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Matteo De Angeli: il signor startup


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Riminese, 42 anni, ha creato già diverse imprese innovative. “Io e i miei soci ci siamo fatti conoscere per l’80% grazie al passaparola e il restante 20% partecipando a fiere e congressi”

Questa intervista ad uno startupper seriale, lo scoprirete più avanti, come Matteo De Angeli, nato e cresciuto a Rimini, ha bisogno di una introduzione, utile per comprendere il contesto, quindi le opportunità che ci sono offerte. Scrive nell’ultima Relazione 2024, pubblicata a maggio di quest’anno, la Banca d’Italia: “Negli ultimi trent’anni, la produttività del lavoro nell’Unione europea è cresciuta del 40%, oltre 25 punti percentuali in meno degli Stati Uniti, dove è stata sospinta soprattutto dai settori a tecnologia avanzata. Negli Stati Uniti, il tessuto imprenditoriale si rinnova continuamente grazie a nuove imprese capaci di affermarsi nei mercati più dinamici; l’investimento in ricerca si concentra nei servizi digitali e ad alta intensità di conoscenza. Tra le nuove imprese, un ruolo significativo è svolto dalle startup innovative che si concentrano principalmente nei servizi di informazione e comunicazione, ma sono presenti anche nelle attività professionali tecnico-scientifiche e nella manifattura. Il commercio dei servizi fruibili digitalmente, tra cui software, cloud computing, consulenza informatica e servizi finanziari e assicurativi, è cresciuto a un tasso medio dell’8%, il doppio rispetto ai servizi tradizionali quali viaggi, turismo e trasporti”.

Matteo De Angeli, partiamo da una semplicissima presentazione personale.
“Molto volentieri. Ho 42 anni e ho fatto le scuole superiori a Rimini, dove sono nato e dove ho vissuto fino a 18 anni, prima di frequentare l’Università di Bologna, dal 2000 al 2010, per iscrivermi ad Ingegneria informatica. Una passione, l’informatica, che veniva già dalle superiori. Tanto che avevo cominciato a studiare in anticipo le materie del primo anno di università. Sono partito col nuovo ordinamento, quando si passava dalla laurea unica a quella quinquennale (3+2). In realtà ho fatto 3+2+2, perchè prima mi sono laureato con la triennale, poi specializzato in ingegneria informatica, quindi in ingegneria dell’automazione, che è una vera laurea di ingegneria del ramo industriale. Ma in tutti questi anni non ho solo studiato, perchè appena finita la specialista in informatica sono andato a lavorare, come consulente, alla Granarolo, l’azienda del latte, dove ho fatto anche la tesi, occupandomi per sei mesi, del sistema di tracciabilità delle uova, dal pulcino allo scaffale. Mi proposero un contratto di lavoro a tempo indeterminato, anche ben pagato per un 22enne, ma non accettai perchè volevo lavorare con la partita Iva, autonomamente. Partita Iva che ho aperto nel 2005, all’età di 23 anni. Da allora non sono mai stato un dipendente”.

Dalla tracciabilità delle uova alla prima startup: dove e come le è venuta l’idea?

“La primissima startup l’ho creata a Bologna, praticamente sui banchi di scuola. Eravamo quattro soci e facevamo Cms, programmi di scrittura per siti web. Quella volta non c’era WordPress e noi ne avevamo costruito un fac-simile. Lavoravamo, da informatici, prettamente nell’ambito web. Quella è stata la prima esperienza, durata due-tre anni. Ma le idee più interessanti, per le startup, sono arrivate dopo la specilistica in automazione. La prima vera startup, di nome Enginia, è nata nel 2013, quando ero già tornato a Rimini, perchè il richiamo dei luoghi d’origine è sempre molto forte, in un ufficietto vicino l’Arco d’Augusto. A promuoverla tre soci: il mio professore e relatore di tesi, un ricercatore dell’Università di Bologna, che adesso lavora in Inghilterra, ed io. In seguito si aggiunse anche un importante imprenditore locale e diventammo quattro. La startup è nata per fare diagnostica delle macchine, diagnostica industriale. Vuol dire analizzare i segnali che arrivano dai sensori delle macchine industriali e dalla linea di produzione in generale. Per diagnosticare problemi, come avviene per una diagnosi umana. Capire, dai sintomi, i problemi e trovare soluzioni, anticipando possibili guasti che fermerebbero, con danni significativi, macchine o intere catene di lavorazione. Esempio: c’è un cuscinetto che sta lavorando male perché genera dei picchi di corrente strani, sostituiscilo prima che produca guai seri. Per lavorare ho preso, quasi subito, due ragazzi informatici riminesi, che si erano laureati a Cesena. Poi se ne sono aggiunti altri e dopo tre anni eravamo già in sei. Inizialmente i nostri clienti venivano dal distretto bolognese dell’automazione e del packaging. Poi da tutto lo stivale. Eravamo a Rimini, ma potevamo essere in qualsiasi posto. Non avrebbe fatto nessuna differenza. Aziende riminesi? Poche. Qualcuna, ma proprio piccolissima, occasionale, perché come tutte le startup, per chiudere il fatturato bisogna anche accettare lavoretti, altrimenti non si va avanti. Qualcuno anche interessante: per esempio avevamo un cliente, di Longiano, che fa prodotti biologici per detergenti, che adesso si è ingrandito tantissimo”.

Come avete fatto a farvi conoscere?
“Per l’80% tramite il passaparola. Un’azienda ne parla con un’altra, qualcuno che cambia azienda, ex colleghi dell’università, contatti col mondo accademico, ecc… Il restante 20% partecipando a fiere. Abbiamo partecipato a parecchi bandi regionali di finanziamento per startup innovative e due li abbiamo vinti. Poi finisci in elenchi pubblici e qualcuno ci ha chiamato anche da lì. Abbiamo avuto buoni rapporti con le banche. Intesa San Paolo ci ha fatto quasi da incubatore. E anche tramite la Banca sono arrivati dei contatti”.

Il mondo bancario supporta le start up con condizioni accettabili?
“Con noi lo ha fatto. Intesa Sanpaolo, non di Rimini ma di Imola, che conosceva bene il polo universitario, ci ha concesso due mutui chirografari (senza ipoteche su immobili) per circa 400.000 euro. Non tutte le banche lo fanno. Infatti a Rimini, ho chiesto ad un paio, ma non le abbiamo trovate”.

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Quanto è durata Enginia?

Dalla costituzione alla vendita delle quote nove anni, quando la startup aveva raggiunto un fatturato di 1,3-1,4 milioni di euro”.

“Rimini non ha un corso di laurea ad hoc in ingegneria, ma è in una posizione fantastica a metà strada tra il Politecnico di Ancona e quello di Bologna e in mezzo c’è la Facoltà informatica di Cesena”

La vendita è stata il frutto di una decisione programmata o casuale?
“Noi, con l’azienda che ha comprato avevamo un rapporto commerciale. In pratica avrebbero dovuto vendere le nostre soluzioni. Poi abbiamo scoperto, dopo, che era un’azienda che faceva acquisizioni in maniera abbastanza seriale. Tutti gli anni si ingrandiva per acquisizioni ed era interessata ai brevetti (ne abbiamo registrati sei) e al prodotto che avevamo. Si è aperto un tavolo da cui poi è sbocciata la vendita. Loro però più che alla diagnosi industriale erano interessati alla logistica, cioè al tracciamento delle merci e dei carrelli nei magazzini. Settore cui, originariamente, non avevamo pensato, ma ci è capitato strada facendo. Così gli abbiamo fatto un prodotto specifico che era in grado di geolocalizzare, in qualsiasi momento, il posto in cui si trovava, in un magazzino, la merce”.

Con la vendita di Enginia, realizzando quello che in gergo si chiama exit (uscita), la storia non si ferma perchè col ricavato ha finanziato la seconda start up. Idea venuta come?
Non mi reputo un genio, ma uno che sa cogliere le opportunità. La seconda startup si chiama Scia. È nata nel 2023 e si dedica all’ambito navale, settore dove avevo svolto  consulenze informatiche già prima e durante la costituzione di Enginia. Prevalentemente nel cantiere navale Vittoria, nella città di Adria, in provincia di Rovigo. Poi abbiamo proseguito con i cantieri navali toscani, tipo Benetti yacht, a Viareggio. Quindi a La Spezia, Ancona e Forlì. Con colleghi ingegneri facevamo la manualistica e tutta la documentazione tecnica obbligatoria. E davamo una mano ai cantieri. Per questa seconda startup, 20.000 euro di capitale iniziale, ho ricontattato una persona che avevo conosciuto in uno di questi cantieri. Un ingegnere che faceva project manager proprio per la costruzione di navi, ha lavorato in tutto il mondo, sa bene l’inglese, insomma conosceva quel mondo. Gli ho parlato della mia idea, cioè di fare in un modo un po’ più strutturato un software per la manutenzione del ciclo vita nave fatto come si deve, perché ho notato che i cantieri avevano questa lacuna. Andavano molto in crisi su questa parte. Per spiegarla in maniera molto semplice: una nave è fatta da tanti impianti diversi (il motore, il generatore, le pompe…) che vengono assemblati sul cantiere e di cui il cantiere non ha conoscenza. In una nave si contano 200 impianti diversi. Poi noi ci occupiamo di navi militari o da lavoro, che sono molto complesse. Questo ingegnere, molto esperto in fatto di costruzioni di navi, si è licenziato ed è diventato mio socio. Abbiamo costituito questa nuova società e adesso diamo una mano ai cantieri navali. Facciamo studi ingegneristici per la manutenzione nei primi 7-8 anni di vita della nave. Dove tutto deve essere definito: ricambi, quando durano le parti, ecc… Cosa deve essere fatto e quando, perchè la nave sia sempre efficiente e operativa. È un lavoro un po’ da tuttologo, perché non va bene l’esperto del motore, non va bene l’esperto del generatore. Ci vuole una visione d’insieme completa di tutti gli impianti e in questa parte ai cantieri viene il mal di testa. Quindi abbiamo fatto un po’ di analisi dei competitori, come si fa in questi casi. Abbiamo visto che in Italia questo lavoro lo fanno 2-3 aziende. Aziende che chiedono 1.500 euro al giorno per la consulenza. Quindi vengono cifre importanti. Noi siamo entrati nel mercato un po’ con la leva del prezzo, facendo spendere meno, un pò con la tecnologia, perché ci abbiamo messo dietro un software fatto di intelligenza artificiale che acquisisce informazioni in maniera furba. Software che diamo in mano all’equipaggio che lo utilizza per fare manutenzioni periodiche, ordinarie e straordinarie. E adesso stiamo lavorando. Abbiamo chiuso il primo bilancio con un fatturato di circa 700.000 euro. Quest’anno, con l’acquisizione di alcuni clienti importanti, dovremmo avvicinarci a un milione di euro. Nel 2024 abbiamo speso in fiere di settore, nazionali e internazionali, 60.000 euro. E devo dire c’è stato un bel ritorno. Abbiamo dei collaboratori che rivendono i nostri servizi perfino all’estero: Spagna, Australia e Stati Uniti. Qui, rispetto alla prima azienda, l’80% dei clienti l’abbiamo acquisito tramite fiere e il resto col passaparola. La sede della startup è a casa mia, a Santarcangelo, ma potremmo essere in qualsiasi posto, e ci lavoriamo in quattro, sparsi in tutta Italia, compreso una ragazza. Anche con Scia abbiamo vinto tre bandi di finanziamento per le startup innovative dell’Emilia-Romagna. Per questo mi fa piacere di essere in questa regione”.

Avete il programma di vendere anche la Scia?
Abbiamo già degli interessati. Alla fine dell’anno scorso è arrivato un Fondo internazionale (Costellation Software) canadese, con sede anche in Inghilterra, con cui ci siamo rapportati ed abbiamo aperto un tavolo negoziale. Ma ancora è troppo presto per vendere, perchè una  startup ha bisogno un po’ di tempo per acquistare valore. Secondo me il momento migliore sarà fra 2-3 anni e quindi adesso continuiamo a crescere e investire”.

In contemporanea avete avviato una terza startup.
“Esatto. Nel 2024. Si chiama Smart Elephant e si occupa di smart home: domotica e digitalizzazione degli edifici (case, edifici pubblici, edifici commerciali)”.

Anche qui l’idea dove l’ha presa?
Dalla mia passione, come ingegnere dell’automazione, di automatizzare cose. Sperimentando a casa mia. La domotica, che tutti conosciamo, ormai ha più vent’anni, ed è arrivata a maturità. Ci vuole un salto di qualità. Salto che sta nel costruire un sistema integrato, dove i vari apparecchi presenti in casa, come riscaldamento, condizionamento, videosorveglianza, luci, tapparelle, automazione, portoni, irrigazione, ecc…, dialogano tra loro. Questa è la mia vision del futuro. A supporto della quale è anche arrivata una nuova direttiva europea per gli edifici pubblici, che deve essere recepita dagli stati entro il 2028. L’interruttore al muro col deviatore, come fa l’elettricista da cinquant’anni, sarà fuori legge. Nel prossimo futuro sarà possibile governare una casa con un semplice ordine vocale. L’azienda è partita a Rimini, siamo due soci, e l’anno scorso, per promuoverla, abbiamo creato uno showroom e organizzato una serie di incontri con gli addetti del settore (costruttori, architetti, progettisti…)”.

Ma non è finita…
“Infatti, nel marzo 2025 è nata Hiring Clones (assumendo cloni). Come suggerisce il nome dovrebbe creare dei dipendenti virtuali, capaci di svolgere un determinato lavoro all’interno delle aziende. Cioè vogliamo scaricare a terra quello che l’intelligenza artificiale mette a disposizione come tecnologia. Vuol dire andare in un’azienda, trovare una mansione che può essere automatizzata con un’intelligenza artificiale e realizzare un agente virtuale che la esegue. Facciamo un esempio: in un’azienda ci sono compiti noiosi e ripetitivi che nessun vuol fare, come leggere le mail dell’assistenza che arrivano a centinaia tutti i giorni. Qui facciamo lavorare l’intelligenza artificiale, che legge le mail, le classifica e re-indirizza agli uffici giusti, come fosse un impiegato. Virtuale, appunto. L’idea è quella di creare dipendenti virtuali che l’azienda può “assumere”, abilitare e stoppare quando vuole. Nei periodi di punta può moltiplicarli, da qui il clone, in modo da accompagnare le esigenze del mercato. In caso di bassa ridurli. Col passaparola ho trovato due ragazzi che insegnano IA all’università di Cesena e siamo partiti. Attualmente siamo nel pieno sviluppo del progetto”.

Riassumendo: Rimini, pur mancando, l’università, di una facoltà di ingegneria,  non pare preclusa allo sviluppo di startup innovative.
“In realtà è in una posizione strategica: tra il Politecnico di Ancona e quello di Bologna e in mezzo c’è la Facoltà informatica di Cesena”.

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