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Parità di genere: come sta messa l’Italia?


La parità di genere nel mondo del lavoro è una priorità  sempre più sentita, e per valutarne l’impegno, i paesi europei hanno sviluppato sistemi di certificazione. L’Italia, con la recente Prassi UNI/PdR 125:2022, si distingue per un approccio basato sugli incentivi economici, che la differenzia da altri modelli più orientati alla normativa vincolante, come quelli di Spagna e Francia.

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Il modello italiano: struttura nazionale e incentivi economici

La certificazione italiana per la parità di genere, entrata in vigore nel 2022, si distingue per il forte legame con il sistema degli incentivi pubblici. Le aziende certificate possono accedere a un esonero contributivo fino a 50.000 euro annui e ottenere punteggi premiali nei bandi pubblici. Questo approccio economico rappresenta una peculiarità del sistema italiano, che utilizza leve fiscali e contributive per incentivare l’adozione di pratiche inclusive.

Il modello valuta sei aree specifiche: cultura e strategia aziendale, governance, processi delle risorse umane, opportunità  di crescita, equità  remunerativa e tutela della genitorialità. La certificazione ha validità triennale con controlli annuali, garantendo un monitoraggio costante dei progressi aziendali.

Un esempio emblematico del successo di questo approccio è rappresentato da Poste Italiane, che nel 2023 ha ottenuto la certificazione UNI/PdR 125:2022 con il punteggio del 96%, ben al di sopra del minimo richiesto del 60%. L’azienda, che rappresenta il primo datore di lavoro del paese, ha raggiunto eccellenti risultati in tutte e sei le macroaree di valutazione, dimostrando l’efficacia del sistema italiano nel promuovere cambiamenti concreti nelle organizzazioni.

La Spagna pioniera delle normative vincolanti

La Spagna si è affermata come leader europeo nell’approccio normativo alla parità  di genere sul lavoro. Nel 2020, il paese ha introdotto due decreti reali complementari che stabiliscono obblighi stringenti per tutte le aziende con più di 50 dipendenti. Il Decreto 901 regola i piani di uguaglianza di genere, mentre il Decreto 902 affronta specificatamente la discriminazione retributiva.

L’approccio spagnolo si caratterizza per la sua progressiva espansione: inizialmente applicato alle aziende con oltre 250 dipendenti nel 2019, è stato esteso gradualmente fino a raggiungere le organizzazioni con 50 dipendenti nel 2022. Una caratteristica distintiva del sistema spagnolo è la soglia del 25% per identificare disparità  retributive significative, accompagnata da rigidi requisiti di trasparenza che permettono ai dipendenti di accedere alle analisi statistiche sui salari.

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La Francia e l’evoluzione dal soft al hard law

Mentre la Spagna ha optato per un approccio di hard law, la Francia ha seguito un percorso più graduale, passando da normative meno vincolanti a leggi più cogenti. L’introduzione dell’indice di uguaglianza di genere nel 2018 ha obbligato le aziende a pubblicare annualmente un punteggio su 100 punti, basato su cinque criteri principali tra cui il divario retributivo e le opportunità  di crescita professionale.

Il paese ha inoltre implementato la legge Copé-Zimmermann nel 2011, che ha imposto una quota obbligatoria del 40% di diversità di genere nei consigli di amministrazione entro il 2017. Nel 2021, la legge Rixain ha esteso questo approccio ai comitati esecutivi, riconoscendo i progressi limitati ottenuti precedentemente e fissando nuovi obiettivi al 2029.

Il modello tedesco: tra normative federali e iniziative regionali

La Germania ha adottato un approccio più frammentato, combinando normative federali con iniziative regionali specifiche. Il paese ha introdotto quote di genere per i consigli di amministrazione delle aziende quotate e ha sviluppato strumenti di valutazione che si concentrano particolarmente sulla rappresentanza femminile nelle posizioni dirigenziali.

L’approccio tedesco enfatizza la misurazione della partecipazione economica delle donne e l’eliminazione dei gap retributivi, ma manca di un sistema centralizzato di certificazione comparabile a quello italiano o spagnolo.

Lo standard internazionale EDGE: la certificazione globale

Parallelamente ai sistemi nazionali, molte organizzazioni europee hanno adottato la certificazione EDGE (Economic Dividends for Gender Equality), uno standard globale lanciato nel 2011 al World Economic Forum. EDGE valuta cinque aree: parità  retributiva, reclutamento e promozione, sviluppo della leadership, lavoro flessibile e cultura aziendale.

La certificazione EDGE opera su tre livelli progressivi (Assess, Move, Lead) e ha ottenuto riconoscimenti in numerose aziende europee, dal Regno Unito all’Italia, offrendo un benchmark internazionale per le pratiche di parità di genere. Organizzazioni come Standard Chartered Bank UK, AXA Investment Managers e l’Agenzia Spaziale Europea hanno ottenuto vari livelli di certificazione EDGE, dimostrando l’appeal di uno standard riconosciuto a livello globale.

Differenze metodologiche e culturali

Le differenze tra i vari sistemi riflettono approcci culturali e politici diversi. Il modello italiano privilegia gli incentivi economici come strumento di cambiamento, mentre la Spagna ha optato per obblighi normativi stringenti. La Francia combina trasparenza obbligatoria con quote specifiche per le posizioni dirigenziali, e la Germania mantiene un approccio più decentralizzato.

Tutti i sistemi condividono però alcuni elementi comuni: l’attenzione all’equità  retributiva, la misurazione della rappresentanza femminile nei ruoli dirigenziali e la valutazione delle politiche di conciliazione vita-lavoro. Le metodologie di valutazione privilegiano sempre una combinazione di dati quantitativi e analisi qualitative delle pratiche aziendali.

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Prospettive future e convergenze

L’evoluzione dei sistemi di certificazione europei sembra orientarsi verso una maggiore standardizzazione e rigore metodologico. La Commissione Europea, attraverso la sua Strategia per l’Uguaglianza di Genere 2020-2025, sta promuovendo un approccio più coordinato che potrebbe influenzare l’armonizzazione dei diversi modelli nazionali.

Il recente Gender Equality Index 2025 dell’Istituto Europeo per l’Uguaglianza di Genere mostra come i paesi nordici continuino a dominare le classifiche, con Svezia, Danimarca e Paesi Bassi ai primi posti. Questo evidenzia come le certificazioni debbano essere accompagnate da cambiamenti culturali e sistemici più profondi per essere veramente efficaci.

La sfida futura sarà probabilmente quella di combinare l’efficacia normativa del modello spagnolo, gli incentivi economici di quello italiano e la standardizzazione globale offerta da certificazioni come EDGE, creando un framework europeo che rispetti le specificità nazionali ma garantisca comparabilità e rigorosità metodologica.

I dati del Global Gender Gap Report 2025 mostrano che, nonostante i progressi compiuti, nessun paese europeo ha ancora raggiunto la piena parità di genere. Questo sottolinea come le certificazioni, pur rappresentando strumenti importanti, debbano essere integrate in strategie più ampie che coinvolgano istituzioni, imprese e società civile per accelerare il percorso verso l’uguaglianza sostanziale.



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