilizzati come strumentali nell’attività propria dell’impresa o nell’esercizio dell’arte o della professione o se la loro lavorazione, commercio o noleggio rientra nell’attività propria dell’impresa, dall’altro, che l’imposta relativa all’acquisto o all’importazione degli altri beni elencati nell’allegata Tabella B, era detraibile soltanto se tali beni formavano oggetto dell’attività propria dell’impresa ed era in ogni caso esclusa per gli esercenti arti o professioni.
Le limitazioni alla detrazione ora vigenti, previste anche al momento dell’entrata in vigore della VI Direttiva, coincidono con le sole lett. a), b) e c) dell’art. 19-bis.1, D.P.R. n. 633/1972. In ordine all’indetraibilità dell’IVA relativa all’acquisto di fabbricati, o di porzione di fabbricato, a destinazione abitativa, inclusa quella relativa alla locazione o alla manutenzione, recupero o gestione degli stessi, salvo che per le imprese che hanno per oggetto esclusivo o principale dell’attività esercitata la costruzione o la rivendita dei predetti fabbricati o delle predette porzioni, essa trae origine dalle previsioni contenute nelle lett. e-ter) ed e-quater), comma 2, del precedente art. 19, Decreto IVA, mancanti al momento dell’entrata in vigore della VI Direttiva. Tale fattispecie di indetraibilità oggettiva presentava carattere innovativo, non prestava aderenza a motivi congiunturali di cui all’art.17, par. 7, della Direttiva e neppure l’Italia ha mai per essa intrapreso l’iter autorizzatorio necessario per introdurre norme dirette a prevenire frodi ed abusi.
In dottrina, si sottolinea ancora come la disciplina vigente relativa alle fattispecie colpite da indetraibilità oggettiva introdotte dopo l’entrata in vigore della VI Direttiva CEE, va ritenuta legittima solo se viene espressamente autorizzata dal Consiglio in base a quanto disposto dall’art. 27 della Direttiva. Tuttavia, non risulta dal repertorio delle autorizzazioni del Consiglio, pubblicato sul sito internet della Comunità Europea, che autorizzazioni di tal tipo siano mai state concesse alla Repubblica italiana. In tal caso il giudice domestico ha la sovranità di disapplicare le norme interne in contrasto con quelle comunitarie, senza la necessità di un preventivo rinvio alla Corte di Giustizia, in quanto il giudice nazionale è il primo giudice del diritto comunitario (Mengozzi, “Il diritto della Comunità europea”).
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