Carta di credito con fido

Procedura celere

 

Rinnovo contratti pubblici integrativi: rapporto Aran 2025



L’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (Aran) ha diffuso il suo dodicesimo rapporto annuale sul rinnovo dei contratti pubblici integrativi, aggiornato al 2025 e basato sui dati degli anni 2023 e 2024.


In un momento in cui ci sono ancora schermaglie sul rinnovo di alcuni CCNL, come ad esempio, quello degli enti locali, l’Aran ha pubblicato un rapporto comunque interessante per comprendere l’andamento contrattIl documento, previsto dal decreto legislativo 165/2001, restituisce un quadro molto dettagliato dell’attività negoziale svolta a livello decentrato, analizzando sia l’andamento complessivo sia le differenze tra comparti e territori. Il rapporto è strutturato in due sezioni:

  • la prima dedica l’attenzione al 2024, con una visione d’insieme dei principali risultati;
  • mentre la seconda entra nel merito dei contenuti contrattuali trasmessi nel 2023, offrendo un’analisi più puntuale delle materie affrontate.

Crescita delle intese

Il 2024 si è chiuso con un aumento significativo dei contratti integrativi, pari al 7% in più rispetto all’anno precedente. Il traino maggiore è arrivato dal comparto delle Funzioni Locali e da quello dell’Istruzione e Ricerca, entrambi cresciuti del 10%.

Altro dato degno di nota riguarda la partecipazione: il 72% delle sedi di contrattazione ha trasmesso almeno un accordo, il valore più alto mai registrato. Non si tratta solo di una crescita quantitativa, ma anche di un miglioramento della conformità agli obblighi di invio alla banca dati condivisa tra Aran e Cnel.

Sul piano geografico, la Lombardia si conferma la regione più attiva, con quasi 3.000 contratti trasmessi, mentre il Veneto si distingue per la percentuale più elevata di sedi coinvolte, pari al 73%.

Tipologia degli accordi

Analizzando il contenuto delle intese firmate nel 2024, emerge che oltre la metà (51%) riguarda aspetti economici, mentre il 44% affronta questioni normative, segno di una maggiore attenzione a regolare in modo organico la gestione del personale.

Un altro elemento positivo è il coinvolgimento delle rappresentanze sindacali unitarie: il 92% dei contratti porta anche la loro firma, a dimostrazione di un buon livello di condivisione. In casi residuali – appena lo 0,7% – le amministrazioni hanno scelto la strada dell’atto unilaterale, confermando che il dialogo resta lo strumento privilegiato.

Per quanto riguarda la composizione delle delegazioni pubbliche, nell’85% dei casi erano presenti solo dirigenti o funzionari. Non manca però la partecipazione di rappresentanti politici, molto marcata nelle università (81% dei contratti) e significativa anche negli enti di ricerca (53%).

Focus: differenze tra comparti

La seconda parte del rapporto si concentra invece sui contratti del 2023, analizzati in base ai contenuti e ai settori di appartenenza.

  • Funzioni Centrali: nell’83% dei casi le trattative si sono concentrate sulla distribuzione delle risorse decentrate. Non mancano, seppure sporadici, episodi di sconfinamento in materie non previste dalla legge, come mobilità o progressioni di carriera.

  • Funzioni Locali: prevalgono gli accordi economici (63%), ma anche la componente normativa ha un peso rilevante (33%). In alcuni casi si sono registrate intese su questioni non contrattabili, come criteri di attribuzione degli incarichi di alta specializzazione o introduzione di buoni pasto.

  • Istruzione e Ricerca: qui la quota maggiore (60%) riguarda aspetti regolamentari, soprattutto nella scuola. Anche in questo settore si sono osservate materie estranee alla contrattazione, come la gestione degli orari o la distribuzione del personale.

  • Sanità: quasi la metà dei contratti è di natura economica (46%), seguita da accordi su specifiche materie (38%). Le criticità emerse riguardano soprattutto la valutazione del personale e i programmi di formazione, che non dovrebbero essere oggetto di negoziazione.

Una contrattazione sempre più diffusa

Guardando all’insieme delle amministrazioni, il rapporto segnala che il tasso di adesione alle procedure di contrattazione ha raggiunto livelli record. Nel comparto Scuola, ad esempio, il 91% delle sedi ha trasmesso almeno un accordo, percentuale in crescita rispetto all’80% del 2023. Anche le Università hanno fatto registrare un balzo in avanti, passando dal 65% all’82%.

Nei Ministeri si è toccato il 79% (contro il 62% dell’anno precedente), mentre le Funzioni Locali sono salite al 60% e la Sanità al 52%. Valori più contenuti, invece, nell’Alta formazione artistica e musicale (Afam), che si ferma al 47%.

Va considerato, tuttavia, che gli enti di dimensioni ridotte – come ordini professionali o federazioni – hanno una capacità negoziale limitata, e ciò incide sulla media generale, soprattutto nell’ex comparto degli enti pubblici non economici.

Tuttavia cresce anche la frammentazione delle intese

Un altro elemento emerso è la tendenza alla frammentazione: molte amministrazioni inviano più contratti nello stesso anno, perché le trattative vengono suddivise per categorie di personale o per singole materie. Questo fenomeno è molto evidente nella Sanità, dove il 78% delle amministrazioni ha trasmesso almeno due accordi, e nel settore universitario, dove oltre tre quarti delle sedi hanno inviato più contratti nello stesso anno.

Nei Ministeri, invece, il dato è influenzato dalla struttura territoriale, che moltiplica il numero di contratti trasmessi senza riflettere un reale aumento delle trattative.

Economico o normativo: l’equilibrio tra le due anime

Osservando la ripartizione delle tipologie contrattuali, emergono differenze significative tra i comparti. Le Funzioni Centrali si concentrano quasi esclusivamente su questioni economiche (83%), mentre le Funzioni Locali mantengono un equilibrio, con il 63% di contratti economici e il 33% normativi.

Nel comparto Istruzione e Ricerca spicca la predominanza degli atti normativi (60%), probabilmente anche come effetto della spinta arrivata dal contratto nazionale sottoscritto nel 2022. La Sanità, invece, presenta una distribuzione più variegata: 43% accordi economici, 38% su materie specifiche e 18% normativi.

Un’ulteriore distinzione riguarda la dirigenza: per questi profili il 50% dei contratti è economico e il 37% normativo, con una quota minima di atti unilaterali (circa il 2%). Per il personale non dirigente, invece, prevalgono i contratti economici (51%), seguiti dai normativi (44%).

Indicatori di qualità e prospettive

Due elementi conclusivi meritano di essere sottolineati. Da un lato, la quasi totalità delle intese vede la firma anche delle rappresentanze sindacali unitarie, un segnale di buon funzionamento del confronto tra le parti. Dall’altro, la scarsissima incidenza degli atti unilaterali (0,7%) dimostra che, nonostante la complessità del sistema, la via negoziale resta la regola e non l’eccezione.

Il quadro che emerge dal Rapporto Aran è quello di una contrattazione integrativa in crescita, sempre più diffusa e con un grado di partecipazione elevato, anche se non mancano criticità, soprattutto legate a sconfinamenti in materie non previste dalla normativa.

Guardando al futuro, la sfida sarà duplice: da un lato consolidare la qualità degli accordi, evitando forzature sui temi non negoziabili; dall’altro, garantire una maggiore omogeneità tra comparti e territori, per rendere il sistema di contrattazione pubblica più equilibrato ed efficace.

Rinnovo contratti pubblici integrativi: il rapporto dell’Aran aggiornato al 2025

Qui il documento completo.



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link

Dilazioni debiti fiscali

Assistenza fiscale