«Essendoci liberati dalle vecchie forme di autorità, non ci rendiamo conto di esser caduti preda di un nuovo genere di autorità. Siamo diventati automi che vivono nell’illusione di essere individui autonomi». Che si se lo sarebbe immaginato che il celebre filosofo tedesco Erich Fromm avrebbe anticipato quello che sta accadendo alle banche centrali dell’Occidente. L’autonomia delle Authority è uno dei pilastri dell’attuale politica economica. Diffusosi negli anni Novanta, questo principio (anche se i postulati cambiano spesso) è diventato un caposaldo nella gestione della politica monetaria, capace di promuovere la stabilità finanziaria e proteggere il sistema dalle ingerenze politiche. Gli attacchi di Donald Trump contro la Fed stanno però minando questo assunto.
America First
Washington vuole difendere gli interessi economici Usa che sono diversi da quelli della tradizionale politica monetaria. Il suo motto è: America First. Il presidente americano ha spinto per una riduzione dei tassi più decisa, rivendicando una crescita dell’economia (3,3% nel secondo trimestre). Le attuali politiche commerciali stanno però causando un aumento dell’inflazione che al contrario rende difficili tagli più decisi. Il carovita è risalito al 2,9% mentre la disoccupazione è cresciuta al 4,3 per cento. Giovedì scorso il presidente Fed Jerome Powell ha quindi abbassato, per la prima volta nel 2025, i tassi di 25 punti e il costo del credito è calato fra il 4 e il 4,25 per cento. Una scelta conservativa ma che strizza l’occhio alla politica visto che sono stati annunciati entro l’anno altri due tagli.
Le entrate della politica neo-protezionistica stanno recando sollievo alla corazzata Usa, ma non bastano. Se si vuole ridurre il debito americano e indebolire il dollaro, bisogna ridurre ulteriormente i tassi. La Fed ha dunque scelto di mediare fra la classica analisi monetaria e le pressioni di Washington. L’idea dell’indipendenza è stata salvata, ma anche la politica può dirsi soddisfatta. E non poteva essere diversamente.
L’economia mondiale è diventata un intreccio tra nazioni, colossi hi tech, giganti finanziari, multinazionali, consumatori e cittadini. In questo sistema interconnesso, l’azione politica agisce come un catalizzatore o un freno inibitorio. Un aumento delle tasse o l’introduzione di dazi, per esempio, può ridurre le disponibilità dei consumatori, influenzando la capacità delle imprese di investire in innovazione, mentre al contrario un accordo commerciale può aprire nuovi mercati ma anche esporre le imprese a rischi competitivi.
La stabilità e gli interessi
La stabilità è quindi necessaria e Trump non può tutelare solo gli interessi americani, come sa benissimo il segretario al Tesoro nonché suo principale consigliere economico, Scott Bessent. Gli Usa sono ancora il motore del mondo, ma le dinamiche globali sono cambiate.
C’è un altro tema meno dibattuto ma ugualmente importante. Grazie a un’analisi ispirata alla prospettiva postkeynesiana, è possibile evidenziare altre conseguenze delle politiche monetarie. Le banche centrali rischiano di essere diventate uno strumento della grande finanza. Dagli albori del mercato dei derivati e degli hedge (la cosiddetta finanza ombra), le Authority hanno immesso grandi masse di liquidità per attenuare la gravità della crisi del 2008. Interventi che non si sono tradotti in un aumento significativo del credito alle imprese. Invocando il mito dell’autoregolamentazione dei mercati, è stata alimentata soltanto la finanza ombra.
La nuova governance
All’indomani della crisi finanziaria, le banche centrali hanno sostenuto che non avrebbero più permesso che questo accadesse. L’impegno è stato però smentito: la finanza ombra non si è mai contratta anzi si è espansa, con un totale di attività pari a quasi 500 trilioni di dollari rispetto ai 62 trilioni del 2007. Una bomba a orologeria che rischia di deflagrare in qualsiasi istante. Allora che cosa bisogna fare? Costruire una nuova governance. È giunto il momento di ripensare alle Authority in modo vantaggioso per tutto il sistema. Una riflessione della governance non è solo auspicabile, ma inevitabile. Gli obiettivi delle banche centrali devono essere ridefiniti confermando la stabilità dei prezzi, la piena occupazione (per la Fed), ma anche il controllo della finanza ombra. È essenziale integrare le Authority nei processi democratici, attraverso meccanismi di rappresentanza parlamentare che ne rafforzino la legittimità.
Tutto questo sapendo che si sta imponendo la scienza del caos. Questo fenomeno era percepito come fortemente negativo. Uno stato patologico determinato da inadeguatezze dei governanti, il cui compito era evitare il verificarsi di questa patologia. Solo di recente si è affacciato un diverso atteggiamento che considera gli scenari caotici come situazioni che si verificano in modo fisiologico. In questi modelli il sistema si comporta in maniera del tutto casuale.
L’effetto farfalla
Questo risultato è stato chiamato «effetto farfalla», dallo scienziato meteorologo Edward Lorenz, pioniere delle teorie del caos deterministico. Ne consegue che, data l’impossibilità di misurare con precisione lo stato iniziale del sistema, non si può neppure prevederne l’andamento futuro, pur conoscendo alcune dinamiche che lo governano. Le scoperte degli studiosi del caos nelle scienze naturali hanno gettato le basi per un approccio alternativo alla finanza noto come teoria caotica. Sviluppatasi a partire dalla seconda metà del secolo scorso, questa metodologia rifiuta l’interpretazione secondo cui i mercati sarebbero caratterizzati da razionalità. I suoi sostenitori si propongono di estendere la teoria del caos adeguandola alle caratteristiche dei sistemi economici e in particolare alla realtà della moderna finanza. Per questo motivo le banche centrali che perseguono la stabilità non devono considerarsi come entità autonome ma inserirsi nel contesto globale. Nessuno vuole limitarne l’indipendenza, ma un cambio di governance diventa sempre più necessario.
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