L’AI generativa sarà davvero utile solo quando smetterà di sembrare magia. Come Future Age riteniamo che il nostro compito sia proprio quello di portare l’intelligenza artificiale giù dal piedistallo e di renderla concreta, utile, pratica e umana. È questa la risposta che mi piace dare ai dubbi, alla confusione e, perché no, anche alle paure che persistono ancora oggi in molte PMI del nostro Paese quando si parla di intelligenza artificiale.
In diverse aziende c’è chi considera l’AI una minaccia al lavoro, chi la interpreta come una cosa da “big tech”, chi la ritiene una moda e chi non la capisce affatto. E spesso il problema è che nessuno l’ha mai mostrata in azione, manca chi la sappia spiegare davvero, manca chi sappia applicarla sul campo. Non a caso in molte PMI, dove ogni giornata è una corsa tra problemi pratici e urgenze operative, la domanda che viene posta è spesso la stessa: “Ma tutto questo serve davvero? E soprattutto: chi lo ‘mette a terra’?”.
L’intelligenza artificiale è ormai decollata nelle PMI
Tutto questo nonostante oggi i numeri ci dicano come l’intelligenza artificiale non sia più una tecnologia riservata ai colossi del digitale: anche le piccole e medie imprese italiane stanno iniziando ad abbracciarla e a considerare l’automazione una leva strategica per innovare i processi e aumentare la produttività.
Qualche dato: secondo l’Osservatorio Artificial Intelligence del Politecnico di Milano, nel 2024 il 15% delle medie e il 7% delle piccole imprese ha avviato progetti basati sull’intelligenza artificiale, mentre il 58% delle PMI si dichiara interessata a essi.
Nel Rapporto Assintel 2024 leggiamo poi che il 45% delle PMI attive nel settore delle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione prevede di adottare l’AI entro il 2025, con tassi di crescita del +34,4%.
Siamo davanti a una trasformazione che riguarda, insieme alla tecnologia, anche l’organizzazione del lavoro: uno studio McKinsey evidenzia che oltre il 70% delle aziende che utilizzano l’AI generativa ha ottenuto un incremento dell’efficienza e una riduzione significativa delle attività manuali e ripetitive. Il che significa liberare risorse da destinare a compiti a maggiore valore aggiunto.
Anche Confartigianato, analizzando dati Istat, conferma che l’utilizzo dell’intelligenza artificiale contribuisce alla transizione digitale delle imprese e favorisce la crescita della produttività.
Non tutte le PMI sono pronte allo stesso modo, ma ci sono alcuni settori dove l’urgenza di evolvere è più forte, a partire dal manifatturiero, dove ogni minuto risparmiato tra ordini, logistica e amministrazione si traduce in efficienza. Ma anche il commerciale e il tecnico-produttivo, dove l’AI migliora marketing, customer care e preventivazione.
Le PMI digitalizzate sono già pronte per l’AI
Si nota poi una tendenza al cambiamento nelle PMI con leadership giovane o in transizione generazionale, alla ricerca di leve innovative senza aumentare l’organico. Più in generale, ritengo che le PMI già parzialmente digitalizzate (ERP, CRM, gestionali) siano pronte al salto, mentre, per le altre, sia necessaria la costruzione di percorsi di avvicinamento graduale, incentrati sulla riprogettazione dei processi e non sulla scelta degli strumenti.
Nel mercato della consulenza informativa, la nostra organizzazione – specializzata nella guida al cambiamento e nell’innovazione ad alto impatto – ha scelto una strada difficile ma concreta: lavorare dentro le PMI italiane, parlando la loro lingua.
Per accompagnarle nell’adozione dell’AI generativa, non partiamo dalla tecnologia, bensì dalle persone e dai loro comportamenti: l’obiettivo finale non è infatti la sostituzione del lavoro umano, ma la sua liberazione da attività ripetitive e poco strategiche. Il nostro obiettivo è quello di trasformare il capitale umano da manodopera a mentidopera: ovvero un capitale umano composto da persone che pensano, decidono e creano, mentre l’AI fa il resto.
L’approccio del metodo che abbiamo sviluppato è comportamentale e organizzativo: analizziamo i processi per individuare i colli di bottiglia e costruiamo poi un percorso di automazione intelligente.
Il linguaggio che utilizziamo è accessibile e non accademico e la nostra è una visione psicologica del cambiamento, che coinvolge tutte le figure operative: dagli operai agli amministrativi, dai tecnici ai commerciali. Tutti loro vengono ascoltati, guidati e formati, per poi introdurre, in una fase successiva, strumenti di AI in grado di generare un cambiamento misurabile.
Quattro leve per l’adozione dell’AI nelle PMI
L’adozione dell’AI richiede competenze ibride: oltre alla tecnica, occorre la capacità di tradurre la tecnologia nei processi aziendali. Le leve su cui lavoriamo sono quattro:
- analisi dei processi,
- attitudine al cambiamento,
- pensiero critico (per distinguere l’hype dal valore concreto)
- competenze trasversali (comunicazione, gestione del tempo, cultura del risultato).
Da qui nasce la figura dell’AI Manager per le PMI, un ponte tra strumenti digitali e processi produttivi. Mi piace evidenziare come il nostro approccio si fondi più sui casi concreti che sulla teoria. Penso, per esempio, all’AI che automatizza il controllo delle fatture e all’AI che genera report partendo da dati sparsi, fino ad arrivare all’AI che scrive preventivi in 30 secondi.
Quando gli imprenditori vedono l’AI all’opera, cambia tutto: da minaccia diventa opportunità. Il nostro scopo è proprio quello di mostrare loro le opportunità dell’AI all’opera, che da costo può diventare leva di efficienza.
Tutto questo agendo sia sul piano strategico, quando ripensiamo l’organizzazione e i flussi operativi, sia sul piano formativo, quando guidiamo le persone all’uso consapevole di nuovi strumenti. Non caliamo consulenza dall’alto: costruiamo il cambiamento insieme alle aziende, dall’interno, non per installare software, ma per accendere consapevolezza, semplificare il lavoro e costruire una vera cultura dell’efficienza.
Sono convinto che non sia l’AI a cambiare le aziende, anzi: sono le aziende che devono cambiare per utilizzare davvero l’AI, la tecnologia da sola non basta, l’innovazione non è un tool, ma un processo culturale.
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