L’appuntamento con il nuovo Concordato preventivo biennale non è più una prospettiva remota: le imprese intellettuali e le relative strutture devono scegliere in fretta come muoversi dentro regole pensate per ridurre l’alea fiscale e rafforzare la coerenza interna dei soggetti coinvolti.
Una stretta normativa che privilegia l’uniformità
La riforma sancita dal D.Lgs. n. 81/2025 disegna un Concordato preventivo biennale più severo e, al tempo stesso, più omogeneo. Il legislatore ha previsto criteri di accesso e permanenza identici per il professionista e per la relativa struttura organizzata, sia essa associazione o società tra professionisti. Il messaggio è chiaro: chi sceglie il Cpb deve presentarsi come un insieme coerente, privo di fratture interne o tempistiche difformi. Questa convergenza obbligatoria segna un cambio di passo rispetto al passato, quando bastava la volontà individuale e poco altro per garantirsi la stabilità del regime agevolato. Ora la partita si gioca sul fronte dell’allineamento totale tra soci e veicoli societari.
Il nuovo impianto si giustifica con la volontà di scongiurare asimmetrie che, in passato, permettevano a singoli professionisti di beneficiare del regime agevolato nonostante differenze sostanziali con il bilancio dell’associazione di appartenenza. L’idea di fondo è che, se l’attività è condivisa, lo sia anche il destino fiscale. Così si costruisce una trasparenza che, almeno nelle intenzioni, dovrebbe rassicurare l’erario e semplificare i controlli. Tuttavia, questa equità formale richiede un coordinamento quasi chirurgico: un errore nella tempistica di adesione oppure un’informazione trasmessa in modo incompleto può trasformare la promessa di stabilità in un terreno minato, costringendo alla fuoriuscita forzata con recuperi d’imposta e sanzioni non trascurabili.
Le criticità più insidiose emerse dal nuovo assetto
La disamina firmata dalla Fondazione Studi Consulenti del Lavoro individua tre fronti caldi. Il primo è il rischio di disallineamento temporale tra la scelta del socio e quella dell’ente, eventualità che congela l’adesione per entrambe le parti. Il secondo riguarda gli Isa: indicatori già approvati ma, nei fatti, non applicabili a certe attività, con l’effetto di lasciare un vuoto normativo pericoloso. Il terzo, infine, chiama in causa la complessità gestionale di strutture che contano numerosi professionisti, dove coordinare la decisione di tutti diventa impresa quasi titanica.
Al di là dell’elenco, la questione assume contorni concreti quando si considerano le conseguenze. Un disallineamento di pochi giorni può tradursi nella decadenza retroattiva dal regime, con recuperi d’imposta e interessi che erodono utili accumulati negli anni. L’assenza di Isa calibrati sulle peculiarità di alcune professioni, poi, crea quella zona grigia dove non è chiaro se si possa aderire o meno. In questo limbo, i consulenti rischiano di restare senza protezione, sospesi tra la necessità di fare programmazione e la paura di muoversi in assenza di riferimenti sicuri.
I nodi operativi per professionisti, associazioni e Stp
La sfida più impegnativa rimane il coordinamento interno. Ogni Stp o associazione professionale deve verificare, prima ancora di premere il pulsante di adesione, che tutti i propri componenti risultino nelle condizioni previste. Ciò implica un controllo puntuale sugli eventuali Isa applicabili, sull’assenza di contenziosi pendenti e, soprattutto, sulle date: basta che un socio abbia optato fuori tempo massimo perché l’intera struttura venga esclusa. È un gioco di squadra dove la disattenzione del singolo diventa responsabilità collettiva. Per questo si stanno diffondendo check-list interne, verbali di assemblea tempestivi e persino clausole statutarie che vincolano i soci a comunicare in anticipo eventuali scostamenti dai requisiti.
Anche il singolo professionista fuori da realtà associate non può sottovalutare i passaggi preliminari. Deve chiedersi se la propria attività rientra in un settore coperto da Isa effettivamente funzionanti, se esistono procedimenti fiscali in corso che potrebbero far scattare l’esclusione e, infine, se i propri dati contabili sono stati trasmessi con la precisione richiesta. L’adesione al Cpb è una promessa di stabilità, ma diventa un’arma a doppio taglio quando la preparazione è superficiale. Il costo di un’interpretazione sbagliata, infatti, va ben oltre la perdita del beneficio: si traduce in rettifiche, interessi e credibilità professionale compromessa.
Le indicazioni pratiche per evitare sorprese fiscali
Il decalogo messo a disposizione dagli esperti della Fondazione Studi parte da un punto d’ordine semplice: verificare, poi decidere. Primo passo, controllare la situazione di tutte le partecipazioni societarie o associative; secondo, analizzare la compatibilità degli Isa non soltanto sotto il profilo dell’avvenuta approvazione ma, soprattutto, in merito alla loro reale applicabilità; terzo, redigere un cronoprogramma condiviso che scandisca le tappe dell’adesione. Senza questa tabella di marcia, l’entusiasmo iniziale rischia di sbriciolarsi al primo ostacolo amministrativo. Infine, è opportuno predisporre una clausola di salvaguardia che preveda un piano alternativo qualora l’Agenzia dovesse emanare chiarimenti dell’ultima ora.
Non a caso, la stessa Agenzia delle Entrate viene sollecitata a intervenire con una circolare interpretativa che sciolga i nodi rimasti. L’attesa di questi chiarimenti non deve però trasformarsi in immobilismo: i soggetti potenzialmente interessati al Cpb per il biennio 2025/2026 sono chiamati a utilizzare il tempo a disposizione per analizzare dati, predisporre documentazione e simulare scenari. Se e quando i chiarimenti arriveranno, chi avrà fatto i compiti a casa si troverà nella condizione di agire subito, mettendo al riparo la propria posizione e, in definitiva, la tranquillità del proprio studio.
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